Senza dubbio alcuno, è uno dei personaggi più affascinanti di tutta la tradizione Vaisnava. Su di lui è difficile non soffermarsi, ammirati davanti a tanta scienza e devozione.
Negli scritti del nostro maestro spirituale, Bhaktivedanta Svami Prabhupada, dopo il nome di Jiva Gosvami compare svariate volte il termine “Prabhupada”, titolo onorifico conferito a guru particolarmente importanti: infatti il significato è “colui ai cui piedi tutti i maestri siedono”. Nei numerosi testi che abbiamo a nostra disposizione, tale titolo viene rivolto soltanto a quattro eminenti personalità: Rupa Gosvami Prabhupada, Jiva Gosvami Prabhupada, Bhaktisiddhanta Sarasvati Prabhupada e Bhaktivedanta Svami Prabhupada. Il “nostro” Prabhupada si rivolge con questo appellativo solo ai primi tre: questo, però, non sta a significare che non siano vissuti altri grandi maestri ugualmente degni di tale onore.
Note generali
Come nel caso di molti altri Acarya Vaisnava, la data precisa della nascita e della scomparsa del Gosvami è dubbia e lo stesso Bhaktivinode Thakur ammette l’esistenza del problema. Le date più accreditate sono l’anno 1513 per la nascita e l’anno 1598 per la scomparsa. Perciò, deve essere vissuto all’incirca 85 anni. Altre autorità indicano nel 1608 la data della sua scomparsa.
Egli stesso ci informa della sua genealogia e lo fa in una delle sue opere, il Laghu-tosani, un commentario al Vaisnava-tosani, importante scritto di Sanatana Gosvami. Il Laghu-tosani riveste un’importanza storica considerevole perché in esso sono contenute quelle poche informazioni che si conoscono sulla famiglia di Rupa e Sanatana, gli zii paterni di Jiva Gosvami.
La sua vita è stata un vero e perfetto esempio di vita devozionale, avendo dedicato ogni secondo della propria esistenza allo sforzo di codificare la filosofia di Sri Caitanya per il beneficio dell’umanità intera. Grazie a questa completa dedizione allo studio e alla scrittura, Jiva Gosvami è apprezzato come il predicatore più sistematico tra i sei Gosvami ed è giustamente riconosciuto come il più grande filosofo della storia indiana.
I sei Gosvami di Vrindavana
Chi è già addentrato nella storia del Vaisnavismo-Gaudiya, sa che agli inizi del sedicesimo secolo i Gosvami furono mandati da Caitanya Mahaprabhu a Vrindavana, con il compito di ritrovare i luoghi che, 4.500 anni orsono, avevano visto le gesta trascendentali di Krishna e dei Suoi puri devoti. Nel tempo erano state perse le tracce di questi posti santi, che era importante ritrovare e restituire all’originale splendore. Il Signore Caitanya aveva anche chiesto loro di scrivere libri sulla bhakti.
Molti furono i grandi e puri devoti che risedettero a Vraja, ma i più importanti furono sei: Rupa, Sanatana, Raghunatha dasa, Gopala Bhatta, Raghunatha Bhatta e Jiva. La loro contribuzione alla diffusione del vaishnavismo-gaudiya è straordinaria, tanto che noi stessi, appartenenti al Movimento per la Coscienza di Krishna, amiamo anche chiamarci “Rupanuga”, discendenti di Rupa Gosvami.
Tra i sei, Jiva Gosvami era il più giovane e fu anche l’ultimo ad arrivare a Vrindavana. Questa è la ragione per cui non troviamo il suo nome nelle prime biografie del Mahaprabhu. Quel poco che si sa di lui lo apprendiamo dal Bhakti-ratnakara, scritto da Narahari Cakravarti e dal Prema-vilasa, compilato da Nityananda das, un discepolo di Srimati Jahnava devi, moglie di Nityananda Prabhu.
Proprio a causa delle scarse informazioni che si hanno su questo personaggio, nel corso del tempo molti dubbi sono sorti tra gli storiografi. Il primo riguarda l’anno preciso della sua nascita: alcuni palesano le proprie perplessità sul fatto che Jiva possa essere nato nel 1513, data che noi stessi poc’anzi abbiamo fornito come la più probabile. Nel Bhakti-ratnakara si afferma che Sri Jiva si trovava a Ramakeli quando il padre e gli zii incontrarono Sri Caitanya. Era l’anno 1514: dunque, il Gosvami Maharaja avrebbe dovuto avere appena un anno.
