Tattva Sandarbha di Jiva Gosvami in Italiano – Argomento Tredicesimo – La natura materiale e le anime individuali

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Argomento Tredicesimo – La natura materiale e le anime individuali

Nella sezione trentuno, Jiva Gosvami puntualizza (sempre rifacendosi al verso 1.7.4) che Maya non è una sakti essenziale di Bhagavan, tanto che è chiamata “energia esterna”, cioè distante da Lui. Addirittura lo Srimad-Bhagavatam dice che “Maya si vergogna (vilajjamana) di accostarsi al Signore”.

La sakti essenziale (svarupa-sakti) di Bhagavan Sri Krishna è la bhakti. Una delle tante prove che possono essere portate a sostegno è che la felicità sperimentabile nella pura devozione è immensamente più grande di quella della liberazione del Brahman (brahmananda). La differenza tra le due energie (hladini-sakti e bahiranga-sakti), dice il Vidyabhusana, è paragonabile al rapporto che c’è tra la moglie favorita, che è sempre a fianco del re, e una servitrice che aspetta gli ordini del sovrano fuori della porta.

Il Bhakti-yoga, perciò, è la funzione essenziale dell’energia migliore del Signore.

Nella sezione trentadue, Sri Jiva continua la sua analisi dei versi del Bhagavata Purana, analizzando stavolta l’1.7.5, in cui Vyasa, in meditazione, vede l’anima individuale come qualcosa di differente da Maya e da Paramesvara, il Dio Supremo. Il versetto dice:

“A causa dell’energia esterna, nonostante siano trascendentali ai tre modi della natura materiale, le entità viventi credono di essere un prodotto della materia e divengono così vittime delle reazioni delle miserie materiali.”

Questo punto, che approfondiremo nelle prossime sezioni, è la causa e la giustificazione di abhidheya e prayojana. Infatti, senza una differenza tra amante e amato, come si può parlare di relazioni e di sentimenti? Se Dio e le anime non fossero differenti tra di loro, l’una superiore e l’altra inferiore, abhideya e prayojana non avrebbero senso.

A un’analisi attenta ci si accorgerà che questo verso chiarisce molti punti.

Prima di tutto che la jiva non è parte della natura materiale: noi non siamo il corpo e non nasciamo quando nasce il corpo, né moriamo quando muore il corpo. La causa fondamentale delle sofferenze del mondo è questo errore di base; vittime di tanta terribile ignoranza, le anime spirituali continuano a rinascere nelle varie specie di vita, in una sorta di ruota perpetua (samsara).

Qui si chiarisce anche che la teoria delle upadhi (sovrastrutture superflue), proposta dai filosofi Mayavadi, non è accettata da Vyasadeva, il quale è testimone oculare della natura personale delle entità viventi. Non essendo condivisa dal grande Guru, nessuno dei suoi discepoli e discendenti la accetteranno.

La frase “illusa da Maya” (yaya sammohitah jiva atmanam trigunatmakam”) indica un altro concetto, che sfata l’idea che sia Bhagavan Sri Krishna a gettare le anime nell’illusione. In realtà questa azione è condotto da Maya, senza che si renda necessario l’intervento personale di Krishna.

La parola “si vergogna” indica che Maya non tollera il fatto che le jiva vogliano restare lontano da Lui, sebbene si renda conto che la sua azione di illudere le jiva non faccia contento affatto il Signore; questo stato di cose va avanti da tempo immemorabile (anadi).

In realtà Maya compie un’opera di misericordia: castigando le jiva che non intendono recarsi nei mondi delle delizie eterne a servire il Sommo Oggetto d’amore, Sri Syamasundara, rende possibile il loro ravvedimento. Soffrendo, realizzano la differenza che c’è fra il reale e l’illusorio e tornano ai loro sensi. Così, un giorno, decideranno di andare negli universi Vaikuntha, generati dal potenza di Sri Krishna.

“Coloro (le anime individuali) che vanno via dal Signore, spe-rimentano la paura: ciò a causa della loro devozione a una seconda cosa”, e così (Maya) cela la loro vera natura e le copre con il suo opposto.

La parte fra virgolette è una sezione di un versetto del Bhagavatam (11.2.37). Nel momento in cui l’anima spirituale non desidera il Signore Supremo, cade vittima di Maya e delle sue tentazioni. Qui Maya viene chiamata “seconda cosa” (dvitiya), in quanto la materia non è la principale delle energie divine; la sua funzione è di generare illusione e perdita della memoria. A causa della sua influenza nefasta, noi dimentichiamo la nostra vera identità e costruiamo dentro di noi la concezione di essere il corpo materiale. La profonda paura esistenziale è sprigionata da questo madornale errore iniziale. Così Maya copre la vera natura spirituale della jiva con il velo dell’opposto, cioè la materia.

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