L’arrivo di Drona
Un giorno, mentre i principi giocavano in giardino un uomo alto vestito di nero, con la testa coperta da un grande cappuccio, si fermò ad osservarli. A un certo punto la palla con la quale i ragazzi giocavano cadde nel pozzo e per quanti sforzi essi facessero non riuscirono a recuperarla.
Il viandante rise a voce alta.
“E’ mai possibile che i discendenti di una stirpe prestigiosa come quella dei Bharata non sappiano fare una cosa così semplice come quella di recuperare una palla caduta in un pozzo?”
“Non è affatto facile recuperarla senza bagnarsi,” risposero i principi alquanto stizziti, “ma se tu credi di poterci riuscire, allora mostraci come fare.”
Lo sconosciuto sorrise; poi chiese un arco e vi pose una freccia. Con un abile gioco di rimbalzi riuscì a recuperare la palla. Poi volle un anello d’oro. Yudhisthira gli diede il suo e questi, tra la sorpresa generale, lo gettò nel pozzo. Prima che i giovani potessero protestare, prese dei fili d’erba dal terreno e mormorò dei mantra, alchè con decisione li scagliò nel pozzo, agganciando l’anello. Poi ne lanciò degli altri in rapida successione e ad ognuno collegava il filo d’erba precedente, formando una catena. In quel modo riuscì a tirare fuori l’anello. I principi erano esterrefatti.
“Chi sei tu? Qual è il tuo nome? Non abbiamo mai visto fare cose del genere con una tale bravura.”
“Bhishma mi conosce,” rispose. “Andate da lui e raccontategli ciò che ho fatto. Allora saprete il mio nome.”
Appena Bhishma sentì come il misterioso personaggio avesse recuperato la palla e l’anello, capì subito che si trattava di Drona e corse fuori a riceverlo. Era il migliore maestro d’armi del tempo. La sua abilità era incomparabile e tutti i Re di Bharata-varsha facevano a gara perché egli istruisse i loro figli nella nobile arte marziale. I principi Bharata fino ad allora erano stati istruiti da Kripa, ma era fuori dubbio il fatto che Drona potesse offrire loro un insegnamento a un livello piu’ alto che solo lui era in grado di impartire. Pertanto Bhishma si sentì onorato di chiedergli di rimanere a corte come Acarya di tutti i principi.
La storia di Drona e Drupada
Chi era Drona?
Figlio del celebre saggio Bharadvaja, questi era un Brahmana rinomato per la grande conoscenza e santità, ma privo di qualsiasi ricchezza materiale. Per quella ragione era giunto alla corte dei Kuru. Ma per capire le ragioni dell’arrivo di questo importante personaggio bisogna fare qualche passo indietro e ritornare ai tempi della sua infanzia.
Quando era poco più di un bambino, Drona era stato il compagno di giochi di Drupada, il figlio del Re di Panchala. Durante i loro giochi Drupada gli aveva promesso in più riprese che, in segno di profondo apprezzamento verso di lui, quando avesse ereditato il trono del padre gli avrebbe ceduto metà del regno.
Erano passati tanti anni e i due amici si erano ormai persi di vista. Drona aveva sposato Kripi, figlia di Gautama Muni e sorella di Kripa. Come abbiamo già detto in precedenza, la loro vita si incentrava sugli studi e le adorazioni religiose, per cui erano pieni di conoscenza spirituale e di serenità interiore, ma non possedevano niente, al punto da non potersi permettere neanche di dar da bere del latte al figliolo Asvatthama. Ma la cosa non era sembrata tanto tremenda a Drona fino al giorno in cui gli amici di Asvatthama non avevano pensato di burlarsi di lui e, preparata una bevanda a base di polvere di riso, gliel’avevano porta dicendo:
“Bevi, questo è latte. L’abbiamo messo da parte apposta per te.”
Il ragazzo, che non credeva ai propri occhi, lo aveva bevuto tutto d’un fiato. E tanta era stata la felicità di aver potuto finalmente assaporare del latte che era corso dai genitori danzando e gridando:
“Ho bevuto il latte! Ho bevuto il latte!”
