Tattva Sandarbha di Jiva Gosvami in Italiano – Argomento Sedicesimo – Bhakti-yoga, il servizio devozionale alla Suprema Personalità di Dio

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Argomento Sedicesimo – Bhakti-yoga, il servizio devozionale alla Suprema Personalità di Dio

Continua la descrizione della visione di Sri Vyasadeva. Nel versetto dello Srimad-Bhagavatam (1.7.6), questi realizza quali sono i mezzi necessari alla massima realizzazione del sé e dice: anarthopasamam saksad bhakti-yogam adhoksaje. Per purificare (upasamam) i numerosi elementi dannosi a una vita evolutiva (anartha), il servizio devozionale alla Suprema Personalità di Dio (bhakti-yogam adhoksaje) è assolutamente necessario. Il termine saksat ha la forza di escludere altre possibili strade. A questo fine il santo Vyasadeva scrisse il Bhagavatam (cakre satvata-samhitam), che ha la funzione di costituire l’inizio del processo di adorazione di Sri Krishna.

Jiva Gosvami fa notare che in questo verso il termine bhakti-yogam si riferisce agli stadi preliminari della bhakti, conosciuti come sadhana-bhakti, caratterizzati da discipline come l’ascolto, il canto, ecc; qui non si vuole intendere il più alto amore per Dio. Infatti solo le pratiche devozionali richiedono istruzioni: l’amore puro per Krishna dipende solamente dalla grazia di Bhagavan.

L’osservazione di Sri Jiva, che induce ad identificare il termine bhakti-yoga con il sadhana-bhakti, è importante. Infatti Vyasa ha scritto il Bhagavatam per gli ignoranti che necessitano di luce, cioè insegnamenti spirituali, per cui (almeno in questo contesto) bhakti-yoga non può significare lo stadio di prema, puro e massimo amore per Dio.

Questa rilevazione ci offre lo spunto per parlare della differenza che esiste fra il sadhana-bhati e il raga-bhakti. Il primo è lo stadio iniziale della devozione, nel quale il cuore del devoto è ancora contaminato da desideri e aspirazioni materiali. Per lui ci sono numerose regole e proibizioni (vidhi e nisheda), che hanno lo scopo di purificarlo e condurlo sempre più avanti, in direzione dell’amore spontaneo, chiamato raga-bhakti. In quello stadio non ci sono più regole, in quanto l’amore sarà perfettamente naturale e sgorgherà spontaneamente, come di norma per qualsiasi sentimento sincero. Nel Caitanya-Caritamrta (Madhyalila 22, a partire dal versetto 105), così Sri Caitanya Mahaprabhu istruisce Sanatana Gosvami:

“Quando il servizio devozionale trascendentale (con cui si ottiene l’amore per Krishna) è eseguito dai sensi, è chiamato sadhana-bhakti, o la pratica delle discipline del servizio devozionale. Tale sentimento devozionale esiste eternamente nel cuore delle entità viventi. Il risveglio dell’eterno amore avviene grazie alla pratica del servizio devozionale. Le attività spirituali dell’ascolto, del canto, del ricordo (e altre) sono le caratteristiche naturali del servizio devozionale, mentre la sua qualità marginale è che risveglia il puro amore per Krishna.”

“Questo (l’amore per Sri Krishna) è eternamente stabilito nei cuori di ogni entità vivente, non è qualcosa che deve essere acquisito da una seconda sorgente. Quando il cuore viene purificato dall’ascolto e dal canto, l’entità vivente naturalmente si risveglia.”

Tale tipo di servizio devozionale (detto anche vaidhi-bhakti) deve essere condotto sotto la guida di un maestro spirituale autentico. Per uno studio approfondito della questione, si vada a leggere il capitolo appena menzionato del Caitanya-Caritamrta (Madhyalila 22).

Dal verso 147 in poi, Mahaprabhu comincia a descrivere raga-bhakti.

“Gli abitanti originali di Vrindavana sono attaccati al servizio devozionale (a Krishna) in modo spontaneo. Nulla può essere comparato a tale stadio. Quando il praticante segue le orme dei devoti di Vrindavana, il suo servizio devozionale è chiamato ragatmika-bhakti.”

