Il quattordicesimo giorno
Di prima mattina, dopo che ebbero svolto le loro devozioni, i guerrieri si apprestarono a organizzarsi per un altro duro giorno di combattimento, il quattordicesimo. I preparativi, come ogni mattina, fervevano.
Nel frattempo, i generali dei Pandava si erano riuniti nella tenda di Yudhisthira per discutere dei piani della giornata.
Arjuna raccontò lo strano sogno fatto nella notte appena trascorsa. Ascoltato con emozione, tutti vollero congratularsi per la fantastica opportunità che gli era stata concessa. Soprattutto si considerava fortunato perchè riusciva a ricordare nitidamente il modo di usare la Pashupata.
Mentre narrava di queste cose, erano arrivati anche Krishna e Satyaki. A quest’ultimo disse:
“Amico mio, vedo che tutti sono eccitati per il mio giuramento, e i soldati si aspettano grandi cose da me, oggi. Sicuramente questo è l’ultimo giorno di vita del vile Jayadratha, per colpa del quale mio figlio ci ha lasciati. Ma non dobbiamo dimenticare che Drona è ancora dall’altra parte, e che anche lui ha una promessa in sospeso: la cattura di Yudhisthira. Faremmo bene a non sottovalutare il pericolo. Oggi io sarò totalmente impegnato e non potrò rimanere nelle sue vicinanze. Dunque a te spetta il dovere di proteggerlo. Solo tu puoi farlo. Tu sei mio discepolo e anche cugino di Krishna; in battaglia non mi sei da meno e se il tuo impegno sarà al massimo, l’Acarya non passerà queste linee.”
Satyaki sorrise.
“Assolvi tranquillamente il tuo compito; finchè io vivrò, Drona non riuscirà neanche a toccare tuo fratello.”
Mentre i Pandava pianificavano le strategie per resistere agli attacchi nemici e contemporaneamente aiutare Arjuna ad avvicinarsi a Jayadratha, i Kurava cominciavano le complesse manovre per sistemare i loro eserciti secondo una formazione a tre strati.
Nel primo strato, accompagnato da 1500 elefanti infuriati e decine di migliaia di soldati, valorosissimi e sprezzanti della paura, stazionavano i tre figli di Dhritarastra: Durmarshana, Dusshasana e Vikarna. Li seguivano Drona, Duryodhana e Karna accompagnati dai loro battaglioni.
Nel terzo strato migliaia di grandi eroi, tra cui Asvatthama, Vrishasena, Salya e Kripa, vigilavano i sentieri interni. Jayadratha era dietro di tutti, a quasi ottanta chilometri dal punto in cui si sarebbe svolto lo scontro diretto. Vedendo davanti a sè quell’immenso oceano di uomini e animali, il Re di Sindhu si sentì talmente al sicuro da maturare la consapevolezza che Arjuna poteva essere considerato già morto.
Nessuno credeva che Arjuna nè altri sarebbero mai riusciti, nell’arco di un solo giorno, ad arrivare alla meta. Ma nonostante quella certezza, quando il carro del Pandava, che era guidato dal Signore in persona e protetto dagli impavidi Yudhamanyu e Uttamaujas, si mosse, nessuno dalla parte dei Kurava riuscì ad evitare un brivido di terrore. Persino Jayadratha, quando gli riferirono che Arjuna si era mosso, nonostante fosse a una distanza di sicurezza di decine di chilometri e fosse protetto da milioni di forti guerrieri, ebbe la medesima sensazione; pensare ad Arjuna era come pensare al dio della morte in persona.
E il grande giorno cominciò.
Il terzo dei figli di Kunti, diretta progenie del Re dei pianeti celesti, esaminò l’esperta opera del maestro. Poi disse:
“Oggi Drona ha superato sè stesso, e anche noi dovremo farlo. O Krishna, o Govinda, vedi? A proteggere il primo dei tre strati a forma di ruota c’è Durmarshana, uno dei fratelli di Duryodhana. Penetreremo nell’esercito nemico cominciando da lì.”