Quella volta Drona si era reso conto che il loro stato di povertà era veramente esagerato e che il figlio ne stava soffrendo troppo, e poiché egli non aveva mai dimenticato le promesse fatte dall’amico aveva pensato bene che fosse giunto il momento di recarsi da Drupada. Ma quando questi aveva ascoltato la richiesta del Brahmana lo aveva deriso in tono sprezzante.
“Come hai potuto prendere sul serio una promessa del genere?” aveva detto. “Quando si è ragazzi si dicono tante cose insensate, cosi’ per dire. Non crederai davvero che io voglia darti metà del mio regno!”
E tutti i presenti avevano riso di lui.
Maltrattato e beffato, Drona era stato cacciato via.
Egli in seguito aveva tentato in vari modi di procurarsi quel benessere che tanto avrebbe giovato alla sua famiglia, ma a quei tempi imperversava una grande crisi economica e nessuno aveva potuto accontentarlo.
Un giorno era venuto a sapere che Parasurama stava distribuendo ai Brahmana le sue ricchezze, ma lo sfortunato Drona era arrivato troppo tardi: a Parasurama erano rimaste solo le armi. Così aveva accettato quelle, con tutti i segreti per utilizzarle in battaglia. Non aveva trovato le ricchezze, ma per lo meno aveva un mestiere e anche il mezzo di vendicarsi dalle umiliazione subite da Drupada.
Per questa ragione era venuto ad Hastinapura. Con dei discepoli come i principi Bharata e con un alleato come Bhishma avrebbe potuto ottenere oltre alle ricchezze anche la vendetta.
Così ebbe inizio il corso di insegnamento dei Pandava, tenuto dal sapiente e severo maestro. Fra tutti, nonostante Drona fosse totalmente imparziale, il migliore si rivelò Arjuna, il terzo dei fratelli Pandava, per cui solo a lui, e neanche al suo stesso figlio, affidò il segreto di come lanciare e ritirare il Brahmastra, una micidiale arma atomica, ammonendolo però di usarla solo contro nemici che non fossero di questo mondo. Arjuna accettò il dono con quella naturale modestia che lo aveva sempre fatto amare da tutti.
Ekalavya il Nishada
Un giorno arrivò ad Hastinapura un giovane di pelle molto scura e dai vestiti laceri che, con profonda umiltà, chiese al maestro di accettarlo come studente. Drona lo guardò con sospetto.
“Tu sai che io accetto nella mia scuola solo giovani di sangue reale e di stirpe aryana,” gli disse, “perciò prima che io ti prenda sotto la mia direzione è necessario che tu mi parli della tua discendenza.”
Il giovane non pensò neanche per un attimo di mentire a colui che dentro di sé aveva già accettato come guida; sapeva bene che un rapporto importante come quello col proprio insegnante non poteva cominciare con una bugia tanto grossa.
“Mi chiamo Ekalavya,” rispose con tono gentile, “e mio padre è il Re dei Nishada. So che il mio popolo non è considerato aryano, ma ti prego di accettarmi ugualmente. Io sarò per te un discepolo fedelissimo e mi impegnerò al massimo per seguire le tue istruzioni. Sii misericordioso. Io non potrei accettare nessun altro guru all’infuori di te.”
I Nishada erano considerati un popolo dai costumi barbarici, e così Drona, per quanto avesse apprezzato le parole sincere del giovane, declinò gentilmente la richiesta.
La delusione non fece cambiare idea a Ekalavya che divenne ancora più deciso a prendere istruzioni solo da Drona. Così si ritirò nella foresta e costruì una statua di creta del tutto simile a colui che oramai considerava suo acarya e lì si esercitò, adorando e venerando quella forma.
Passò del tempo.
