Lettera aperta a Salman Rushdie

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Caro Mr. Rushdie,

io sono un suo lettore. Ho letto il suo best-seller “I versetti satanici” e ora leggo questo suo articolo trovato sul Washington Post.

Lei per me è motivo di stupore e anche di soddisfazione. Stupore perchè mi sfuggono la ragioni del suo successo, e soddisfazione perchè l’unica spiegazione razionale sono le leggi del karma che ritrovo nei testi vedici, come la Bhagavad-gita. Se non ci fosse questo misterioso meccanismo che ci fanno riscuotere “investimenti” delle scorse vite, davvero troppe cose della nostra vita rimarebbero timbrate con un enorme punto interrogativo.

Mi dica: come ha fatto il suo libro “Versetti satanici” a vendere immeritatamente così tante copie? Mi faccia conoscere il suo agente, che anche io scrivo libri ma ne vendo pochi. Dica la verità: quanto ha dato all’Ayatollah Khomeini per sollevare tutto quel polverone? Deve ringraziarlo, diversamente non ne avrebbe venduta una, certo io non l’avrei comperata.

Perchè questo preambolo? Forse perchè diversamente questa riflessione sul suo attacco contro Dio sarebbe stato troppo breve; non avrei infatti saputo che scrivere, data la superficialità degli argomenti da lei sollevati. Mr Rushdie, accostare le atrocità commesse ad Ahmadabad (in India) a Dio è puerile. Si sforzi di più, lei può fare meglio, io lo so.

Da novello Shishupala (se non sa chi è Shishupala si vada a leggere il Maha-bharata: era uno a cui piaceva insultare Dio) lei ha sparacchiato due colpi in aria e non se ne è neanche accorto quasi nessuno. Se non ci fossi stato io a farle un pò si pubblicità sul Forum Hare Krishna in Italia sarebbe passato inosservato.

Ma veniamo al punto, finalmente.

Dio non è responsabile degli orrori di questo mondo. L’uomo è interamente e completamente il colpevole. Il rapporto tra Dio e l’uomo non è quello che intercorre tra la persona e la propria automobile. L’uomo è un essere vivente e il fatto che esiste un Dio non preclude una sua pur limitata indipendenza, per esercitare la quale questi nasce e vive nel mondo della materia. L’uomo commette le atrocità, Dio non ne è responsabile.

Se lei invece dice che è la religione a suscitare disastri, neanche quello sono pronto ad accettare. Ho una foto in mente vista su un giornale indiano che mi dispiace non poter mostrare qui: due vispi ragazzotti indiani con il fazzoletto attorno al viso per non farsi riconoscere, uno ha il braccio sopra la spalla dell’altra e ambedue hanno poco rassicuranti sguardi da teppisti. Non da criminali: teppistelli. Sulla fronte avevano il nome di Ram scritto con il tilaka (la creta). Ecco, quei due non sfigurerebbero in uno stadio di calcio dove gli hooligans se le danno di santa

ragione; e anche a piazza Esedra dove negli anni sessanta i fascisti e i comunisti si picchiavano come maniscalchi; e anche a Rio durante il carnevale; e anche dappertutto la follia e le repressioni umane trovano ragione di sfogo. Non è la religione l’unica scusa umana per la violenza: dove i violenti possono appigliarsi, si appigliano.

Sì: non è la religione autentica a creare motivi di scontro. E neanche la falsa religione, accettata dai governi di alcune nazioni proprio perchè non dà troppo fastidio. L’uomo strumentalizza tutto ciò che ha a disposizione per sfogare la proprio frustrazione e infelicità. Quelle frustrazioni esistono perchè la gente non ha Dio; e non per colpa di Dio.

E’ l’ignoranza di Dio che causa le atrocità, e non la Sua presenza. Dove c’è Dio, ci sono anche le Sue qualità intrinseche, come l’amore e il rispetto della vita.

Lei è indiano. O almeno è nato in India. Dovrebbe saperlo quanto facile sia muovere folle umane inferocite e animalesche in un posto come quello. Ma non è onesto dire che lo fanno per Dio. Loro pensano di farlo per Dio, ma questi non c’entra niente. Per muovere folle in India si usa la religione, perchè la gente è naturalmente religiosa. Per smuovere le folle in Italia si usa la politica perchè il popolo italiano è naturalmente politico. Ma la colpa di tutto è dell’uomo che dimentica i valori elementari dell’umanità.

L’articolo di Salma Rushdie che mi ha spinto a scrivere la mia lettera aperta:

L’immagine della settimana, per me, è quella di un bambino bruciato, il suo braccio annerito, e le sue piccole dita chiuse in un pugno, che esce fuori da ciò che rimane di un falò di corpi umani a Ahmadabad, Gujarat, in India. L’assassinio di bambini è una specialità indiana. E’ una cosa di ogni giorno l’uccisione di figli femmine non desiderate…

Naturalmente danno spiegazioni politiche. Dal dicembre 1992, quando una folla inferocita ha distrutto una moschea vecchia 400 anni, costruita – si dice – nel luogo di nascita del dio Ram, fanatici hindu hanno cercato questo scontro. E alcuni musulmani gli hanno dato una mano. Il loro attacco al treno pieno di attivisti VHP a Godhra (che ricorda i massacri fra hindu e musulmani durante… il 1947)…

… Ma c’è qualcosa sotto tutto questo, qualcosa a cui noi non vogliamo guardare: cioè che in India, come da altre parti di questo mondo oscuro, la religione è il veleno nel sangue. Quando la religione inteviene, la mera innocenza non è più una scusa. Ma noi conitnuiamo ad andare attorno al problema parlando della religione nel linguaggio di moda del “rispetto”. Quale rispetto c’è nei tanti crimini commessi ogni giorno nel terribile nome della religione? E con quali fatali risultati la religione erige totem e come noi simao pronti a uccidere per loro!…

Dunque il problema dell’India è il problema del mondo. Ciò che è successo in India è successo nel nome di Dio. Il nome del problema è Dio.

marzo 2002 – n.1208

 

Questa è una sezione del libro “Il Microfono di Dio”, in lingua italiana.

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