Sri Krishna, quindi, in accordo al desiderio del suo amico e devoto, spronò i cavalli in direzione dell’esercito di elefanti del Kurava. Quando li videro arrivare di gran carriera, i soldati si fecero coraggio tra loro e si batterono con grande impegno. Ma l’impeto di Arjuna era pari a quello di un uragano. Ne seguì un tale massacro che nessuno ebbe la forza di continuare a combattere; i sopravvissuti, Durmarshana compreso, dovettero darsi a una fuga precipitosa.
Il fratello era fuggito senza ritegno e il punto di collisione oramai divenuto un immenso cimitero, così Dusshasana intervenne, coadiuvato dal suo esercito di elefanti. Ma in pochi secondi l’aria si riempi’ delle frecce di Gandiva, e il suono dell’arco celestiale divenne simile a un concerto di strumenti a corda. E il risultato fu la distruzione quasi totale. Lo stesso Dusshasana, che aveva cominciato quel duello con un sorriso di scherno sul viso, dovette poi fuggire precipitosamente. Tutti stentavano a crederci, era una cosa assolutamente incredibile: in pochi minuti Arjuna era riuscito a passare oltre la prima formazione.
“Ora che abbiamo messo in fuga i fratelli del nostro detestabile cugino,” disse il Pandava con un sorriso sulle labbra, “dovremo affrontare Drona e il suo battaglione che ha disposto a padma-vyuha, il fiore di loto. Lo stesso schieramento per colpa del quale è morto Abhimanyu. Amico, non perdiamo altro tempo, guidami laddove si trova il nostro Acarya.”
Appena vide la venerabile figura abbastanza vicina, Arjuna fece fermare il carro e giunse le mani in segno di rispetto.
“O maestro, concedimi le tue benedizioni. Solo così riuscirò a vincere questa guerra. Dopo aver penetrato facilmente nel primo strato, mi trovo ora davanti a te, e se tu non lo desideri non riuscirò mai a vincerti. Permettimi di addentrarmi nel vyuha che tu hai costruito con tanta sapienza. Fa sì che io possa procedere per la mia strada.”
Drona si sentiva colmo di ammirazione e nel contempo sorpreso al pensiero di quanta umiltà e modestia potessero essere presenti nell’animo di un uomo tanto valoroso.
“Non puoi penetrare nel vyuha senza prima avermi sconfitto,” rispose l’Acarya con un gran sorriso. “Desidero combattere contro di te.”
E i due diedero luogo a un altro fantastico duello.
Ma ancora, come quando era presente Bhishma sul campo di battaglia, il virtuoso Pandava combattè senza entusiasmo, quasi distrattamente. In effetti un senso di disgusto gli stringeva lo stomaco al pensiero degli atti atroci che era continuamente costretto a commettere. Solo qualche giorno prima aveva dovuto scagliare le sue armi contro il corpo dell’amato nonno, e ora si vedeva in lotta con il suo guru che rispettava e venerava. Eppure egli comprendeva di doversi scuotere da quel senso di prostrazione; se dianzi infatti sarebbe stato difficile tirarsi indietro, ora era diventato impossibile.
Per quel duello trascorse molto tempo.
“Si sta facendo tardi,” gli disse Krishna allarmato. “Drona è troppo forte e potrebbe tenerti impegnato per delle ore. Se continua così, non riuscirai ad arrivare da Jayadratha prima del tramonto. Abbandona il duello e penetra nel padma-vyuha.”
Raccolto il suggerimento, Arjuna offrì al maestro rispettosi omaggi, e disse a Krishna di spronare i cavalli alla loro massima velocità; come un lampo essi si introdussero nel secondo strato, spargendo morte e distruzione. Doveva recuperare il tempo perduto nel duello con Drona, e per questo il Pandava combattè con furia raddoppiata.
