Il tredicesimo giorno – Abhimanyu
Il tredicesimo giorno della più catastrofica guerra che si sia mai combattuta corrispondeva al terzo da quando Bhishma era caduto e da che Drona aveva assunto il comando. Il luogo sacro di Kuruksetra, ove in passato avevano vissuto tanti asceti santi e pacifici, era diventato un immenso cimitero; il cielo sovrastante era pieno di avvoltoi, e durante la notte lupi e iene lo invadevano per cibarsi dei cadaveri.
I Trigarta furono i primi a muoversi: chiamando Arjuna a voce alta, si diressero verso il versante meridionale e questi, a malincuore, dovette muoversi rapidamente sulla loro scia. Come lo vide allontanarsi, Drona impartì le istruzioni per l’organizzazione dell’impenetrabile e complicatissima padma-vyuha, secondo la quale gli eserciti si sarebbero disposti nella forma di un gigantesco fiore di loto.
I Kurava attaccarono per primi.
Privi dell’appoggio di Arjuna, i Pandava soffrirono terribilmente per gli attacchi di Drona e sebbene tentassero strenuamente di fare breccia nella complicata formazione avversaria, a nulla valsero tutti i loro sforzi. Visto fallire ogni attacco e visti i suoi battaglioni decimati dalle ondate degli assalti nemici, Yudhisthira si allarmò: se fosse andata avanti in quel modo, il suo esercito sarebbe stato distrutto prima di sera. Rimpianse di non poter disporre del fratello, che sarebbe stato impegnato a lungo contro l’ostinato e arrabbiato Susharma e riflettè su cosa si poteva fare. Al mondo c’erano solo quattro uomini in grado di penetrare il contorto fronte della vyuha: Krishna, suo figlio Pradyumna, Arjuna e Abhimanyu, e in quel momento era disponibile solo quest’ultimo. Ma, per quanto fosse valorosissimo, il nipote era giovane, e ancora inesperto, per cui Yudhisthira non sapeva decidersi se mettere la sua vita a repentaglio. Infine, non tollerando ulteriormente lo sfacelo che Drona stava causando, fece chiamare Abhimanyu.
“Vedi la padma-vyuha del nostro Acarya? ” gli disse. “All’infuori di te, in questo momento nessuno di noi è in grado di creare un varco che possa permetterci di combattere alla pari. E guarda cosa sta succedendo: tutti i nostri attacchi svaniscono come bolle di sapone contro le loro difese, mentre essi provocano scompigli fra le nostre truppe. Se si continua così, questa giornata diverrà l’ultima per noi. Io so che tu conosci l’arte di penetrarla. Fallo, dunque, e salvaci da questa terribile situazione.”
Abhimanyu esaminò lo schieramento nemico e riflettè con gravità.
“Sì, posso riuscirci, ma c’è una cosa che devi sapere. Io sono stato istruito fin da bambino da mio padre e da Krishna sull’arte di spezzare la padma-vyuha, e ciò non mi comporta particolari difficoltà; tuttavia non ho ancora imparato ad uscirne. Come farò, quindi, a sopravvivere quando mi ritroverò solo all’interno della formazione nemica?”
“Non preoccuparti per questo,” rispose Yudhisthira, “perchè non sarai isolato; l’idea è di penetrare in forza dentro le file nemiche e creare lo scompiglio. Appena tu avrai creato una breccia, i più forti tra di noi ti seguiranno e ti aiuteranno. Bhima, Nakula, Sahadeva, Dhristadyumna, Drupada e centinaia di altri eroi ti saranno accanto ad ogni istante.”
Nonostante il rischio evidente che comportava la missione, gli occhi del ragazzo appena sedicenne brillarono dalla contentezza: penetrare nella padma-vyuha era sempre stato il gioco più eccitante della sua infanzia, e da sempre aveva sognato di farlo con un vero esercito.
Spronato l’auriga che al contrario del padrone si sentiva piuttosto agitato, rapidamente il carro sfrecciò in direzione dell’esercito avversario, seguendo un tragitto studiato migliaia di volte.
