Per Shankara questi fanno parte del mondo della molteplicità, perché parlano agli uomini con il loro linguaggio e sgombrano dalle loro menti tutti i dubbi e le perplessità. Questa è la ragione per cui i testi e i saggi realizzati insegnano che la realtà sussiste di molteplicità: per condurli passo dopo passo a una comprensione superiore.
Per quanto riguarda l’Ishvara, Shankara non nega che l’idea di un Dio personale (Shiva, Vishnu, o Krishna) che dovrebbe essere venerato e soddisfatto sia espressa nei Veda, dove viene insegnato che questo Dio è un Essere diverso e superiore all’uomo. Ma questo Dio che tutti immaginano diverso da sé, in realtà è identico a ciascuna anima individuale, dato che tutti e due sono manifestazioni dell’Unico Spirito Assoluto. La differenza consiste nel fatto che mentre le jiva sono fornite di un apparato di elementi materiali (quali il corpo e via dicendo), l’Ishvara non è che eterna e illuminata onniscienza. La prigionia della cosiddetta anima individuale non è che una magia (Maya), un’illusione, come nel caso degli yogi che mostrano cose che in realtà non esistono. Tutto questo mondo non è altro che una grande illusione.
Questa Maya, afferma l’Acarya, è composta di ignoranza (avidya), in quanto solo chi sia vittima dell’ignoranza può pensare di esserne parte, ed è paragonabile a un grande sonno di cui, fino al momento del risveglio, sono prigioniere tutte le anime.
Questa è una sezione del libro “Filosofie dell’India”, in lingua italiana.
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