Vedendolo nel mezzo del suo esercito, Drona si accinse a inseguirlo proprio nello stesso momento in cui tre forti generali, Kritavarma, Sudakshina e Shrutayus, ognuno appoggiato dai rispettivi battaglioni, lo raggiunsero e lo sfidarono. Attaccato in contemporanea, Arjuna preferì non perdere altro tempo prezioso in un normale combattimento e si ritrovò costretto ad invocare il brahmastra per scrollarsi di dosso quegli scomodi nemici. L’effetto di quell’arma fu tremendo: il cugino di Krishna, Kritavarma, fu gravemente ferito, tanto che cadde privo di sensi nel suo carro. Sudakshina, invece, vista la situazione, preferì fuggire.
Fu allora che il coraggioso Shrutayudha, in possesso di una mazza di origine divina, attaccò il valoroso Partha con tutta la rabbia che aveva in corpo, e con la mente annebbiata dal desiderio di uccidere entrambi gli avversari. Questo valoroso monarca aveva ricevuto l’arma in cambio di numerose e difficili austerità, e con quella nessun nemico avrebbe mai potuto resistergli, chiunque egli fosse stato. Per di più chi la possedeva diventava praticamente invulnerabile. L’unico suo punto debole consisteva nel fatto che mai avrebbe dovuto essere lanciata contro un uomo privo di armi e che non fosse partecipe ai combattimenti. Ciò sarebbe risultato fatale al suo possessore.
Shrutayudha combattè con grande ardore, ma non riuscendo ad avere la meglio, si sentì pervadere dall’ira e perse il lume della ragione. Pensando che fosse Krishna la sorgente della forza del Pandava, afferrò la mazza e gliela scagliò addosso. Ma all’improvviso l’arma cambiò direzione e guizzò verso di lui, colpendolo a morte. Alla vista di Shrutayudha che cadeva al suolo ricoperto di sangue, Sudakshina tornò sui propri passi e combattè con valore; ma in seguito a un aspro duello anche lui perse la vita.
Dopo che anche i due maharatha Shrutayus e Acyutayus ebbero trovato la morte per mano del terribile Pandava, i soldati che componevano la padma-vyuha di Drona si dispersero per il terrore. A quel punto l’avanzata di Arjuna diventò agevole.
Vedendo il cugino procedere così speditamente, Duryodhana, allarmato, corse dal maestro.
“Guarda, Arjuna si sta dirigendo verso Jayadratha praticamente senza più ostacoli. Perchè gli hai permesso di penetrare all’interno delle nostre formazioni? perchè non l’hai fermato? o vuoi forse che Jayadratha muoia?”
“Io ho cercato di farlo,” ribattè questi cercando di mantenere la calma, “ma i suoi cavalli sono troppi veloci e io non ho Krishna alla guida del mio carro. Cosa pretendevi che facessi? Io sono vecchio oramai e non ho più la forza e l’agilità di una volta. Tu però sei giovane e puoi andarci al mio posto. O non vuoi più che io catturi Yudhisthira? Ciò potrebbe essere la soluzione a questa guerra.”
“Ti stai prendendo gioco di me? Come puoi pensare che io riesca a fermare Arjuna se tu, che sei molto più forte di me, non ci sei riuscito?”
“Non temere,” rispose Drona. “Farò in modo che le frecce del Pandava non penetrino nel tuo corpo. Prendi quest’armatura: è protetta da Brahma, e qualsiasi parte del corpo che essa ricopre non corre il rischio di essere raggiunta da alcun’arma. Quando Indra si trovò di fronte il grande Asura Vritra, la indossò, e potè combattere al pari del formidabile nemico. Indossala tu, ora, e corri a fermare Arjuna.”
Non particolarmente entusiasta della cosa, Duryodhana fece comunque come il maestro gli aveva detto.
Quando avvistò Arjuna, questi aveva già percorso metà strada rispetto al punto in cui Jayadratha stazionava.