Un giorno, mentre i principi erano nella foresta, uno dei loro cani s’imbattè nella radura dove Ekalavya si stava esercitando. Vedendo quella figura alta e scura, l’animale s’impaurì e abbaiò, ma prima che potesse richiuderla una serie di frecce gli bloccarono la bocca senza ferirlo. Con quell’insolita museruola, il cane spaventato corse dai padroni, che si stupirono della prodezza dello sconosciuto arciere. Venuto a conoscenza del fatto, Drona volle approfondire la questione. Accompagnato da Arjuna, cercò e trovò Ekalavya. Il giovane Nishada, appena vide il maestro, gli si gettò rispettosamente ai piedi.
“Chi ti ha insegnato a usare l’arco in quella maniera?” gli chiese.
“Il mio guru è Drona,” rispose il giovane, “e prendo ordini solo da lui.”
La questione era delicata. I Nishada erano una popolazione tradizionalmente nemica dei Bharata e la loro mancanza delle fondamentali virtù spirituali li rendeva tutti potenzialmente nemici dei Pandava. Doveva fare in modo che Ekalavya non continuasse a progredire in quel modo, che non diventasse più abile di Arjuna. Per qualche istante rifletté sulla questione, poi disse:
“Se io sono il tuo maestro, allora mi devi il guru-dakshina.”
“Sono pronto a darti qualsiasi cosa,” rispose Ekalavya, al quale non sembrava vero di essere stato accettato come discepolo, “dimmi cosa posso fare.”
“Voglio la cosa più preziosa che hai. Visto che hai imparato a usare l’arco così bene, devi darmi il tuo pollice destro.”
Senza pensarci, Ekalavya se ne privò.
Così mutilato, continuò ad esercitarsi e nonostante tutto divenne un valoroso arciere, ma perse molta della sua velocità. In questo modo Drona aveva assicurato la futura supremazia di Arjuna nell’uso dell’arco.
Qualche anno dopo, prima della fatale guerra di Kuruksetra, Ekalavya sarebbe morto ucciso da Krishna durante un combattimento.
La storia di Karna
Ricorderemo come Kunti, prima del matrimonio con Pandu, avesse generato un figlio da Vivasvan, il Deva del sole. Poiché Karna è uno dei personaggi chiave del Maha-bharata, dobbiamo di nuovo retrocedere nel tempo per scorrere le pagine della storia di questa particolare figura sino al momento presente.
Abbandonata alla corrente del Gange e seguita da una ragazza che la controllava dalla riva, la cesta con il neonato era stata raccolta da Atiratha e da sua moglie Radha. Non sapendo chi fossero i genitori che l’avevano abbandonato, i due, che erano privi di figli, avevano deciso di adottare il bambino.
Gli anni erano passati. Karna era cresciuto.
Atiratha apparteneva alla casta dei suta, i quali si occupavano di guidare i carri da guerra degli Kshatriya. Essendo quella la sua attività naturale, aveva tentato di insegnarla al figlio, introducendolo nei segreti del mestiere, ma fin dall’infanzia Karna si era sempre rifiutato di seguire il padre. Non gli piaceva guidare i carri, né ricevere ordini dai guerrieri. Al contrario rimaneva incantato appena vedeva un arco, una spada, o un celebre guerriero in groppa al suo cavallo. Avrebbe voluto diventare uno Kshatriya, non un suta.
Quando ne aveva parlato al padre, questi era rimasto alquanto dubbioso, consapevole di quanto fosse complicato a quei tempi cambiare i doveri occupazionali pertinenti alla casta di nascita. Per anni aveva tentato di fargli cambiare idea, ma inutilmente: Karna voleva a tutti i costi diventare un soldato.
Così un giorno il padre gli aveva detto:
“Io non posso insegnarti a combattere, ma se proprio vuoi imparare devi trovare un maestro che ti istruisca; non puoi farlo da solo.”