Jayadratha chiude la breccia
Brillante come una folgore e provocando tuoni per l’impatto col terreno, il carro di Abhimanyu saettò verso le milizie Kurava; un’impressionante processione di eroi lo seguiva da presso. E come facilmente un coltello penetra nel burro, sotto gli occhi dell’ammirato Acarya, il giovane figlio di Arjuna miracolosamente entrava nella vyuha, causando un effetto simile a un’esplosione. In pochi secondi il prodigioso ragazzo si lasciò dietro una scia di morte e distruzione. Rapidissimo, Duryodhana tentò di impedirgli l’ingresso, ma fu salvato a stento da Drona.
In pochi istanti Abhimanyu era già arrivato nel cuore della padma-vyuha. Karna, Salya, Bhurisrava e Dusshasana lo affrontarono, ma furono malamente sconfitti e costretti alla ritirata. I soldati, mentre si davano alla fuga, gridavano:
“Non si può combattere contro Abhimanyu. Egli è una terribile combinazione di Krishna e Arjuna. Cosa possiamo fare noi contro di lui?”
E la confusione causata da combattenti e fuggitivi si fece totale. Mentre lottava un sorriso leggiadro illuminava il volto di Abhimanyu: intanto davanti a lui i Kurava cadevano a migliaia.
Drona e Kripa ebbero frasi di ammirazione per la sua classe straordinaria; ma Duryodhana, allorchè si accorse che gli Acarya si erano soffermati a lodare il figlio di Arjuna invece di attaccarlo, divenne furibondo.
“E’colpa vostra se Abhimanyu è riuscito a entrare,” gridò. “Se fosse stato qualcun altro, voi non glielo avreste permesso, ma siccome amate troppo Arjuna e suo figlio avete fatto sì che la nostra formazione fosse penetrata. Dobbiamo ricacciarlo indietro, o per noi sarà un disastro.”
Ed egli stesso si lanciò contro il ragazzo. Tuttavia, dopo pochi secondi, ferito gravemente dovette fuggire per salvarsi la vita.
Ad un certo punto, mentre spargeva il terrore e la morte nelle file nemiche, Abhimanyu si accorse con costernazione di essere solo, che i suoi zii non erano riusciti a seguirlo. Cos’era successo?
Avendo visto Abhimanyu avvicinarsi a velocità vertiginosa, Jayadratha ne aveva intuito le intenzioni così, appena aveva visto che il ragazzo era scomparso tra le file dell’esercito Kurava, aveva guidato le sue truppe nella breccia che si era creata, e aveva impedito il passaggio agli eroi Pandava. La cosa aveva dell’incredibile: da solo, Jayadratha era riuscito a bloccare i Pandava e i loro alleati, impresa questa che solitamente sarebbe stata ritenuta da tutti impossibile da attuarsi. Come era potuto accadere?
E’ doveroso ricordare l’episodio durante il quale Jayadratha, dopo aver tentato di rapire Draupadi, era stato battuto e umiliato da Bhima. Ma dopo innumerevoli austerità, Shiva gli aveva concesso la benedizione di riuscire, per una volta, a sconfiggere tutti i Pandava insieme, all’infuori di Arjuna. Quel giorno Jayadratha aveva sfruttato la capacità che gli era stata accordata. Per quanto valorosamente i Pandava si fossero battuti, Jayadratha era parso invincibile. Nel frattempo la breccia creata da Abhimanyu si era richiusa e la padma-vyuha riformata.
Con orrore Yudhisthira si era accorto che il ragazzo era rimasto solo fra centinaia di migliaia di nemici.
La morte di Abhimanyu
Nonostante si fosse reso conto della situazione, Abhimanyu non era certo tipo che si scoraggiava.
“Io non so come uscire da questo intreccio di armate,” disse al suo auriga, “e perciò siamo prigionieri. Ma una soluzione esiste ancora: distruggere totalmente l’esercito Kurava.”