Nel frattempo l’armata dei Pandava guidata da Dhristadyumna, grazie alla breccia aperta da Arjuna, aveva sorpassato la prima vyuha ed era arrivata nei pressi di Drona. In quel punto lo scontro infuriò con immane crudeltà. In pochi minuti le vittime furono migliaia. Numerosi furono i duelli singoli che i grandi eroi ingaggiarono fra di loro. Travolto dalla furia e dalla scienza militare di Drona, Dhristadyumna ebbe la peggio. Potè salvarsi solo grazie al soccorso di Satyaki, che rispose in modo mirabile agli attacchi del maestro, tanto che Drona stesso non riusciva a credere ai suoi occhi quando lo vide muoversi in quel modo sul campo di battaglia.
“Guardate Satyaki,” diceva. “Guardate come combatte. C’è qualcun altro nel mondo che sa fare ciò che fa lui? Mi sembra di vedere Bhishma stesso, oppure il suo maestro Arjuna, o Parasurama o addirittura il generale dei Deva, il figlio di Shiva, Kartikeya.”
Così Drona si lanciò contro quel formidabile guerriero e ne risultò una lotta talmente affascinante che persino gli esseri che abitano sui pianeti celesti vennero ad ammirarli. Finchè quello straordinario duello non fu interrotto dall’arrivo dei rinforzi da ambo le parti che scatenò una mischia caotica.
L’avvicinamento di Arjuna
Inesorabilmente il sole stava dirigendosi verso occidente.
Metà della giornata era già trascorsa. Ora Arjuna, che si rendeva conto di aver perso troppo tempo nei duelli con Drona e con gli altri maharatha, realizzò che doveva cominciare a combattere anche contro il tempo e raddoppiare perciò i suoi sforzi. Gandiva quasi era scomparso dalla sua mano. Tenendo sempre l’arco al massimo della capacità di piegamento, quasi in forma circolare, nessuno riusciva più a distinguerne i movimenti; prendere la freccia, recitare i mantra, scagliarla e prenderne un’altra erano diventati un tutt’uno. Da quell’arma micidiale fluiva una corrente ininterrotta di dardi mortali, che colpivano con una precisione disumana. I Kurava erano terrorizzati.
Ma dopo un pò, accorgendosi che i cavalli di Arjuna cominciavano a mostrare segni di stanchezza per il gran correre, ripresero coraggio e aumentarono nuovamente i loro sforzi. I nobili destrieri, che sanguinavano abbondantemente in più parti del corpo, ora si muovevano più lentamente, con una agilità sempre minore. E Jayadratha era ancora lontano.
I soldati sentirono che il loro sacrificio avrebbe potuto essere determinante per la vittoria finale.
Essendo la corsa di Arjuna frenata a causa dell’affaticamento dei cavalli, i possenti fratelli Vinda e Anuvinda gli si presentarono di fronte e gli lanciarono una sfida. Il duello con i famosi soldati, conosciuti in tutto il mondo per il loro eroismo, fu durissimo e spettacolare. Ma l’impaziente figlio di Indra, che sentiva di avere poco tempo, accantonò la gioia di duellare con quei bravi arcieri, e si ritrovò costretto ad ucciderli subito entrambi.
Ancora, respinse un attacco in massa dei Kurava, ansiosi di vendicare i due fratelli creando attorno a sè quasi un deserto. A quel punto Krishna disse:
“Arjuna, i nostri cavalli sono stanchi, non possiamo continuare a farli correre in questo modo per tutto il giorno. Dobbiamo farli riposare.”
Arjuna riflettè per qualche momento, poi disse:
“Hai ragione, fermiamoci. Mentre tu li farai riposare, io continuerò a tenere a bada i nostri avversari.”