Fin qui nulla di strano. I problemi sorgono quando si legge una frase dell’opera appena citata che ci descrive Jiva Gosvami all’ascolto delle parole del Signore Caitanya, apprendendone subito l’essenza. Alla luce di ciò è ragionevole fare due supposizioni: o quella data è approssimativa, oppure Sri Jiva era un bambino delle capacità miracolose. La seconda ipotesi non è da scartare visto che, secondo le Scritture, il Gosvami era l’incarnazione di una gopi, Vilasa-manjari, e perciò non era un uomo comune. La nostra tradizione ci riporta altre circostanze ugualmente straordinarie, come nei casi di Prahlada e di Sukadeva Gosvami, che appresero la filosofia dai loro maestri quando erano ancora nei ventri delle loro madri.
I primi anni di vita
Suo padre si chiamava Vallabha, ed era il fratello di Rupa e Sanatana. Il giorno in cui Vallabha accettò iniziazione da Sri Caitanya, aveva ricevuto il nome di Anupama.
Si racconta che quando il Signore aveva incontrato Rupa e Sanatana a Ramakeli, Jiva di nascosto ne aveva ascoltato le sacre parole e le aveva serbate nel cuore. Poco dopo il secondo incontro del Mahaprabhu con il padre e gli zii (ad Allahabad), durante un viaggio Anupama aveva abbandonato il suo corpo mortale, lasciando Jiva orfano di padre. Jiva era appena un bambino, ma questa esperienza aveva avuto un profondo effetto su di lui, dandogli un’immediata realizzazione di quanto crudeli possano essere le leggi del mondo materiale.
Fin dai primi giorni della sua vita, manifestò tutte le qualità fisiche di una grande personalità (maha-purusa) e le sue caratteristiche intellettuali non furono da meno. Fu un vero e proprio bambino prodigio, tanto che in brevissimo tempo divenne maestro nella grammatica, nella poesia, nella logica e nell’ermeneutica scritturale.
Crescendo, scelse di adorare le divinità di Krishna e Balarama, che per lui erano gli stessi Caitanya e Nityananda reincarnati. In quegli anni, di tanto in tanto, gli giungevano notizie degli zii, Rupa e Sanatana: erano a Vrindavana e stavano lavorando per ricostruire l’intera tradizione della Krishna-bhakti. Nel suo cuore un solo desiderio: andare a vivere insieme a loro.
Un altro grande desiderio della sua gioventù fu quello di andare a visitare Navadvip, ma sua madre non gli concesse mai il permesso per paura che prendesse l’ordine della rinuncia e la lasciasse sola. Tuttavia un giorno, con la scusa di un viaggio a Fatehabad, riuscì a raggiungere Navadvip, dove incontrò Nityananda Prabhu, ed allora ebbe la certezza che quest’ultimo non fosse differente da Balarama.
Era poco più di un ragazzo quando subì un secondo grave lutto: la morte della madre. A quel punto decise di prendere il sannyasa e di andare a Vraja. Prima, però, volle ritornare a Navadvipa, dove di nuovo incontrò Nityananda Prabhu, insieme al quale visitò i luoghi che erano stati testimoni dei passatempi giovanili di Sri Caitanya Mahaprabhu. Di questo viaggio troviamo interessanti dettagli nel Navadvip Dham Mahatmya di Thakura Bhaktivinode. Nityananda in persona gli fece visitare tutti i luoghi sacri di Navadvip, tra cui la famosa casa di Srivasa, dove si erano svolti i primi fantastici kirtana. Quando Sri Jiva incontrò Srivasa Thakur, questi gli fece conoscere Sacidevi e Visnupriya, le quali in suo onore vollero preparare un delizioso prasada. Vamsivadana, il servitore di Saci, lo accompagnò poi al tempio di Jagannath Misra, dove questi aveva adorato la famosa divinità di Laksmi-Narayana.
In quei giorni Jiva visitò tutte le nove isole di Navadvipa.