E Karna, spinto da quella forte natura guerriera che da sempre sentiva dentro di sé, arrivato alla giusta età, aveva lasciato casa e si era messo alla ricerca di un maestro degno che lo iniziasse alle nobili arti marziali. Ma quello, purtroppo, non era l’unico cruccio che turbava la vita dello sfortunato: un altro problema lo angosciava enormemente. Il padre gli aveva raccontato, infatti, di come lo avesse raccolto dalle acque del Gange e del mistero che aleggiava intorno alla sua nascita. Il desiderio di scoprire le sue vere origini aveva sempre pesato in maniera determinante sul suo cuore.
Nei suoi viaggi alla ricerca di un guru, lo troviamo anche ad Hastinapura, dove sarebbe stato limitato da Drona, per la stessa ragione per cui era stato rifiutato Ekalavya . Ma Karna non aveva giurato eterna dedizione a quel particolare maestro, il suo più forte desiderio era di diventare uno Kshatriya, quindi un qualsiasi maestro, purché qualificato, sarebbe andato bene. Ma nessuno aveva potuto accettarlo come discepolo a causa dell’umiltà delle sue origini.
Da chiunque egli si recasse la risposta che riceveva era la stessa:
“Sei figlio di un suta, non posso accettarti come discepolo.”
E così Karna aveva continuato a vagare, sentendosi ad ogni rifiuto sempre più frustrato e umiliato: nessuno gli voleva insegnare l’arte del combattimento. Più di una volta si era sentito scoraggiato, ma al pensiero che con tutta probabilità non avrebbe potuto mai fare nient’altro che il suta, aveva preferito infine correre un grosso rischio: andare da Parasurama e quando egli gli avrebbe chiesto della sua famiglia gli avrebbe mentito.
“Se gli dico che sono un suta, egli mi rifiuterà per la stessa ragione per la quale mi hanno rifiutato gli altri; se invece affermo di essere uno Kshatriya mi respingerà lo stesso in quanto odia gli Kshatriya. Quindi dovrò dirgli che sono un Brahmana.”
Le considerazioni di Karna erano corrette; infatti chi conosce la storia di Parasurama sa che questi era un Avatara divino sceso sulla terra per annientare l’intera stirpe guerriera, cosa che aveva fatto per ben ventuno volte. Nella sua stessa indole esisteva dunque un forte astio verso tutta quella classe che aveva combattuto aspramente. Presentarsi come tale sarebbe stato addirittura meno consigliabile che presentarsi come un suta.
Aveva viaggiato per giorni, finché era giunto nel ritiro himalayano del saggio. Nel vederlo aveva avuto lì per lì un attimo di esitazione. L’aspetto di Parasurama era davvero terribile: alto e imponente, la figura forte e possente, era vestito con semplici indumenti da asceta e portava i capelli raccolti in un unico punto sopra la testa. Ma ciò che lo aveva colpito in maniera particolare erano stati gli occhi, che brillavano come carboni ardenti, e una forte energia mistica che si sprigionava dall’intero essere.
Dopo avergli offerto rispettosi omaggi, Karna gli aveva rivolto la parola.
“Rispettabile Rishi, sono il figlio di un Brahmana e sono venuto da te per apprendere l’arte dell’uso delle armi. Accettami come discepolo e io ti servirò con tutto me stesso.”
Così Parasurama lo aveva tenuto con sé addentrandolo nei più reconditi segreti della scienza marziale.
Col trascorrere del tempo Karna si era sentito baciato dalla fortuna perché neanche nei suoi sogni più azzardati aveva mai immaginato di poter vivere giorni di così intensa felicità. Tuttavia l’esistenza di Karna non era affatto destinata a essere lieta; la malasorte era ancora in agguato, pronta a danneggiare di nuovo il generoso giovane.
Un giorno, mentre il maestro riposava con la testa poggiata sulle sue gambe, un insetto carnivoro si era attaccato al ginocchio di Karna e aveva cominciato a morderlo. Il dolore era intenso e, man mano che l’animale penetrava nella gamba, diventava insopportabile, ma lui, che non voleva disturbare il sonno del maestro, non si era mosso né aveva proferito lamento, tollerando con grande forza d’animo. Ma nonostante gli sforzi del discepolo quando il sangue aveva cominciato a uscire, l’odore forte aveva svegliato Parasurama che aveva compreso all’istante cos’era successo. I suoi occhi avevano cambiato subitamente espressione e si erano accesi come il fuoco del sacrificio quando il hotri lascia cadere il burro chiarificato.