Vedendolo privo della protezione del carro, i Kurava organizzarono un nuovo attacco in massa e, come avevano già fatto con Abhimanyu il giorno precedente, tentarono di circondarlo e di metterlo in difficoltà, attaccandolo da più parti. Ma fu con grande costernazione che dovettero riconoscere che a piedi il Pandava era ancora più incontenibile di quando era sul carro. Il panico di diffuse ovunque e i due rimasero soli per qualche minuto.
“Arjuna, “disse Krishna, “qui non c’è acqua: come possiamo abbeverare i nostri cavalli?”
Dopo aver recitato una preghiera a Varuna, Arjuna generò con le sue armi divine un laghetto d’acqua dolce, che poi circondò con un fitto muro di frecce. Lì, dentro quell’impenetrabile cortina, i cavalli si ristorarono.
Intanto i Kurava, davanti a quelle meraviglie, sembravano aver perso del tutto interesse per il combattimento: nessuno riusciva a distogliere gli occhi da quei due personaggi estasianti e si udiva bisbigliare ovunque la stessa domanda: cosa non era in grado di fare Arjuna?
Appena i cavalli ebbero recuperato le forze, i due rimontarono sul carro e, sfondato con impeto il muro di frecce, ripresero la corsa. Duryodhana arrivo’ esattamente in quel momento.
Come si rese conto della situazione si sentì disperato: il cugino era già arrivato al limite della terza vyuha, e ne aveva già superate due che pure erano impenetrabili agli stessi dei. Si stava avvicinando troppo a Jayadratha. Lo vide mettere in fuga o uccidere con furia inaudita chiunque gli si ponesse di fronte.
Allora il figlio di Dhritarastra, in ansia per la vita del cognato, gridò al Pandava di fermarsi e di accettare la sua sfida.
Allorchè il duello ebbe inizio, Arjuna e Krishna con sorpresa si accorsero che nessuna freccia riusciva a penetrare in quell’armatura, mentre le armi di Duryodhana provocavano dolorose ferite.
E il sole si avvicinava sempre di più all’orizzonte.
Infine Arjuna capì.
“Amico mio, adesso comprendo la ragione per cui il vile cugino appare così forte. Quella che indossa è l’armatura di Brahma che in questo momento Drona ha con sè. Ricordo che molto tempo fa me la mostrò e mi insegnò anche come contrattaccare chiunque l’avesse portata. Ora, in questo preciso istante, io distruggerò quel malvagio.”
Così invocata un’astra mortale, la scagliò con violenza; ma proprio in quel momento sopraggiungeva Asvatthama, il quale vedendo il Re in pericolo ruppe la freccia mentre essa gli si avvicinava alla velocità del lampo; quella potente arma non poteva essere usata una seconda volta.
Ma Partha non si scoraggiò.
“Non importa se il figlio del guru ha neutralizzato la mia arma,” disse col sorriso sulle labbra, “perchè posso fare qualcos’altro. Duryodhana non sa come portare quell’armatura divina. Infatti la indossa al pari di un bambino che abbia infilato i vestiti del padre; osserva allora come lo sistemo.”
E in quel momento, sotto la pressione di quel possente braccio, da Gandiva scaturì un terrificante torrente di frecce dalle punte sottili come aghi che trafissero Duryodhana in tutte le parti che aveva lasciato scoperte, persino sotto le unghie e sotto le palme dei piedi. Torturato da un dolore lancinante, Duryodhana non potè fare a meno di fuggire.
Ridendo divertiti a quella scena buffa, i due spronarono i cavalli in direzione della sucimukha-vyuha, il terzo strato, quello oltre il quale c’era Jayadratha. Erano distanti solo tre chilometri, ma di fronte avevano una potente formazione affollata da eroi praticamente invincibili. Arjuna aveva tutte le ragioni per sentirsi preoccupato.
“Krishna, ora stiamo per arrivare in contatto con un’ennesima vyuha, dove sono disposti i soldati più forti. Suona la Panchajanya, spaventiamo i nostri nemici e infondiamo rinnovato entusiasmo nei nostri lontani alleati, che non sanno nemmeno se sono vivo oppure morto.”
