Agastya narra una storia a Rama

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Nel regno di Rama la sofferenza era sconosciuta perché il re era ben attento a proteggere i cittadini dalle influenze della degradazione materialistica. Proprio per questo un giorno punì un shudra di nome Samvuka che si impegnava in attività non consone alla sua classe. Nel momento in cui Rama dette quella punizione, i Deva apparvero e gli chiesero di accompagnarli da Agastya che stava completando un sacrificio durato dodici anni.

Rama e i Deva andarono nell’eremo di Agastya che li ricevette con tutti gli onori. Agastya sapeva bene quanto gloriosamente Rama stesse governando il suo paese, e volle fargli dono di alcuni ornamenti per mostrargli apprezzamento.

“Ti ringrazio per questi bellissimi ornamenti che vuoi donarmi,” disse Rama, “ma tu sai che solo i brahmana possono accettare doni, e che gli kshatriya dovrebbero rifiutarli. Come posso accettare ciò che mi offri?”

“Ti spiegherò il motivo,” disse Agastya, “per cui tu dovresti accettarli. Ascolta questa storia. 

“In Satya-yuga non esistevano re perché non ce n’era bisogno. Poi si presentò la necessità e il problema fu esposto a Brahma. Mentre ascoltava, Brahma starnutì e dal suo naso scaturì una persona. Costui fu chiamato Kshupa . Egli fu designato come primo re della terra, e ricevette lo spirito di Indra per il governo della terra, lo spirito di Varuna per il mantenimento del corpo, lo spirito di Kuvera per l’accumulo delle ricchezze e lo spirito di Yama per l’amministrazione del castigo. Nello spirito di Indra tu devi accettare questi doni.”

Rama li prese con sé e li osservò attentamente.

“Questi ornamenti hanno qualcosa di speciale. Chi te li ha dati? O dove li hai trovati?” chiese.

“Tempo fa,” raccontò Agastya, “entrai in una foresta dove non ero mai stato e volli visitarla. Lì praticai molte austerità. Una notte entrai in un eremo abbandonato e vi passai la notte. Quando il sole sorse, mi svegliai e mi accorsi che vicino a me c’era il corpo di un uomo morto, disteso. Ero stupito: la sera prima non c’era. Lo guardai e vidi che aveva delle fattezze corporee molto attraenti. Mentre cercavo di capire cosa potesse essere successo e chi avesse messo quel cadavere lì dentro, vidi un essere celeste che proveniva dal cielo, ed era accompagnato da altri bellissimi personaggi che cantavano e danzavano. E mentre guardavo quel glorioso essere, lo vidi che prendeva a mangiare il corpo che quella mattina avevo trovato vicino a me. Mi stupii. Tutto ciò che lo circondava era di una bellezza e di una gloria evidenti: mi sembrò strano che si cibasse di un cadavere.

“Perché mangi un cibo così abominevole?” gli chiesi. “Tu mi sembri una grande personalità; cosa ti induce a comportarti così?”

“Grande saggio,” rispose lui con una voce soave, ma triste. “Il mio nome è Sveta e come premio per le mie ascesi riuscii ad andare a Brahma-Loka. Ma quando vi arrivai sentii che avevo fame e ne fui stupito, giacché sapevo bene che in quel pianeta la fame non esisteva. Così andai a chiedere spiegazioni a Brahma stesso.

“Hai fatto austerità,” mi rispose lui, “ma non carità. Ed è questa la ragione per cui hai sentito i morsi della fame. Dovrai cibarti di carne umana per scontare questa mancanza. Un giorno incontrerai Agastya e dovrai fargli la carità. Questo ti permetterà di accedere definitivamente nel mio pianeta.”

“Accetta questi ornamenti celestiali dalle mie mani,” concluse Sveta, “e permettimi così di accedere al mondo di Brahma.”

“Io accettai quegli ornamenti, che sono gli stessi che ti ho regalato.”

 

 

Questa è una sezione del libro “Il Microfono di Dio”, in lingua italiana.

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