“Mi hai mentito,” aveva detto Parasurama con voce ferma, “tu non sei un Brahmana. Non puoi esserlo. Solo uno Kshatriya avrebbe potuto sopportare un dolore simile. Mi hai ingannato. Non capisci quanto sia grave mentire al proprio maestro?”
“L’ho fatto solo perché volevo diventare tuo allievo,” aveva tentato di discolparsi Karna, “e per nessun altro motivo. Ti prego, perdonami, non cacciarmi.”
“La colpa di aver mentito al proprio guru è così grave che non posso perdonarti. Tu mi hai strappato con l’inganno i segreti delle armi umane e divine, ma sappi che nel momento in cui ne avrai più bisogno dimenticherai l’arte di utilizzarle e nella tua mente tutto diventerà buio, oscuro. In quel momento, quando sarai di fronte al tuo più odiato nemico, rimarrai inerme e non potrai difenderti.”
Maledetto e cacciato, Karna se ne era andato con il cuore gonfio di amarezza.
Qualche giorno dopo un altro sfortunato evento lo aveva colpito. Per errore aveva ucciso la mucca di un Brahmana, il quale infuriato l’aveva maledetto:
“Quando ti troverai davanti al tuo più grande nemico, le ruote del tuo carro sprofonderanno nel fango e non riuscirai a sollevarle.”
Dopo quel secondo episodio, Karna era ritornato alla casa dei genitori.
Dopo qualche tempo era venuto a conoscenza del torneo che si sarebbe tenuto ad Hastinapura: in quell’occasione si sarebbero riuniti i principi dei casati più rinomati e avrebbero dato spettacolo di abilità marziali: poteva essere la sua grande occasione! Così aveva deciso di andarci.
In questo modo la storia della vita di Karna si ricongiunge a quella dei Pandava e dei Kurava.
Il torneo
Intanto grazie agli insegnamenti del guru, i giovani avevano sviluppato importanti doti guerriere nell’uso di tutti i tipi di armi. Come era tradizione a quei tempi, Drona, Bhishma, Dhritarastra e gli anziani della corte ritennero che era arrivato il momento di darne una dimostrazione al popolo.
Quelle erano occasioni di grande festa, e i cittadini avevano piacere di ammirare la forza di coloro che sarebbero stati i loro futuri reggenti. Per l’occasione era fatto costruire un gigantesco anfiteatro in grado di ospitare centinaia di migliaia di persone.
Arrivò il giorno.
Fu uno spettacolo superbo. A turno i principi si cimentarono in una fantastica mostra di destrezza, forza e coraggio. Il momento più caldo fu senz’altro quando, armati di mazza, si scontrarono Bhima e Duryodhana: neanche il carattere amichevole della rappresentazione riuscì a nascondere i vecchi rancori; per separarli ci vollero parecchi attendenti che, solo dopo grandi sforzi, riuscirono a farli smettere.
Comunque fra tutti colui che fu maggiormente applaudito e che risplendette di luce abbagliante di gloria fu Arjuna, il quale mostrò grandi numeri di abilità, specialmente nell’uso dell’arco, conquistandosi il cuore di tutti. Ma del resto, chi non amava già Arjuna, così ricco di grandi qualità umane e spirituali? Lo spettacolo di sovrumana destrezza durò a lungo.
Ma mentre il pubblico stava tributando al Pandava il meritato applauso, un improvviso fragore proveniente dalle tribune richiamò l’attenzione di tutti. Immediatamente anche il minimo mormorio si placò e tutti si voltarono in quella direzione. Proprio vicino a una delle entrate, si stagliò una figura alta, dall’aspetto possente e dai lineamenti nobili. Era Karna che, con i lunghi capelli biondi, risplendeva come il sole a mezzogiorno. Aveva attirato lo sguardo di tutti su di sé sbattendo le sue ascelle con tanta violenza da provocare un rumore simile al tuono. La sua voce era profonda e quasi melodiosa.