Nel corso del pellegrinaggio, Nityananda diede istruzione a Jiva Gosvami di andare a Vrindavana passando per Benares. Nityananda desiderava che egli andasse a trovare Madhusudana Vacaspati, un discepolo di Sarvabhauma Bhattacarya, e prendesse lezioni da lui. Giunto a Varanasi (Benares), Sri Jiva trovò subito il Vacaspati e lo accettò come insegnante. Risedette in questo importante centro della cultura per un certo periodo, avendo così l’opportunità di completare i suoi studi di sanscrito. Presto divenne famoso per la sua vastissima erudizione. In quei giorni cominciò il suo lavoro di scrittore, con il Sarva-sanga-vadini, il suo primo lavoro, dove presenta vari commenti sui Vedanta-sutra. L’Università di Benares, in riconoscimento ai suoi meriti, gli ha dedicato un intero dipartimento di studi, tuttora funzionante.
Arrivo a Vrindavana
Sri Jiva non aveva certamente dimenticato l’istruzione di Nityananda Prabhu di andare a Vrindavana e di vivere con gli zii. Dopo qualche anno sentì crescere in sé un desiderio ardente di ricongiungersi a loro; lasciò così Benares e partì per Vrindavana. Era il 1533: Jiva aveva venti anni.
A parte la sua incredibile produzione letteraria (pare che abbia scritto non meno di 400.000 versi sanscriti), non si sa molto della sua permanenza a Vrindavana. Il Bhakti-ratnakara ci informa che quando vi giunse, oltre agli altri cinque Gosvami, trovò anche Prabodhananda Sarasvati, Kasisvara Pandita e Krishnadasa Kaviraja; ma certamente a quel tempo dovevano esserci molti altri bhakta.
Sri Jiva avrebbe voluto accettare l’iniziazione Vaisnava dallo zio maggiore ma, per la naturale umiltà che lo contraddistingueva, Sanatana lo mandò da Rupa. Conoscendo bene l’erudizione di Jiva e pensando che un giorno avrebbe potuto diventare arrogante, Rupa Gosvami lo mise alla prova, impegnandolo in servizi umili. Ma questi, per nulla orgoglioso, servì lo zio-guru con grande modestia e impegno. Infine Rupa lo accettò come discepolo e gli accordò l’iniziazione.
Non molto tempo dopo l’iniziazione di Sri Jiva, giunse a Vrindavana un grande studioso ed erudito chiamato Rupanarayana. Questi passava per uno dei più grandi professori dell’epoca e viaggiava in continuazione con l’unico scopo di sconfiggere in pubblici dibattiti chiunque avesse avuto l’ardire di accettare la sfida. Gli sconfitti, poi, ponevano la loro firma su un foglio chiamato jayapatra. Nessuno sapeva resistergli e per questo era conosciuto come Dig-vijaya. La sua presunzione era tanto grande quanto la sua sapienza. Intanto la fama di eruditi dei fratelli Rupa e Sanatana si era così tanto diffusa che Rupanarayana era venuto apposta a Vrindavana per incontrarli e sconfiggerli in dibattito. Ma i due Gosvami, considerando futili tali discussioni e ritenendo pericolosa l’arroganza causata dall’erudizione, rifiutarono di dibattere e firmarono il jayapatra, affermando con grande umiltà di non essere alla sua altezza. Accecato dalla vanità, Rupanarayana pensò oramai di essere diventato invincibile.
Prima della sua partenza seppe del loro giovane nipote, Jiva Gosvami, che pure era contornato dalla nomea di grande sapiente. Pensando che il suo nome avrebbe aggiunto una nota di credito alla sua già smisurata fama, Rupanarayana andò da lui e gli mostrò la firma degli zii. Vedendo ciò, Sri Jiva si irritò e accettò immediatamente di dibattere. Battuto malamente, sudando freddo per l’ansietà di non riuscire a contrastare il giovane, Rupanarayana riconobbe la sconfitta e partì il giorno stesso, per non tornare mai più.
Rupa Gosvami non fu affatto contento dell’accaduto, perché un rinunciato deve sempre controllare la rabbia e l’orgoglio. Così punì il discepolo mandandolo via da Vrindavana. A Mathura, dove Jiva andò, praticò grandi austerità al fine di espiare l’errore commesso.
Fu Sanatana che fece terminare quell’esilio: un giorno, infatti, accusò il fratello di non seguire scrupolosamente le istruzioni di Sri Caitanya. Rupa volle sapere in cosa stesse mancando, e Sanatana gli chiese di recitare le istruzioni di Caitanya Mahaprabhu. Quando giunse alla parola jivadoya (essere misericordiosi nei confronti delle jiva, le anime spirituali), Sanatana lo fermò. Rupa capì il doppio senso (doveva, cioè, essere misericordioso nei confronti di Jiva Gosvami) e richiamò il discepolo da Mathura. Era passato un anno da quando Jiva aveva lasciato Vrindavana.
