il Sankhya Ateo

3) il Sankhya ateo

 

3a) cenni storici e introduzione

 

I testi canonici di questa seconda tradizione Sankhya sono due: il Sankhya-karika di Ishvarakrishna e il Sankhya-sutra di Kapila.

 

La prima è un’opera abbastanza breve: è costituita di poco più di settanta versi. Nell’introduzione, l’autore afferma di rifarsi agli insegnamenti di Kapila e nei versi concludenti dice che quel saggio aveva avuto un discepolo di nome Asuri, il quale poi a sua volta

 

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avrebbe trasmesso quella conoscenza a Pancashikha. A meno che non si tratti di un caso straordinario di omonimia plurima (l’avatara Kapila aveva avuto discepoli dallo stesso nome), dobbiamo ritenere che Ishvarakrishna si riferisse proprio a lui oppure che la seconda discendenza sia stata costruita di proposito per assomigliare all’altra.

 

Ma allora verrebbe da chiedersi come mai Ishvarakrishna dichiari la sua appartenenza a una scuola con la quale si trova in un contrasto ideologico tanto netto e dalla quale sarebbe poi stato considerato un eretico.

 

Ci sono due risposte possibile. La prima che Ishvarakrishna tenti di far risalire il sistema da lui ingegnato al Kapila antico con lo scopo di dargli dignità di sistema classico. Riguardo a questo, la mentalità indiana è sempre stata diversa da quella occidentale: da noi l’originalità è sempre stata un vanto, mentre in India chi non fosse parte di una sampradaya rispettabile non godeva di grande considerazione. Era il prezzo per essere presi sul serio. La seconda che avesse assunto una missione particolare, cioè di giocare la parte dell’eretico per provvedere agli atei una teoria che sostenesse le loro convinzioni. Nella storia della filosofia indiana non sarebbe la prima volta. Tra i nomi più eclatanti troviamo persino quelli di Buddha e di Shankara.

 

Sembra comunque certo che Ishvarakrishna non sia l’ideatore di quel sistema Sankhya ateo. Probabilmente è stato un ordinatore dalla dubbia fedeltà intellettuale di una tradizione orale preesistente.

 

Per quanto riguarda invece Kapila, si ritiene che fosse vissuto nel quindicesimo secolo e che avesse scritto il Sankhya-sutra. C’è chi nutre persino dubbi che questo personaggio sia mai esistito. Costoro affermano che qualcuno ha assunto il nome di Kapila e ha codificato gli insegnamenti del Sankhya in forma di sutra per la necessità

 

di conferire al sistema autorità e dignità. A quel tempo la dottrina era continuamente attaccata dagli assertori del Sankhya teista, che proclamavano l’estraneità degli avversari alla loro tradizione filosofica. Da lì il bisogno del Sankhya-sutra, oltre al già esistente Karika di Ishvarakrishna.

 

Una prima analisi del Sankhya-karika ci porta subito a notare che gli argomenti trattati possono essere classificati nelle seguenti

 

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sezioni: i giusti mezzi per ottenere vera conoscenza, le cause del creato, i tre elementi che costituiscono la natura, l’anima, l’unione anima-natura materiale, l’origine dei principi cosmici e il loro funzionamento, la triplice natura del mondo fenomenico e della definitiva liberazione dell’anima grazie all’opera della materia.

 

Andiamo ora a vedere questi punti uno per uno.

 

Questa è una sezione del libro “Filosofie dell’India”, in lingua italiana.

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