“Se questo torneo,” disse guardando Arjuna, “è stato indetto per mostrare il valore, il coraggio e la forza fisica di chiunque ne possegga, allora vorrei dimostrarti che non solo tu, Partha, ne sei ricco, e che al contrario ciò che ci hai fatto vedere sono cose straordinarie solo per il semplice popolo, ma non sorprendono i veri valorosi.”
Bhishma gli concesse il permesso di esibirsi, e bisbigli di stupore si levarono dalla folla quando questi ripeté con aria di noncuranza le prodezze che Arjuna aveva compiuto; poi disse:
“Hai visto che ciò che hai fatto non è così straordinario? Ora battiti contro di me.”
Per nulla intimorito Arjuna si preparò al duello. Karna lo guardava come se volesse incenerirlo, il suo cuore era pieno di rabbia verso coloro che erano Kshatriya anche di nascita oltre che per valore. Quando aveva visto Arjuna combattere aveva visto che questi era il migliore di tutti e aveva desiderato sconfiggerlo. Come poteva immaginare che il suo antagonista era in realtà il fratello minore?
In quel momento Bhishma, preoccupato, si alzò e ordinò di fermare tutto. Poi parlò.
“Giovane sconosciuto, come sai, le nostre tradizioni impediscono agli Kshatriya di combattere contro chi non sia qualificato in termini di nobiltà. Tu hai lanciato la sfida a un guerriero che tutti conosciamo, Arjuna, il figlio di Pandu. Egli è un principe di nobili origini ed è perfettamente qualificato per un duello. Ma noi non conosciamo te. Se vuoi batterti devi prima dirci chi sei e chi sono i tuoi genitori.”
A quelle parole Karna si sentì disperato. Ancora ritornava il solito assurdo problema che gli impediva di esternare ciò che sentiva dentro di sé. Saputa la verità, Bhima lo derise chiamandolo vile auriga.
Ma Duryodhana, che fino a quel momento aveva osservato la scena senza dire una parola, guardando Karna con attenzione si convinse che qualcosa di strano nella sua nascita doveva esserci, in quanto tutto nella sua persona rivelava una certa signorilità aristocratica. Tutti avevano ben visto quel che era in grado di fare con le armi e ciò lo indusse a realizzare che un uomo come quello gli sarebbe tornato sicuramente utile in futuro.
Si alzò dal seggio e disse:
“Come può un uomo simile essere nato in una famiglia di suta? Non è possibile. Guardatelo. E’ evidente che fa parte della nostra casta, anzi si direbbe di origini celestiali. Osservatelo bene: non avete visto cosa ha saputo fare con le armi? Io vi dico che Karna è uno Kshatriya e per dimostrarvi che la mia convinzione è totale, lo nomino Re di Anga.”
La nomina del figlio del suta al trono di Anga causò un enorme clamore. Dopo aver proferito tali parole, Duryodhana condusse Karna con sé. Da quel giorno nacque una saldissima e profondissima amicizia tra i due.
I Pandava intanto si erano già pentiti di aver insultato Karna, poiché a loro era chiaro, come lo era a tutti, che questi sarebbe stato per sempre un loro terribile nemico. Cominciarono a temerlo in modo particolare.
La vendetta di Drona
Trascorsi anche i giorni dello spiacevole incidente del torneo, il corso di studi dei principi poteva considerarsi praticamente concluso. Drona si sentiva soddisfatto di tutti, e in particolare dei figli di Pandu che erano diventati veramente dei combattenti eccezionali. Ora il suo sogno sarebbe potuto diventare realtà.
Un giorno riunì a sé i discepoli.