Critiche a Jiva Gosvami
C’è chi cerca di diffamare Sri Jiva criticando alcuni dei suoi comportamenti. Tali persone non sanno che l’Acarya può anche comportarsi in modi incomprensibili al fine di educare i propri discepoli. In certe occasioni i difetti sono solo apparenti, come nella storia riguardante Syamananda Prabhu e il suo guru Hrdaya Caitanya; in altri casi, invece, si tratta di critiche totalmente infondate, come nella questione riguardante Jiva Gosvami e Krishnadas Kaviraja. Questa storia, inventata di sana pianta e introvabile nelle Scritture, è rifiutata da tutti e non è altro che un diretto insulto a un puro devoto.
Un’altra critica riguarda il fatto che Jiva Gosvami negasse l’esistenza o la validità del parakiya-rasa. Srila Prabhupada spiega questo fatto chiarendo che a quel tempo alcuni dei seguaci di Sri Jiva non riuscivano ad accettare l’idea dell’amore extraconiugale, anche a livello trascendentale. Per questa ragione egli evitò di trattare l’argomento, proprio per non disturbare le loro menti, e sempre per questa ragione sostenne l’idea-svakiya. Evitò inoltre di insegnare il parakiya-rasa anche per non fornire ulteriori elementi alle deviazioni dei sahajiya, che proliferavano già allora. Tutte le falsità e critiche sopramenzionate sono state confutate da molti Acarya autentici.
La sua fama si diffonde
Attratto dalla fama di Jiva Gosvami che si diffondeva sempre più in tutta l’India, nell’anno 1570 l’imperatore Akbar si recò a Vrindavana allo scopo di incontrarlo. Rimasto senza parole di fronte a tanta sapienza e santità, accordò il suo incondizionato appoggio a lui e a tutti i Vaisnava di Vrindavana. E fu proprio grazie ai mezzi messi a disposizione da Akbar che i lavori di scavi e costruzioni guadagnarono un grande impulso. Gosvami Prabhupada diresse i suoi uomini nella costruzione dei quattro templi principali e più antichi dell’area: Madana-Mohana, Govindadev, Gopinath e Jugala-kisore. Si dice anche che a quel tempo Sri Jiva incontrò altri famosi personaggi del mondo Vaisnava, come la poetessa Mirabai, ma non ci sono evidenze che lo provino con certezza.
Il tempio di Radha-Damodara
Molto si sa, invece, della costruzione del tempio di Radha-Damodara. La terra dove oggi sorge la maestosa costruzione fu acquistata da un ricco servitore di Akbar, di nome Alisa Chaudhari, che era stato lasciato lì dall’imperatore con il compito specifico di assistere Jiva Gosvami nell’opera di diffusione del vaisnavismo. Appena il terreno fu acquistato, egli installò e cominciò a servire fedelmente una coppia di divinità di Radha e Krishna dategli da Rupa Gosvami. Prima ancora che erigessero il tempio, Sri Jiva fece costruire una grande libreria (grantha-bandhara) dove sarebbero stati custoditi gli scritti sacri. Nel suo testamento (Sankalpa-patra) c’è un particolare riferimento alla preservazione dei libri, ai quali dava eccezionale importanza.
Nell’edificio del Tempio di Radha-Damodara, qualche secolo dopo, stette il nostro riverito Srila Prabhupada, Bhaktivedanta Svami, in due stanze situate nel chiostro del tempio. Lì, mentre dalla finestrella della sua stanza poteva vedere i samadhi di Srila Rupa Gosvami e Sri Jiva Gosvami, scrisse i primi tre volumi dello Srimad-Bhagavatam, che oggi sono il nostro più prezioso tesoro. Da quella stanza è partito il Movimento per la Coscienza di Krishna, conosciuto oggi in tutto il mondo. I sei Gosvami stessi si riunivano spesso in quel luogo.
