La Filosofia del Bhakti Yoga – Maya-sakti (l’energia materiale) – parte 2

posted in: Area9, Italiano 0

D: Parliamo ora dei sensi interni, detti anche sottili.

R: Lo Srimad-Bhagavatam dice:

“I sensi interni sottili possono essere esaminati nei loro quattro aspetti, che sono la mente, l’intelligenza, l’ego e la coscienza contaminata. Distinzioni fra di loro possono essere fatte solo dal punto di vista delle differenti funzioni, giacché essi rappresentano caratteristiche diverse.”
Srimad-Bhagavatam 3.26.14

In altre parole, la distinzione fra di loro è molto sottile, e si distinguono soltanto per le loro diverse funzioni. Sono tutti intimamente collegati fra di loro.

D: Prima di tutto cos’è la coscienza? Cosa s’intende per coscienza contaminata e qual è la sua funzione?

R: La coscienza è la caratteristica prima delle vita. Avere coscienza significa la consapevolezza di essere: di esistere come persona, di essere tale dunque, di pensare, di desiderare, di vivere, di essere capace di sentire e di tradurre in sensazioni le esperienze della vita.

La coscienza pura è la dimensione in cui tutte queste sono inserite in un contesto di consapevolezza di essere spirito, mentre coscienza contaminata è quando dimentichiamo chi siamo veramente. Quando dimentichiamo di essere spirito e ci identifichiamo nella materia, il nostro ego cambia e la coscienza diviene contaminata.

D: Cosa s’intende per ego?

R: L’ego è la capacità di darsi una identificazione, di poter dire “io sono questo, e non quest’altro”. E’ una delle caratteristiche dell’anima, quella di poter capire chi è realmente.

Ma quando l’ego vero viene ricoperto da una crosta di elementi materiali (siano essi grossi, come gli elementi che compongono il corpo, siano essi sottili, come i concetti, i desideri, eccetera), la coscienza, che è la nostra natura più intima, viene contaminata e come conseguenza dimentichiamo chi siamo.

Lo stato di coscienza contaminata che produce una forma di falsità nella nostra capacità di identificazione (falso ego), si chiama ahamkara.
Srimad-Bhagavatam 3.26.14, commento

D: Cosa s’intende per intelligenza?

R: L’intelligenza (buddhi) è la facoltà di discriminazione. Con essa noi siamo in grado di dire “questo è giusto e questo è sbagliato”. Naturalmente il metro di giudizio varierà secondo l’ego che ci si dà. Se pensiamo di essere anime spirituali diremo “questo è giusto e questo è sbagliato” secondo parametri spirituali, mentre se abbiamo dimenticato la verità, se siamo posseduti da un “falso ego”, diremo lo stesso secondo diverse basi. Nel secondo caso faremo delle cose perché sarà giusto per la nostra soddisfazione personale e senza tenere conto dell’esistenza di Dio.

L’intelligenza, dunque, come tutti gli altri sensi sottili, è una funzione dell’anima, ma viene condizionata dall’influenza dell’ignoranza materiale e pertanto il suo metodo di esercitare può subire variazioni sostanziali.

D: La mente, ora: cosa s’intende per mente?

R: La mente (manas) ha due funzioni:

1. quella di pensare, sentire e volere. E’ con la mente che noi possiamo formulare pensieri, ragionare e dedurre secondo i dati in nostro possesso; con la mente possiamo “sentire” le nostre sensazioni in accordo agli impulsi che ci arrivano dall’esterno; è con la stessa mente che possiamo esprimere la nostra volontà, secondo i desideri che sviluppiamo durante le esperienze emotive e sensoriali. Poi

2. quella di accettare e rigettare le proposte che giungono dai sensi, secondo esercizi logici di convenienza. Se tocchiamo il fuoco e ci scottiamo, rigetteremo l’esperienza e la prossima volta che ci avvicineremo a una forte sorgente di calore staremo attenti a evitarne il contatto; se invece ascoltiamo una musica che ci piace, accetteremo l’esperienza e cercheremo di ripeterla, proprio perché ci provoca piacere.