Quando il vigoroso suono trascendentale si diffuse nell’etere, Arjuna fece vibrare la corda di Gandiva. I Kurava che non erano ancora in vista capirono che i tanto temuti avversari stavano per arrivare, e si prepararono a riceverli.
Quello era il punto in cui c’era la maggiore concentrazione di maharatha: davanti a sè Arjuna cominciava a vedere Bhurisrava, Shala, Karna, Vrishasena, Kripa, Salya e Asvatthama, tutti seguiti dai rispettivi battaglioni.
In pochi istanti si scontrarono e l’urto fu tremendo.
Ma benchè Arjuna e i suoi due aiutanti combattessero con furore, si accorsero che il pomeriggio era già inoltrato e che il sole stava calando inesorabilmente.
Cosi’ raddoppiarono i loro sforzi.
I timori di Yudhisthira
L’avvicinamento di Arjuna a Jayadratha non era comunque l’unico motivo di interesse della giornata, nè il Pandava era il solo a combattere tanto mirabilmente. A diversi chilometri di distanza Drona, dopo aver provocato sfaceli nella prima linea avversaria, si era avvicinato pericolosamente a Yudhisthira, il quale coraggiosamente ne aveva accettato la sfida. Ma quel giorno l’Acarya, ancora eccitato dalla vista del combattimento di Arjuna, era veramente insuperabile, e in pochi istanti gli fu così vicino che potè saltare su di lui, proprio come fa un leone quando è sicuro di aver acciuffato una gazzella; ma proprio all’ultimo secondo provvidenzialmente arrivò Satyaki, che strappò via il figlio di Pandu dalle mani del nemico, mentre contemporaneamente rispondeva ai suoi attacchi.
Drona aveva fallito ancora. Per di più molti bravi soldati avevano perso la vita per quel tentativo mancato.
Tra le file dei Kurava c’era anche il potente Alambusha, che era venuto a Kuruksetra per un motivo particolare: quando era ancora in vita, Baka era stato un suo caro amico, così ora lui voleva vendicarne la morte uccidendo il responsabile.
Lo scontro con Bhima fu titanico; poi intervenne Ghatotkacha. Dopo una furiosa lotta, il figlio di Bhima uccise Alambusha e lo scagliò a molte miglia di distanza, lasciando i Kurava sbigottiti e terrorizzati. Nessuno aveva mai pensato neppure lontanamente che l’invincibile Rakshasa potesse perire in un duello.
E proprio in coincidenza con la morte di Alambusha, i Pandava sentirono il suono di Panchajanya e si preoccuparono.
“Perchè Krishna sta suonando la sua conchiglia con tanto vigore? Cosa è successo?”
“Forse Arjuna è morto,” disse qualcuno, “e ora Keshava intende prendere le sue armi e distruggere l’universo intero. Il suono di Panchajanya sembra particolarmente terrificante, oggi.”
Anche Yudhisthira si preoccupò e chiamò a sè Satyaki.
“Senti questi suoni; è Panchajanya. Mi sembra di percepire un messaggio, una richiesta di aiuto. Forse mio fratello è in difficoltà e Krishna vuole farci capire che hanno bisogno di noi. Corri, amico mio, va ad aiutare il tuo maestro, o saremo perduti. Se Jayadratha non morirà prima del tramonto ogni speranza di vittoria diverrà vana.”
Satyaki non era molto convinto.
“Arjuna da solo può distruggere l’intera armata dei Kurava,” ribattè, “e inoltre con Krishna che lo guida non corre alcun pericolo. Al contrario noi ci stiamo esponendo a un grave rischio proprio in questo punto del campo, dove c’è Drona che vuole catturarti a tutti i costi. Finchè io sono qui tu sei al sicuro, ma se vado via, chi lo fermerà?”