Muovendosi come un vortice, il giovane distruggeva qualsiasi cosa gli venisse a tiro; la cosa faceva impazziva dalla rabbia Duryodhana che si domandava come potesse un ragazzo di quell’età essere tanto abile. Sembrava impossibile. Per di più egli non si accontentava di massacrare i soldati semplici, ma uccise molti celebri guerrieri. Rukmaratha e altri figli di Salya furono tra coloro che caddero nel coraggioso tentativo di opporsi a Abhimanyu. Davanti a lui tutti erano costretti a fuggire o a morire. Il fiero Lakshmana, uno dei figli più cari a Duryodhana, non potè sopportare quella visione di gloria guerriera e si lanciò all’attacco, ma perse il duello e la vita. Quell’improvvisa tragedia, avvenuta in pochi secondi, traumatizzò l’invidioso Re Kurava.
“Quel maledetto deve essere ucciso in qualsiasi modo,” urlò con rabbia inaudita.
E i protagonisti di una delle più crudeli tragedie successe a Kuruksetra cominciarono a prendere i loro posti sulla scena: sei maharatha, e cioè Drona, Kripa, Asvatthama, Karna, Brihadbala e Kritavarma circondarono Abhimanyu e lo attaccarono contemporaneamente; ma anche in quella maniera questi non cedette, e contrattaccò, sconfiggendoli tutti. Addirittura il potente Brihadbala perse la vita in quell’occasione.
Il corpo di Karna era una maschera di sangue, e Asvatthama riuscì solo per miracolo a salvare la vita di uno dei suoi figli da quella furia. In quel vortice di distruzione i Kurava decisero che Abhimanyu doveva essere eliminato con ogni mezzo, leale o sleale che fosse. E l’atto più vile che uno Kshatriya abbia mai potuto immaginare fu perpetrato da Karna: mentre Abhimanyu fronteggiava contemporaneamente un attacco fatto da Drona e da altri, dalle spalle gli scagliò una freccia contro la corda dell’arco, troncandola di netto e spezzando con una seconda lo stesso arco. Stupito da quel vile atto, Abhimanyu si girò per scoprire chi ne fosse stato l’autore.
“Solo tu, figlio di un suta, potevi attaccare un nemico in questo modo. Dove il valore manca, vive l’imbroglio e il gioco dei dadi. Ma presto anche tu avrai ciò che meriti.”
Sfruttando quel momento di distrazione, Drona gli uccideva i cavalli, mentre Kripa eliminava i due auriga. E intanto che Abhimanyu era ancora sul carro, privo di armi, sei maharatha lo attaccarono senza dargli il tempo di organizzare una difesa. Gli occhi del giovane, nato dall’energia del Deva della luna, divamparono di un rosso fuoco, e la furia li rese molto simili a quelli di Krishna. Gridò a Drona:
“Tu sei stato il maestro di mio padre, e quindi dovresti essere un uomo virtuoso; come avete potuto, tu e Kripa, attaccarmi mentre ero girato verso Karna?”
Agguantata la spada, saltò giù dal carro oramai immobile, e si precipitò verso di loro con tutta l’intenzione di fare giustizia sommaria. Ma gli atti ignobili degli spaventati Kurava non erano ancora terminati. Aggiratolo, dal di dietro Drona gli ruppe la spada e Karna gli frantumò lo scudo.
Ora l’eroico Abhimanyu era fieramente ritto sul campo di Kuruksetra, privo di qualsiasi arma. Afferrata la ruota di un carro, il corpo pieno di frecce e interamente bagnato di sangue e il viso infuriato che brillava sinistramente, Abhimanyu prese a farla girare vorticosamente sopra la testa, chiamando uno ad uno per nome i suoi avversari e sfidandoli ad avvicinarsi e a combattere lealmente. In quella posa sembrava un secondo Vishnu.
Resosi conto che nessuno aveva il coraggio sufficiente per accettare la sfida, si lanciò con quella ruota contro le file nemiche, gettando ancora lo scompiglio e il terrore, finchè non riuscirono a frantumargliela fra le mani.
Ma Abhimanyu, che non aveva affatto abbandonato l’idea di sterminare da solo l’esercito avversario, prese una mazza dal terreno e ancora una volta li sfidò a venire avanti uno alla volta. Vedendolo alto e fiero, ben piantato sulle gambe e fumante rabbia, di nuovo nessuno accettò la sfida ed egli di nuovo li attaccò.