Il fortunato devoto è attaccato a Krishna nel modo più naturale possibile, secondo la mentalità e lo spirito dei devoti di Vrindavana; costui non ha bisogno di alcuna regola o disciplina. L’amore sgorga dal suo cuore in modo perfettamente spontaneo. Ma questo argomento è così vasto che non sarebbero sufficienti numerosi volumi.

Qualunque sia lo stadio di servizio devozionale in cui siamo, Sri Jiva dice che esso purifica e dona sollievo da tutte le miserie.

Qualcuno potrebbe obiettare: ma è veramente Krishna il Purna-purusa che Vyasa vede e che noi dobbiamo adorare? A questa domanda-obiezione Jiva Gosvami ribatte:

Dopodiché, per chiarire la natura del prayojana… e per rivelare il fatto che il Purna-purusa altri non è che Krishna, Suta recita il verso 1.7.7, che descrive un’altra esperienza di Vyasa e che ha l’effetto di indicare i risultati dell’ascolto dello Srimad-Bhagavatam.

La prima linea del verso in questione dice: yasyam vai sruyamanayam Krishna parama-puruse, lasciando poco spazio alle interpretazioni speculative: il Parama-purusa è proprio Sri Krishna. Gli effetti di cui parla Sri Jiva sono spiegati nel verso stesso, che rendiamo per intero:

“Semplicemente ascoltando questa letteratura vedica (il Bhagavatam), il sentimento per il servizio d’amore a Sri Krishna, la Suprema Personalità di Dio, immediatamente sgorga ed estingue il fuoco del lamento, dell’illusione e della paura.”
Sri Jiva qui dice che (contrariamente a prima) la parola bhakti sta per prema. Qui infatti si parla del fine ultimo, che è proprio prema. Attraverso la bhakti (sadhana-bhakti) si sviluppa bhakti (prema-bhakti).

Nella seconda parte della sezione quarantasette, torniamo a discutere brevemente della questione di chi sia il Purama-purusa. Suta Gosvami, stimato oratore dell’epoca vedica, non sembra avere esitazioni: la Suprema Personalità di Dio è Krishna. Jiva Gosvami Maharaja fa notare che sono innumerevoli le testimonianze a questo effetto, sia da parte delle Scritture che dei saggi realizzati. Sri Krishna Bhagavan, apparso alla fine dell’ultimo Dvapara-yuga da Devaki e Vasudeva, poi adottato da Yasoda e Nanda, che divenne il re di Dvaraka e che recitò la Bhagavad-gita sul campo di battaglia di Kuruksetra, è proprio la Suprema Personalità di Dio; oltre Lui nulla esiste.

Sri Jiva apre una breve parentesi, per trattare del significato dei vari nomi di Krishna. Dice che la parola Krishna significa primariamente “scuro come l’albero tamala”, ma anche “colui che è allattato da Yasoda” e “il Supremo Brahman”. Queste informazioni provengono dal Namakaumudi di Laksmidhara; il verso intero viene menzionato nel Krishna-sandarbha.

tamala-syamala-tvisi
sri-yasoda-sta nandha ye
krishna-namno rudhir iti
sarva-sastra-vinirna yah
“Il solo significato del Santo Nome di Krishna è che Egli è scuro come un albero tamala ed è il figlio di madre Yasoda. Questa è la conclusione di tutte le Scritture rivelate.”

Il versetto appare anche nella Caitanya-Caritamrta, in occasione del movimentato dialogo tra Sri Caitanya e Vallabhacarya.

