Ciò che è Inconscio (la materia) Appare Essere Cosciente

A causa dell’unione dei due, ciò che è inconscio (la materia) appare essere cosciente; e ciò che è indifferente (l’anima) appare essere attiva nelle azioni causate dalle interazioni dei tre elementi costitutivi (Guna). Lo scopo ultimo di questa unione è di far capire all’anima la verità della natura materiale e di guadagnare liberazione dalla schiavitù, che è causa di grandi sofferenze.

 

Il purusha è il principio in grado di identificarsi, cioè è l’unico ente capace di dire “io sono questo”. E’ eterno e mai prodotto; ma egli non produce niente, perché è statico e immodificabile. Sempre fermo, immobile nella sua essenza, non può mai cambiare ciò che è. Privo di attributi, mera coscienza onnipervadente, non si amalgama completamente nei corpi che assume, anche se ne è a contatto per lungo tempo. La sua esistenza si deduce dal fatto che questa realtà materiale sia stata capace di organizzarsi. Senza la presenza del Purusha, Prakriti non avrebbe mai potuto generare alcunché ed è per il suo bene che Prakriti ha manifestato tutto ciò che esiste. Infatti, come già detto in precedenza, un’entità composta (come è la materia) può creare qualcosa solo se c’è qualcuno che poi ne beneficia, e mai per sé stessa. Egli (il purusha) è sempre libero da ogni azione e modificazione e dunque non può mai essere

 

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stato prodotto: è un principio eterno. Infatti l’atto di essere creato comporterebbe una modificazione rispetto allo stato iniziale, ma l’anima è sempre ferma nel suo essere e non può mai cambiare. E se il Purusha non può subire modificazioni, non è neanche in grado di passare da uno stato di non-esistenza a uno di esistenza, perché ciò mostrerebbe, appunto, la capacità di modificarsi; dunque è eterno. Secondo Ishvarakrishna, l’anima non può agire e non è in grado di provare la gioia, in quanto tale qualità non è parte della sua natura. Soffrire e godere, così come la capacità di agire, appartiene a Prakriti e non a Purusha. Ma, dovuto all’illusione che lo imprigiona, l’uomo pensa erroneamente che sia Purusha colui che agisce e che ha il diritto di godere.

 

Ora, come i Sankhya-nirishvara giudicano il processo conoscitivo? Come giungere a una conoscenza che sia priva di errori? I mezzi autentici e accettati sono solo tre: la percezione sensoriale (come la vista e l’udito), l’inferenza (che è la deduzione intellettuale) e la testimonianza degna di fede (come le scritture rivelate e i saggi realizzati). La qualità della conoscenza che scaturisce dipende dall’uso che si fa di questi strumenti. Infatti il saggio mette in guardia i suoi studenti dai problemi che possono generare dall’uso dei mezzi di conoscenza. Infatti, per fare un esempio, afferma di non fidarsi completamente dei sensi e delle capacità intellettive, in quanto limitati e imperfetti.

 

Passiamo ora ad enumerare i principi che costituiscono la natura nel suo stadio manifestato, cioè al momento presente, in cui la natura materiale si è totalmente espressa. Non approfondiremo la questione perché ci sono molte similarità col Sankhya teistico, per cui chi

 

ha letto la prima parte può trovare superfluo rileggere la completa descrizione dei principi costitutivi della creazione.

 

Dalla natura (prakriti) viene l’intelletto (buddhi), da cui proviene il senso dell’io (ahankara); poi tutti gli altri elementi. La funzione dell’intelletto è quella di accertare come siano veramente le cose, ed

 

  • costituito dalla virtù, dalla conoscenza, dal distacco e dal potere. Queste qualità costituiscono il suo aspetto luminoso (sattvika).

La mente coordina il funzionamento degli organi di senso, ed è essa stessa un organo sensoriale.

 

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Segue poi la descrizione degli altri elementi.

 

Il punto fondamentale del Sankhya ateo, comunque, rimane il fatto che l’unico scopo logico dell’azione è l’interesse dell’anima, cioè quello di volerla beneficiare. Un qualsiasi organo non può essere mosso ad agire da null’altro. Tutto è incentrato sull’aiutare l’anima a liberarsi dalle catene dell’ignoranza. Grazie all’opera dell’intelligenza diventa possibile determinare la sottile differenza fra natura e anima, tra materia e spirito, e grazie a questa sapienza siamo in grado di liberarci.

 

L’anima è prigioniera dell’idea errata di essere parte della materia, per cui soffre. Tutte le esperienze che subisce si accumulano nel corpo sottile (linga) e causa delle modificazioni, o modi di essere (bhava), che sono quelli che causano una nuova nascita. E lui, il purusha, è trascinato nel vortice dell’esistere. Ed è sempre per il bene ultimo dell’anima che il corpo sottile, in collaborazione con la natura, assume forme diverse.

 

In quali corpi è possibile andare a vivere? Ishvarakrishna specifica che ci sono tre tipi di corpi: quello degli esseri celesti, che vivono nei pianeti superiori, quello degli uomini, che popolano i pianeti mediani, e quello degli animali. In uno qualsiasi di queste forme viventi, l’anima sperimenta, in diversi gradi e forme, sempre la stessa cosa: la sofferenza. E tutto ciò va avanti fino all’estinzione del corpo sottile.

 

Come è stato già spiegato in precedenza, anche se vediamo gli organi di azione del corpo materiale agire, essi non lo stanno facendo per il proprio vantaggio, ma solo per quello del purusha, dell’anima. Questi è il beneficiario di tutto. Ishvarakrishna fa l’esempio del latte, che esiste in modo disinteressato per il benessere del vitello, il quale nulla dà al latte stesso, ma così tanto prende.

 

Cosa succede alla prakriti dopo la liberazione dell’anima? Il filosofo usa l’esempio della danzatrice e del pubblico; alla fine dello spettacolo, lei si ritira e il contatto cessa. Dunque la natura materiale, dopo aver salvato l’anima, smette ogni attività.

 

In cosa consiste la liberazione? Null’altro che nella presa di coscienza da parte del purusha di essere sempre stato libero, che la prigionia era in realtà illusione. E quando egli sarà finalmente

 

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arrivato ad aver realizzato questa verità, avrà capito che la conoscenza è un “io non sono”, che “nulla è mio” e che in realtà “non c’è un io”. Questa è liberazione perfetta, in quanto definitiva.

 

E quando anche gli ultimi effetti del karma cessano di agire, al momento della morte ogni attività si spegne e l’anima perviene all’isolamento liberatore che è la Perfezione Ultima e Suprema.

 

Questa è una sezione del libro “Filosofie dell’India”, in lingua italiana.

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