Gli scritti
Le sue opere a noi note sono: 1) Hari-namamrta-vyakarana, 2) Sutra-malika, 3) Dhatu-sangraha, 4) Krishnarcha-dipika, 5) Gopal-virudavali, 6) Rasamrta-sesa, 7) Sri Madhava-mahotsava, 8) Sri Sankalpa kalpavrksa, 9) Bhavartha-sucaka-campu, 10) Gopal-tapani-tika, 11) Brahma-sanghita-tika (o Dik-darsani), 12) Bhakti-rasamrta-sesa, 13) Locana-rocani, 14) Yogasara-stava-tika, 15) Gayatri-bhasya, 16) Una descrizione particolarmente elaborata dei piedi di loto di Krishna, in accordo alla descrizione che troviamo nel Padma Purana, 17) Una descrizione dei piedi di loto di Srimati Radharani, 18) Gopal-champu, 19-25) Sei Sandarbha: Tattva Sandarbha, Bhagavat Sandarbha, Paramatma Sandarbha, Krishna Sandarbha, Bhakti Sandarbha, Priti Sandarbha, più un settimo chiamato Krama Sandarbha.
Analisi degli scritti
La preservazione della tradizione mediante una prolifica produzione letteraria divenne il suo più importante servizio. Ancora oggi gli studiosi sono esterrefatti davanti a tale e tanto lavoro. E’ persino difficile fare una lista dei suoi scritti. Jiva Gosvami ha composto e curato la pubblicazione di almeno venticinque testi, tutti classici importanti della linea gaudiya. Diciamo qualcosa sui più importanti.
Della sua grammatica, intitolata Hari-namamrta-vyakarana, Janardana Cakravarti ha detto: “Un trattato molto ingegnoso… utilizza i nomi di Dio per enunciare le regole della grammatica sanscrita…”.
Il tentativo di spiegare la grammatica utilizzando gli innumerevoli appellativi di Krishna aveva avuto un precedente illustre: Sri Caitanya stesso aveva avuto l’idea mentre insegnava la vyakarana ai suoi studenti di Navadvipa. Perciò Jiva Gosvami non ha fatto altro che seguire le orme del maestro.
Tra le opere più intensamente teologiche, troviamo il Gopala-Campu, una grande epica scritta in un complesso stile poetico, che descrive le innumerevoli attività di Krishna nella Sua manifestazione originale. E’ diviso in due parti: la prima parte (purva) consiste di 33 capitoli e descrive in modo elaborato le attività di Krishna a Vrindavana. La seconda parte (uttara), composta di 37 capitoli, tratta delle attività di Krishna a Mathura e a Dvaraka.
Ugualmente denso di significati è il famoso Krama Sandarbha. Descritto sovente come “il settimo” dei sei Sandarbha, è un commento decisamente elaborato dei dodici canti dello Srimad- Bhagavatam.
Forse ancora più importanti sono i Sat (sei) Sandarbha stessi. Un sunto dei loro contenuti ci viene dato da Srila Prabhupada:
“Bhagavat-sandarbha è anche conosciuto come Sat-sandarbha. Nella prima parte (Tattva-sandarbha), è dimostrato che lo Srimad-Bhagavatam è l’evidenza più autorevole tendente a mostrare direttamente la Verità Assoluta. Il secondo Sandarbha (Bhagavat-sandarbha) traccia una distinzione tra il Brahman impersonale e il Paramatma localizzato… Il terzo Sandarbha (Paramatma-sandarbha) spiega che il Paramatma esiste all’interno di milioni e milioni di entità viventi… è anche specificato che le incarnazioni dei lila-avatara rispondono ai desideri dei devoti e che la Suprema Personalità di Dio è caratterizzata dalle sei opulenze. Il quarto Sandarbha (Krishna-sandarbha) dimostra che Krishna è la Suprema Personalità di Dio… Nel quinto Sandarbha (Bhakti-sandarbha) viene spiegato come si può eseguire direttamente il servizio devozionale… Il sesto Sandarbha (Priti-sandarbha) è una dissertazione sull’amore per Dio…”.
Si dice che i sei Sandarbha rappresentano la perfezione di sambandha-jnana, abhideya-jnana e prayojana-jnana: i primi quattro Sandarbha sono dedicati a sambandha; il quinto tratta di abhideya; il sesto di prayojana.
Il Brahma-sanghita-tika (o Dik-darsani) è un commento alla Brahma-sanghita. Il Bhakti-rasamrta-sesa è un commento al Bhakti-rasamrta-sindhu. Il Locana-rocani è un commento all’Ujjvala-nilamani. Lo Yogasara-stava-tika è un commento al Padma Purana. Il Gayatri-bhasya è una spiegazione del Gayatri-mantra: riporta gli insegnamenti contenuti al riguardo nell’Agni Purana.
Il Tattva Sandarbha
inizia qui
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