Un giorno Vallabha Bhatta andò da Sri Caitanya e gli chiese di ascoltare il commento allo Srimad-Bhagavatam che lui aveva scritto. Fiero del suo lavoro, giunse ad affermare che fosse di molto superiore a quello compilato da Sridhara Svami. Al Signore tale arroganza non piacque affatto, per cui si rifiutò di prestare ascolto: disse che non si sentiva qualificato per ascoltare il Bhagavatam e che si limitava a cantare il nome di Krishna giorno e notte. Al che Sri Vallabha disse: “Ho cercato di parlare in modo molto elaborato del Nome Santo di Krishna. Per favore, ascolta la mia spiegazione.” Mahaprabhu rispose: “Non accetto molti differenti significati del Nome Santo di Krishna. Tutto ciò che so è che il Signore Krishna è Syamasundara e Yasodanandana. Questo è tutto”. Fu allora che il Signore Gauranga recitò quel verso del Nama-kaumudi. Poi aggiunse: “Io conosco solo questi due nomi, Syamasundara e Yasodanandana. Non comprendo nessun altro significato, né hai tu la capacità di capirli.” La storia del castigo di Vallabha Bhatta da parte di Sri Caitanya è riportata nel Caitanya-Caritamrta, Antya-lila cap. 7.

Naturalmente i nomi del Signore sono infiniti e tutti sono trascendentalmente piacevoli. E’ ovvio che Sri Caitanya intendeva solo indurre Vallabha Bhatta a una mentalità più umile.

Realizzando che il piacere della bhakti era superiore rispetto a quello che deriva dalla realizzazione del Brahman impersonale, Vyasadeva insegnò il Bhagavatam a Sri Suka, che allora era immerso in meditazioni impersonali. Appena Sukadeva Gosvami ascoltò il Bhagavatam, immediatamente realizzò la supremazia della personalità di Krishna e cambiò immediatamente il suo cuore.

Viene, poi, risolto un problema di cronologia: quale delle due Scritture, il Bhagavatam e il Maha-bharata, è la più antica? Intervenendo sulla questione, Prabhupada dice: “Il Maha-bharata è stato compilato prima dello Bhagavatam e i Purana prima del Maha-bharata.” (SB 1.7.8, commento):

Jiva Gosvami dice che il Bhagavatam è contemporaneamente precedente e successivo. Infatti afferma che il Bhagavatam fu scritto in forma abbreviata prima del Maha-bharata e poi, sulle basi delle istruzioni di Narada, lo espanse nella forma che oggi conosciamo.

Nella sezione quarantanove, Sri Jiva torna al punto della domanda di Saunaka Rsi (“Come mai Sukadeva, pur essendo già liberato, si sottopose a un lungo studio del Srimad-Bhagavatam?”).

Di nuovo, perché il piacere del servizio devozionale è enormemente maggiore rispetto a quello della realizzazione impersonale. Vyasa sapeva che il figlio non sarebbe rimasto a casa e quindi lo educò (recitandogli il Bhagavatam) mentre era ancora nel ventre della madre. Quando uscì, Sukadeva approfondì lo studio e successivamente recitò il Bhagavatam, diventando così molto caro ai devoti di Krishna, così come tutti loro sono molto cari a lui.

Di seguito è riportato un episodio interessante della vita di Sukadeva Gosvami, appreso dal Brahma-vaivarta Purana. Tale avvenimento è anche accennato da Srila Prabhupada.

E’ noto che Sukadeva si rifiutava di prendere nascita per paura di Maya. Mentre era ancora nel ventre della madre, questi realizzò che Krishna poteva sottomettere Maya a Suo piacimento. Così chiese al padre di condurre il Signore da lui, in modo che potesse garantirgli l’immunità da ogni pericolo. Vyasa condusse Krishna lì, che rassicurò il nascituro. Ricevuto tali benedizioni e diventato così eternamente libero dai nodi di Maya, Sukadeva Gosvami uscì dal ventre della madre e si ritirò a vita meditativa. Realizzando che l’unico mezzo per trattenerlo vicino a lui era il Bhagavata Purana stesso, Vyasa fece in modo di recitargli alcune porzioni, quelle in cui la grandezza del Signore risultava particolarmente evidente. In questo modo Krishna Dvaipayana Vyasa, prole di Parasara, affascinò il cuore del figlio e poté insegnargli l’intera opera. Da questo episodio appare evidente la grandezza del Bhagavatam.

Alla fine della sezione, Jiva Gosvami ammonisce tutti di studiare lo Srimad-Bhagavatam secondo gli insegnamenti dei narratori originali, Vyasa e Sukadeva, e non altrimenti. Qualsiasi deviazione risulterebbe in un disastro.

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