“Non hai tutti i torti,” rispose il Pandava, “ma io sono certo che mio fratello ha bisogno di te, e che il suono di Panchajanya voleva essere un messaggio per noi. Per quanto concerne Drona non devi temere, perchè Bhima è sempre nei miei paraggi e mi proteggerà. Vai, dunque, non tardare ancora.”
A malincuore il prode Yuyudhana ordinò al suo auriga, fratello di Daruka, di spronare i cavalli e di dirigersi verso l’interno delle file nemiche.
Satyaki, il grande eroe
Nonostante fosse esausto per il duro duello che aveva combattuto con Drona, Satyaki passò con relativa facilità il primo strato, che comunque era stato già quasi distrutto in precedenza da Arjuna. Fu il secondo vyuha a procurargli le maggiori difficoltà.
Lì infatti incontrò ancora Drona, il quale, preoccupato per la spaventosa scia di morte che Satyaki si stava lasciando dietro, gli si parò innanzi e lo sfidò di nuovo. Ma fu subito chiaro a tutti che quella era una sfida che avrebbe potuto anche durare in eterno, cioè uno spettacolo che senz’altro avrebbe deliziato gli esteti delle arti marziali ma che non avrebbe mai sortito alcun risultato pratico. I due si eguagliavano in tutto.
Ma quando il Vrishni capì che l’intenzione dell’avversario era proprio quella, e cioè di bloccarlo in un duello senza fine e ritardargli così l’avanzata, lo salutò rispettosamente e fuggì via.
Mentre Drona lo inseguiva, Satyaki evitò anche l’armata di Bahlika e penetrò in quella di Karna, che si vide colto di sorpresa da quella furia scatenata. In pochi minuti egli usciva dall’altra parte dello schieramento e si scontrava con l’amico Kritavarma, sconfiggendolo e umiliandolo.
Durante la precipitosa avanzata di Yuyudhana, i Kurava furono privati di un altro celebre eroe, il Re Jalasandha, che dopo aver perduto tutto il suo esercito di elefanti e dopo essere stato sconfitto in duello, venne colpito al collo da una freccia che lo decapitò. Così un altro nobile guerriero, amato e rispettato da tutti, non solo dai Kurava ma anche dai Pandava stessi, aveva perduto la vita.
Approfittando del rallentamento che era stato necessario a Satyaki per sconfiggere il suo avversario, Drona, Duryodhana e Kritavarma si erano riuniti ed erano riusciti a raggiungerlo. Satyaki li guardò con aria di scherno.
“Se voi credete di incutermi paura e di impedirmi di avanzare,” disse, “vi sbagliate di grosso. Non sapete che sono il discepolo di Arjuna e il cugino di Krishna? Grazie a loro nessuno può sconfiggermi.”
A quel punto un fiume di frecce infuocate scaturì dal suo arco, e seminò ovunque il panico; a stento riuscirono a salvare la vita di Drona, mentre Duryodhana fuggiva precipitosamente. Satyaki era veramente incontenibile: qualsiasi cosa gli si avvicinasse più di tanto, egli sembrava bruciarla come un enorme fuoco, forte proprio come il sole nell’ora del suo massimo splendore.
Dopo aver ucciso anche il valoroso Sudarshana, riprese la sua corsa per avvicinarsi ad Arjuna.
I Kurava si sentivano nel contempo spaventati, infuriati e in ammirazione: quel giorno il grande Satyaki stava offuscando persino la fama di Arjuna, causando maggiori scompigli dello stesso Pandava. Un battaglione di lanciatori di pietre provenienti dalle regioni montane del nord fu mandato contro di lui, ma Satyaki ruppe tutti i macigni mentre essi a mezz’aria gli saettavano contro e massacrò interamente quei bravi combattenti. Fu poi il turno di Dusshasana che volle tentare di fermarlo, ma quest’ultimo si salvò solo perchè Satyaki volle lasciarlo a Bhima.
Messo in fuga anche quest’altro Kurava, Yuyudhana riprese la sua inarrestabile corsa.
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