Il grande re Rama governò a lungo.
Sua madre Kausalya fu la prima a morire. Poi Sumitra e Kaikeyi. Tutte e tre si riunirono a Dasaratha nei pianeti celesti.
Qualche tempo dopo i Deva mandarono un messaggio a Rama. Un giorno un asceta alto e solenne venne ad Ayodhya e chiese di poter parlare con lui. Avvertito dell’arrivo, il rispettoso re venne subito.
“Dimmi, sant’uomo, cosa vuoi da me? Cosa mi devi comunicare?” gli chiese.
“Ho un messaggio importante da comunicarti, ma non posso dartelo in pubblico. Il nostro incontro deve essere privato. E’ molto importante.”
“Certamente. Vieni con me. Andiamo in un posto dove nessuno ci interromperà.” replicò Rama.
Ma il saggio non sembrava soddisfatto.
“Non voglio essere disturbato da nessuno durante il nostro incontro. Prometti che se qualcuno dovesse entrare e interromperci per qualsiasi motivo sarà condannato a morte.”
Rama accettò la condizione e, accompagnato da Laksmana, andarono in una stanza privata.
“Mettiti di fronte alla porta,” disse Rama a Laksmana, “e non far entrare nessuno per nessun motivo.”
Entrarono nella stanza. Il messaggero disse di essere Kala, la personificazione del tempo eterno.
“O Rama,” disse Kala, “tu sei Vishnu incarnato. E’ tanto tempo che sei su questo pianeta e i Deva sono ansiosi di riaverti tra loro. Tutti ti pregano di ritornare nel tuo mondo. I compiti che ti eri prefissato sono stati assolti: Ravana è stato ucciso e anche tanti altri demoni. Hai insegnato agli uomini come si deve comportare un re e un uomo ideale, e hai dato tanta gioia ai tuoi fedeli devoti. Sita, l’incarnazione di Lakshmi, ti sta aspettando con ansia e così tanti altri. Ti preghiamo, torna al più presto.”
Mentre Rama parlava con Kala, arrivò ad Ayodhya Durvasa Muni, che chiese di parlare subito con Rama. Laksmana intervenne e pregò il saggio di attendere qualche minuto, perché Rama era impegnato in un’importante discussione e aveva detto che nessuno avrebbe dovuto disturbarlo. Ma Durvasa non voleva attendere.
“Laksmana, e tutti voi,” tuonò Durvasa, “ascoltatemi. Io voglio parlare subito con Rama, non intendo aspettare. Questo è un segno di mancanza di rispetto. Se non ci parlerò subito, maledirò tutta la vostra dinastia. Vi distruggerò definitivamente.”
Laksmana cercò in tutte le maniere di pacificare il saggio, ma non ci riuscì. Doveva entrare nella stanza ed avvertire Rama dell’arrivo di Durvasa, anche se questo avrebbe causato la sua morte: chi ci avrebbe disturbato dovrà essere giustiziato – aveva chiesto Kala. Ma non poteva permettere la distruzione di tutta la sua dinastia. Allora entrò nella stanza. Rama spalancò gli occhi.
“Laksmana,” gridò, “che hai fatto? Perché sei entrato?”
Laksmana annunciò l’arrivo del saggio. Rama, che aveva terminato in quel momento, corse fuori a ricevere Durvasa. Poi corse da suo fratello minore, sconvolto.
“Signore,” gli disse Laksmana per rincuorarlo, “non dispiacerti per me. utto questo è un preciso disegno divino, ineluttabile. Tu lo sai, presto ci ritroveremo nella nostra dimora eterna.”
Laksmana si recò sulle rive del Sarayu e si sedette in posizione dello yoga. Poi sospese il respiro. E tutti videro Indra scendere per accompagnare il grande e virtuoso Laksmana nei pianeti celesti.
Il dolore della perdita di Laksmana fu insopportabile. Rama chiamò tutti i suoi familiari, ministri e saggi di corte per comunicare delle decisioni importanti.
“Ho deciso di lasciare il trono a Bharata e ritirarmi nella foresta,” fu il tremendo comunicato. “Il tempo che dovevo trascorrere su questa terra è oramai terminato e sento un grande desiderio di tornare nella mia dimora originale.”
Questa è una sezione del libro “Il Ramayana”, in lingua italiana.
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