Abbiamo toccato uno dei punti cruciali della filosofia della vita. Noi siamo sempre alla ricerca del piacere, tutto ciò che facciamo lo facciamo per quello. La mente accetterà le esperienze piacevoli e rigetterà quelle spiacevoli. Il metro di giudizio proviene dall’ego: il devoto che ha realizzato la sua natura spirituale eseguirà le pratiche disciplinari anche se talvolta sono disagevoli, perché infine gli provocheranno piacere. Il materialista accetterà solo le esperienze di piacere sensoriale, anche se queste risulteranno in miserie e sofferenze.

D: Sembra che la mente sia qualcosa di molto simile all’intelligenza: anch’essa possiede la funzione di ragionare, di dedurre. Qual è allora la differenza tra le due?

R: La mente possiede un processo deduttivo molto “sensoriale”, nel senso che giudica le cose basandosi sui dati che riceve dai sensi. Usiamo lo stesso esempio: se l’udito capta una bella musica o la vista di un bel paesaggio ne sarà attratto automaticamente, senza ulteriori considerazioni se non quella dell’immediato piacere.

L’intelligenza è invece un senso molto più sottile, più vicino all’anima, più accostato alla sorgente di conoscenza e di energia spirituale, per cui è più adatto a dare un giudizio più veritiero su ciò che si vuole conoscere.

La mente possiede un meccanismo più impulsivo ed emotivo; l’intelligenza più freddo e razionale. Purtroppo a livello contaminato la mente ha spesso il sopravvento e, come dice la Bhagavad-gita, diventa “inarrestabile come il vento” e se non la si controlla appropriatamente “porta via l’intelligenza persino di un uomo molto erudito”.

“I sensi sono così forti e impetuosi, o Arjuna, che trascinano via con la forza persino la mente di un uomo di discriminazione (o di profonda conoscenza) che si sforza di controllarli.”
Bhagavad-gita 2.60

La mente è un senso che risente molto delle esperienze sensoriali, è particolarmente trascinata dalla loro immediatezza per cui diventa necessario mutare la qualità di quest’ultime in modo che possa riposare e purificarsi. A meno che non venga ripulita dalle contaminazioni, è impossibile progredire nel sentiero della realizzazione spirituale.

D: Torniamo al processo creativo. Abbiamo menzionato tutti gli elementi o ne manca ancora qualcuno?

R: Alla nostra analisi mancano ancora due fattori: il primo sono i guna, il secondo è Paramatma, l’Anima Suprema,

D: Parliamo prima dei guna: cosa sono esattamente?

R: La natura materiale non potrebbe estrinsecarsi se le sue differenziazioni interne non fossero in atto. Infatti qualsiasi agglomerato che non agisca secondo la propria natura interna rimarrebbe inerte. Quando (e solo allora) l’energia delle influenze della natura entra in Prakrti, il mondo può essere abitato dalle anime cadute.

Il termine guna può significare qualità, modo, regolazione, corda. Ma vediamone il significato.

L’energia materiale non è un blocco qualitativo unico bensì contiene in sé numerose caratteristiche. Queste possono essere divise in tre parti:

1. sattva, la virtù,
2. raja, la passione,
3. tamas, l’ignoranza.

L’espressione ricorrente (nelle scritture vediche ma in particolar modo negli scritti di Srila Prabhupada) “modi della natura materiale” sta ad indicare proprio una maniera peculiare di essere delle anime e delle cose di questo mondo. Il modo di essere viene dato dai guna. Sono influenze esistenti nel nostro universo e che hanno la funzione di caratterizzare il modo di agire delle anime condizionate e danno loro un taglio preciso di comportamento generale. Si chiamano anche “corde” perché legano, imprigionano in un modo di essere che non è proprio dell’anima originale.