Asvatthama, spaventato, fece appena in tempo a fuggire, prima che insieme al carro, ai cavalli e all’auriga, ne potesse uscire distrutto egli stesso. Messo in fuga il Brahmana, Abhimanyu si lanciò contro il figlio di Dusshasana e lo privò del mezzo. I due fieri giovani continuarono a piedi il combattimento, ma appena Abhimanyu, stanco e ferito, tardò un momento a rialzarsi, il figlio di Dusshasana, trasgredendo a ogni regola di lealtà Kshatriya, lo colpì alla testa. Abhimanyu cadde a terra senza più vita.
Era stato uno dei crimini più vili mai accaduti in tutta la storia di una nazione che aveva portato la civiltà nel mondo.
Quando i Pandava sentirono le grida di gioia e il suono dei corni dei Kurava, capirono che l’amato nipote era caduto. Torturato dal dolore e dal rimorso, Yudhisthira pianse lacrime amare fino a perdere i sensi.
E quando il sole tramontò e tutti tornarono mestamente all’accampamento, nessuno riusciva a pensare ad altri che ad Abhimanyu e a cosa avrebbero potuto dire al padre quando questi fosse tornato.
Il voto di Arjuna
Nella penombra della sera Arjuna tornava all’accampamento. Improvvisamente si sentì agitato e con voce rotta dall’emozione disse al suo amico Govinda:
“Perchè, o Keshava, il mio cuore è pieno di paura, e perchè la mia voce trema? Osserva i segni che provengono dalla terra, dal cielo, da ogni parte: lasciano presagire solo le disgrazie più nere. Sento le braccia e le gambe senza forza e nella mia mente ci sono solo pensieri di morte. Qualche calamità sta per accadere o forse è già accaduta. Che qualcosa sia capitato al mio venerabile fratello maggiore o a qualcuno dei miei più cari amici?”
“Sicuramente nulla è successo a Yudhisthira,” rispose Krishna. “Ma sicuramente qualcosa deve essere accaduto. Non temere, fra pochi minuti sapremo tutto.”
Arjuna, sempre più preoccupato, inoltrandosi nei dedali delle tende amiche, notava che tutti evitavano di incrociare il suo sguardo, mentre i presagi diventavano sempre più terribili. Quando entrò nella tenda di Yudhisthira e vide le espressioni dei fratelli capì che doveva essere successo qualcosa di molto grave.
“Fratelli, non mi lasciate in questa intollerabile ansietà. Perchè quelle facce? e perchè i soldati e i miei amici non mi hanno neanche salutato nè sono venuti a farmi festa come ogni sera? Di solito mio figlio Abhimanyu viene a ricevermi e mi racconta le sue ultime gesta; come mai oggi non è qui con voi?”
Tanto era il dolore che lo attanagliava, che Yudhisthira faticava a rispondergli; ma visto che nessuno prendeva l’iniziativa si fece forza.
“Questa mattina il nostro Acarya ha schierato contro di noi il padma-vyuha, e subito c’è stato un grande massacro. Noi non riuscivamo neanche ad attaccare, mentre loro penetravano nelle nostre file con irrisoria facilità. L’unica cosa da fare era riuscire a spezzare quello schieramento. Ma tu eri lontano, e Krishna era con te. Solo Abhimanyu sapeva come fare. Così il tuo coraggioso figlio ha accettato questo incarico. Subito è riuscito a incunearsi nelle file nemiche. Purtroppo noi non ce l’abbiamo fatta a seguirlo, e lui si è trovato solo. Il resto l’abbiamo saputo da Yuyutsu.”
Forse non tutti sanno che Yuyutsu era uno dei pochi figli virtuosi di Dhritarastra. La madre proveniva dalla casta dei vaishya; inoltre faceva parte di quella folta schiera di Kshatriya che combattevano a malincuore dalla parte di Duryodhana. Ma quando si era trovato ad essere testimone del delitto nefando perpetrato contro il giovane Abhimanyu, la sua indignazione era esplosa e gli aveva impedito di continuare a combattere al fianco di persone ossessionate dallo spettro della malvagità. Quello stesso pomeriggio era passato dalla parte dei Pandava, ai quali aveva raccontato come erano andate le cose.