“Tu ci hai insegnato tutto ciò che sappiamo,” gli disse Yudhisthira, “e hai fatto così tanto per noi che qualsiasi cosa sarà insufficiente per ripagarti. Ma la tradizione vuole che il discepolo, alla fine dei suoi studi, tenti di sdebitarsi col proprio guru offrendogli quello che egli desidera. Noi siamo in debito con te. Dicci: c’è qualcosa che possiamo fare?”
“Sì, c’è una cosa che dovete fare per me,” rispose Drona, “ma prima promettetemi che non esiterete a fare ciò che vi chiederò.”
A quelle parole tutti ebbero un momento di esitazione, nel timore che poi non sarebbero stati in grado di soddisfare le sue richieste. Solo Arjuna rispose senza indugi.
“Qualunque cosa chiederai io lo farò.”
Drona abbracciò e benedisse Arjuna. Poi disse:
“Voglio che mi portiate prigioniero qui ad Hastinapura il Re Drupada.”
Drona raccontò la storia del suo dissenso con Drupada, e mentre raccontava l’entusiasmo guerriero dei giovani cresceva sempre di più. Non avevano immaginato che avrebbero potuto ritrovarsi così presto su un campo di battaglia.
Non volendo perdere tempo, tutti si prepararono per la spedizione con grande solerzia, e in pochi giorni il nutrito gruppo dei discepoli di Drona si ritrovò alle porte del regno nemico.
Ma le spie di Drupada erano sempre all’erta, per cui messo al corrente della spedizione, il Re si era già preparato alla battaglia.
Appena Duryodhana vide in lontananza l’esercito nemico che veniva loro incontro, il suo spirito s’infiammò e decise di attaccare subito, certo delle propria superiorità militare. E senza prendere alcuna precauzione, guidato principalmente dal suo ardore, ordinò agli altri di seguirlo. Ma i Pandava, che avevano sentito parlare di Drupada e dei suoi guerrieri come di soldati dal valore impareggiabile, non condividevano quella strategia.
“Cugino, Drupada non è un guerriero da sottovalutare,” disse Yudhistihira, “così come non lo sono i generali del suo esercito. Dobbiamo concertare qualche strategia prudente e non lanciarci in questo modo all’attacco.”
“Per sconfiggere questo nemico non abbiamo necessità di strategie. Dobbiamo solo attaccare e sconfiggerlo. Ma se avete paura potete aspettarci qui. Noi conquisteremo il guru-dakshina per soddisfare il nostro maestro.”
Offesi, i Pandava dichiararono che sarebbero scesi sul campo di battaglia solo dopo la sconfitta di Duryodhana. In poco tempo le previsioni dei figli di Pandu si avverarono: i giovani Kurava furono sgominati.
Nel vedere Duryodhana e gli altri tornare feriti e spaventati, i cinque fratelli concertarono un piano e poi andarono all’attacco. Dopo un aspro combattimento, sopraffecero e presero prigioniero il potente e valoroso Re.
Il drappello ripartì per Hastinapura.
I due vecchi amici si ritrovarono di nuovo l’uno di fronte all’altro. Era passato molto tempo dall’ultima volta che si erano incontrati, ma ora la situazione era cambiata: il Re non era più sul trono e il Brahmana non era più vestito poveramente né chiedeva l’elemosina. Le circostanze si erano invertite. Fu Drona a rompere il silenzio.
“Da ragazzi siamo stati grandi amici, abbiamo giocato insieme e ci siamo divisi tutto quello che avevamo; perché te ne sei dimenticato e mi hai trattato in quel modo? Guarda, sei mio prigioniero, potrei ucciderti e prendere tutto quello che possiedi, ma non lo farò. Per dimostrarti che io ricordo la nostra vecchia amicizia, prenderò solo quello che mi spetta: mi avevi promesso metà del tuo regno e quella prenderò. Il resto sarà ancora tuo.”
Drupada fu rimesso in libertà. Ma non riuscì mai a perdonare l’umiliazione subita e cercò sempre il modo di ottenere la propria vendetta.
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