lo Yoga-sutra

2) lo Yoga-sutra

 

  1. a) capitolo primo

 

Vediamo il capitolo primo, il Samadhi-Pada, che riguarda gli stadi di concentrazione e di estasi interiore.

 

Prima di tutto dobbiamo chiarire il significato della parola Yoga, che significa “unione”, riallacciamento con Dio, l’Essere Supremo. Lo Yoga è dunque quell’insieme di tecniche grazie alle quali è possibile raggiungere l’unificazione qualitativa con l’Ishvara, il Signore Supremo.

 

Ma è impossibile svolgere queste tecniche a meno che la mente non sia completamente sotto controllo. Infatti non è possibile meditare se la nostra attenzione è continuamente distratta e trascinata

 

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lontano dal punto focale. Il problema sta nel fatto che i nostri sensi sono spinti dai nostri sensi-guida a posarsi in continuazione sui loro rispettivi oggetti, per un gioco di piacere, per poter in ogni istante provare un qualche gusto, una qualche emozione nuova.

 

Questo contatto e le sensazioni provate causano delle impressioni che si stampano nella nostra mente, rendendola sempre più agitata, febbrile, come una macchina impazzita che l’autista non riesce più a controllare. In questa situazione, il nostro viaggio verso la meta diviene evidentemente improbo. Le agitazioni continue, che sono come onde impetuose, ci impediscono di essere forti e stabili nella pratiche delle tecniche che permettono di condurre la ricerca del vero sé. Dopo un po’ la nostra stessa determinazione tende a scemare. Quando invece riusciamo a immobilizzare la mente e a portarla sotto il nostro ferreo dominio, allora, è possibile diventare stabili all’interno di noi stessi, in direzione della nostra ricerca, e non più in balia delle cose esterne. Ma se non si riesce a imbrigliare la mente, non si può fare a meno di identificarsi con le sue varie e forsennate fluttuazione e così sprofondare ancora di più nell’illusione. Ci sono cinque tipi di fluttuazioni (o modificazioni della mente); queste stesse in determinati modi e momenti provocano dolore, altre volte un senso di felicità. E sono: la conoscenza giusta, la conoscenza falsa, l’immaginazione, il sonno e la memoria. Vediamole uno per uno.

 

Possiamo giungere a una conoscenza vera delle cose in modi diversi, quali usando la percezione diretta, cioè quella ottenuta con i sensi e la mente (pratyaksha); oppure attraverso la deduzione, cioè attraverso il ragionamento dell’intelletto (anumana); oppure grazie alle parole delle persone che sono già realizzate (agama). La prima può essere di grande aiuto, ma le informazioni ottenute devono essere valutate attentamente, in quanto i nostri sensi soffrono di pesanti limitazioni e difetti. Di certo non possiamo fidarci ciecamente. Per quanto riguarda la deduzione, fondata sull’esercizio intellettivo, anch’essa è limitata, sebbene più raffinata in confronto alla precedente. D’altra parte non possiamo dimenticare che le nostre conclusioni sono per lo più basate sulla esperienza sensoriale, sulla quale abbiamo costruito il nostro punto di osservazione.

 

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Comunque la deduzione, se ben educata, può portare a un veloce avanzamento spirituale. La terza, cioè la testimonianza di chi ha già avuto esperienza del Tutto, ammesso che si trovi la giusta sorgente di informazioni, è la più affidabile. Chi potrebbe parlarci meglio dell’America di uno che ci sia già stato?

 

Continuando a studiare le cause delle varie modificazioni della mente, troviamo il falso sapere, cioè essere convinti di una cosa falsa. Poi abbiamo l’immaginazione, cioè quelle certezze che ci creiamo artificialmente da noi stessi e che corrispondono convinzioni dannose, come l’idea di essere un corpo e tutto ciò che ne consegue. Il sonno, poi, è lo stato mentale privo di consapevolezza, una specie di indolenza esistenziale in cui si è totalmente in oblio di qualsiasi cosa. Infine la memoria, la rievocazione delle passate esperienze. Tutti questi stati possono causare alla nostra mente delle agitazioni tali da impedire la meditazione e ostacolare le pratiche necessarie alla liberazione.

 

Quindi, come possiamo far sì che queste situazioni negative si arrestino definitivamente, o almeno che si attenuino? Con la pratica continua e il distacco dagli attaccamenti agli oggetti e alle situazioni materiali, risponde Patanjali. Certo, all’inizio tutto ciò richiede costanza, anche fatica, ma alla fine siamo certi di raggiungere la quiete interiore. Dopo un po’ non sarà più necessario una costrizione continua per mantenersi allo stato yogico, ma diventerà una cosa acquisita e dunque del tutto naturale, spontanea, quasi automatica. Ma, ribadisce Patanjali, è fondamentale l’astensione dai piaceri dei sensi, e quando si sarà percepito il Purusha ogni desiderio avrà cessato di arrecare disturbo. Questo stato è chiamato samadhi.

 

Il samadhi è la concentrazione totale sul Signore. Ci sono gradi diversi di samadhi, più o meno perfetti. Per raggiungere la vetta massima, senza la quale la rinascita è certa, è necessario sforzarsi con intensità e sincerità; chi lo fa è vicino al successo.

 

Come ottenere la perfezione? La prima strada che il maestro di tutti gli yogi indica è quella della devozione a Ishvara, detto anche Purusha, o Paramatma. Questo Essere Supremo è un Dio personale, l’Anima Suprema, piena di consapevolezza, ed è trascendentale alle illusioni di questo mondo.

 

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C’è differenza tra l’Anima Suprema e le anime non supreme, noi, i “sé individuali”, insegna Patanjali: mentre la prima è perfetta, onnisciente e illimitata, le seconde (jiva) sono imperfette e limitate. Ishvara è il Signore e Maestro dei maestri, pieno di poteri incommensurabili.

 

Ora Patanjali ci offre uno strumento di meditazione, la sillaba spirituale Om. Questa è la rappresentazione sonora di Dio. Meditando sul suono e sui suoi significati, ripetendola costantemente e con rapita attenzione, ci accorgiamo che gradualmente tutti

 

gli impedimenti svaniscono e ci risvegliamo a una nuova consapevolezza. Purtroppo in questo mondo ci sono troppi fattori di distrazione e tutti provocano solo angoscia e illusione. La pratica costante della meditazione sul suono spirituale è fondamentale ai fini della rimozione di questi elementi negativi. Si deve predisporre la mente con pensieri e sentimenti positivi, virtuosi e controllare attentamente il respiro.

 

Appena ci accorgiamo che tale pratica meditativa comincia a produrre percezioni sensoriali straordinarie, vediamo che la nostra mente acquista sicurezza e diventa uno strumento in più a disposizione per perseverare nella pratica.

 

Ma a cosa si deve pensare durante la meditazione? Patanjali dice che gli oggetti di meditazione possono essere svariati. Egli dà grande importanza all’esercizio di concentrazione in sé ed è grazie a questo sforzo che sopravviene la visione del Paramatma situato all’interno del cuore.

 

Così controllate le modificazioni mentali, la comprensione della propria identità e della differenza che esiste nei confronti degli oggetti esterni e delle situazioni finora percepite con i vari sensi, diventa chiara. Allora il grado del samadhi diviene profondo e siamo liberi dal ciclo delle morti e delle rinascite (samsara).

 

Questa è una sezione del libro “Filosofie dell’India”, in lingua italiana.

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