Mentre ascoltava il racconto di quel crudele assassinio, Arjuna stentava a crederci. Poi il dolore lo colse in pieno e non riuscì a trattenere le lacrime.
“Ma come avete potuto lasciarlo solo?” disse. “Chi può essere stato tanto abile da impedirvi di seguirlo?”
“E’ stato Jayadratha,” rispose il fratello maggiore. “Nell’attimo in cui tuo figlio è penetrato nelle file nemiche provocando così una grossa breccia, costui è corso contro di noi; e tuttora noi non riusciamo a capacitarci di come egli abbia potuto da solo respingere l’attacco di tutti noi messi insieme. Credimi, oggi Jayadratha era completamente invincibile. E così Abhimanyu si è trovato solo e non abbiamo potuto fare niente per salvarlo.”
Chiuso nel suo dolore, Arjuna riflettè a lungo e poi disse:
“Tutti quei peccatori che hanno partecipato alla vile uccisione di mio figlio hanno già il destino segnato; ma questo Jayadratha che si è tanto accanito perchè mio figlio morisse non conosce ancora la sorte che gli toccherà. Dunque giuro che domani stesso, prima che il sole tramonti, io lo priverò della vita. E se non ci riuscirò, dò la mia solenne parola che lascerò questo mondo entrando in una grande pira di fuoco.”
Appena gli alleati dei Pandava vennero a sapere del solenne voto fecero vibrare centinaia di tamburi, corni e conchiglie, provocando un frastuono tumultuoso. Tutti erano eccitati. Il Pandava non si era assunto un compito facile, per cui erano certi che l’indomani lo avrebbero visto combattere come mai aveva fatto in precedenza.
I Kurava avrebbero pagato caro l’assassinio di Abhimanyu.
Gli avvenimenti della notte
Quando i Kurava sentirono quel tumulto assordante provenire dagli accampamenti dei nemici, si preoccuparono molto. Cosa stava succedendo? qual’era la ragione di tanto frastuono? cosa stavano celebrando? Abhimanyu era morto da poco e i Pandava non avevano ragione di festeggiare, bensì di disperarsi. Duryodhana cadde nella più nera ansietà, finchè non arrivarono le spie.
“Presto, ditemi,” chiese, “perchè i Pandava e i loro alleati hanno suonato i loro strumenti? Cosa stanno festeggiando?”
“Arjuna è appena venuto a conoscenza della morte dell’amato figlio e ha giurato di vendicarlo uccidendo il Re Jayadratha prima del tramonto; se non dovesse riuscirvi, entrerà nel fuoco e si lascerà morire.”
A queste parole Jayadratha impallidì di colpo e non riuscì a spiccicare parola. Il terrore lo aveva catturato, confondendolo completamente.
“Se Arjuna ha giurato di uccidermi domani, lo farà certamente,” farfugliò. “Non ho speranze contro di lui e Krishna. Ma io non rimarrò: sarebbe un suicidio. Domani tornerò al mio regno.”
Duryodhana lo calmò.
“No, non devi fuggire. La situazione che si è creata può tornare a nostro vantaggio. Se domani Arjuna non riuscirà a mantenere la sua promessa, noi ci saremo sbarazzati dell’ostacolo più ostico che si frappone fra noi e la vittoria. Non dobbiamo lasciarci sfuggire una simile opportunità.”
“Tutti lo abbiamo visto combattere. Cosa pensi che potrebbe fermarlo? Questa non è una sfida, ma un inutile suicidio. Io domani me ne andrò.”
“Sì, l’ho visto combattere, e non c’è dubbio che è uno dei guerrieri più forti che esistano. Ma se tutti noi ci batteremo con il solo scopo di salvare te, egli non avrà scampo, e sarà perduto. O pensi forse che potrebbe sconfiggere uomini come Drona, Karna, Salya e migliaia di altri uniti per uno stesso fine? E tu, non dimenticarlo, sei un maharatha, capace da solo di fronteggiare Arjuna. Resta, e dacci l’opportunità di eliminarlo dal combattimento.”
Jayadratha, malgrado non si sentisse per nulla rassicurato, si lasciò convincere dalle parole del Kurava.
I generali concertarono il piano per il giorno seguente: la prima consegna per tutti era di non permettere che il figlio di Indra si avvicinasse al monarca di Sindhu.
Quella notte Jayadratha non riuscì a dormire.
Si era lasciato persuadere a rimanere, ma la cosa non lo faceva stare affatto tranquillo. Sperando di ricevere rassicurazioni da Drona che conosceva bene sia lui che Arjuna per essere stato il maestro di entrambi, uscì dalla tenda e si incamminò verso quella dell’Acarya.
“Arjuna ha giurato che domani mi ucciderà,” gli disse, “e io temo per la mia vita. Duryodhana ha cercato di infondermi coraggio, sostenendo che l’esercito verrà schierato in modo da tenermi molto distante dal fronte e che sarò difeso da tutti gli eroi che combattono dalla nostra parte. Ma io ho visto il Pandava in azione e credo che neanche tutti i Deva insieme potrebbero respingerlo. Quello è una furia scatenata e io non sono affatto certo che domani riusciranno a tenerlo lontano da me. Perciò io ora ti chiedo di chiarirmi questo dubbio: se riuscirà ad arrivare dove sono stazionato e mi costringerà a combattere, ho qualche speranza di vittoria? In un duello, chi fra noi ha maggiori possibilità di emergere vittorioso?”
“Giacchè ti vedo molto preoccupato,” gli disse Drona, “ti risponderò con franchezza, senza celarti la verità. Voi due avete preso lezioni dallo stesso maestro, me, e io vi ho istruiti senza parzialità; quindi dovreste avere la stessa forza. Tuttavia non ci sono dubbi che Arjuna ti è superiore sotto ogni aspetto. E’ più abile, più forte e più intelligente. Oltre a ciò possiede armi divine che ha ottenuto nei pianeti celesti e soprattutto ha Krishna dalla sua parte; dunque è invincibile. Ma tu sei uno Kshatriya, e la morte non deve spaventarti. Domani saremo tutti davanti a te e creeremo una barriera invalicabile; inoltre costruirò un vyuha a tre strati assolutamente impenetrabile persino agli stessi Deva. Fatti coraggio, nulla è perduto. Tenteremo in ogni modo di impedirgli l’avanzata e di salvarti la vita. Non temere.”
Un pò rinfrancato Jayadratha tornò alla sua tenda, ma stentò comunque a prendere sonno.
Arjuna invece dormiva; ma i suoi sogni non erano tranquilli. Erano tutti rivolti al ricordo del figlio. A quel ragazzo appena sedicenne, pieno di energia ed entusiasmo che per un atto di generosità e di coraggio si era ritrovato barbaramente trucidato da sei maharatha. Per l’intera notte i suoi pensieri furono continuamente turbati da questa scena raccapricciante e da quella altrettanto agghiacciante di Jayadratha che impediva l’avanzata ai suoi fratelli. A frenare quell’altalena di immagini era poi giunto Krishna, il quale gli aveva rivelato che per uccidere Jayadratha avrebbe dovuto usare la Pashupata, l’arma accordatagli tempo addietro da Shiva. Così nel sogno si era visto adorare il grande Deva e, insieme a Krishna, volare poi verso la montagna Mandara, dove avevano incontrato Shiva.
“Qui vicino c’è un grande lago,” aveva detto loro; “lì troverete qualcuno che vi darà ciò che cercate.”
I due amici avevano seguito le sue indicazioni ed erano arrivati nei pressi di un immenso lago. Dalle acque era spuntato un serpente dalle cento teste, le cui bocche emanavano gigantesche fiammate. Appena si era accorta di Krishna e Arjuna, la bestia si era immediatamente trasformata in un grande arco che i due si erano affrettati a portare a Shiva. Quest’ultimo aveva così insegnato loro tutti i segreti per poter utilizzare la Pashupata correttamente. Terminato l’addestramento, erano tornati sulla terra.
Questo sogno gli aveva occupato l’intera nottata.
Post view 479 times
Leave a Reply