Le persone o le cose possono essere “sotto l’influenza di sattva” quando rispondono alle caratteristiche sattviche, “sotto l’influenza di rajas” quando rispondono alle sue caratteristiche peculiari e così via. Facciamo degli esempi. Andiamo a leggere nella Bhagavad-gita, capitolo 14.

“…il modo della virtù, essendo più puro degli altri, illumina e libera da tutte le reazioni peccaminose. Coloro che vi si sono situati diventano (però) condizionati da un senso di felicità e conoscenza.”
Bhagavad-gita 14.6

“Il modo della passione nasce da illimitati desideri e aspirazioni… e a causa di ciò l’entità vivente è legata ai frutti delle azioni materiali.”
Bhagavad-gita 14.7

“… il modo delle tenebre, nato dall’ignoranza, è (e genera) l’illusione delle entità viventi. I risultati di ciò sono la pazzia, l’indolenza e il sonno, che legano l’anima condizionata.”
Bhagavad-gita 14.8

Ma questi sono solo degli esempi; l’intero quattordicesimo capitolo tratta delle caratteristiche dei guna, siano essi applicati alle persone che alle cose. Ci sono infatti anche forme inorganiche nate sotto varie influenze. I guna legano le entità viventi a concetti di vita materialistica e non permettono loro di liberarsi. Per questa ragione nella Bhagavad-gita Krishna consiglia ad Arjuna di innalzarsi oltre queste influenze e di ritrovare la sua vera identità spirituale.

D: E’ possibile che si sia condizionati da uno solo di questi guna o essi si trovano sempre in combinazione fra di loro?

R: Non troveremo mai la sola virtù, la sola passione o la sola ignoranza: questi modi sono mescolati tra di loro in percentuali sempre varianti.

D: Parliamo ora del ventiseiesimo elemento che compone la natura materiale, il Paramatma.

R: Paramatma, l’Anima Suprema, è una rappresentazione del Signore che si insinua dentro la natura inferiore. E’ detto che il Signore all’interno di essa è Paramatma, all’esterno il Tempo Eterno.
Srimad-Bhagavatam 3.26.18

Come abbiamo detto in precedenza, Paramatma produce due tipi di espansioni: una penetra e si insedia nel cuore di ogni entità vivente e l’altra internamente a ogni atomo. Abbiamo già visto come queste siano dotate di qualità differenti.

Il primo (quello che entra nei cuori) ha tre funzioni: upadrasta, di testimoniare le attività della jiva; anumanta, di essere l’autorità che sanziona le reazioni; e bhokta, di mantenere e sostenere l’anima condizionata.
Srimad-Bhagavatam 3.26.18, commento di Srila Prabhupada
Del secondo abbiamo già detto le cose essenziali.

Paramatma è un elemento essenziale alla vita delle jiva condizionate e alla sussistenza dell’energia materiale.

D: Con l’entrata in scena dei guna, di Kala e di Paramatma tutto è pronto per la creazione?

R: Sì, il campo di azione (ksetra) è pronto.
“…prima di questa agitazione, (pradhana) rimane nello stato neutro, senza interazione con i tre modi della natura materiale.”

Solo allora Brahma può iniziare a costruire l’universo, impegnando la propria immaginazione per generare innumerevoli entità animate e inanimate.

Prima di concludere questa sezione, dobbiamo aggiungere che abbiamo descritto il processo creativo in modo ben più semplice di quanto risulti nella Srimad-Bhagavatam. Siamo però certi di avervi dato gli elementi di base per una informazione generale.

Per coloro che intendono approfondire la materia consigliamo di leggere altri testi, fra i quali appunto la Srimad-Bhagavatam. Ma non è il solo libro in cui si tratta l’argomento: per fare un esempio, nel Maha-bharata, Asvamedha Parva, ci sono intere sezioni che spiegano la creazione. Non abbiamo affrontato appieno l’intera problematica per limiti di spazio.

Varie teorie creazionistiche
D: Ci sono molte teorie sulla creazione; ogni religione o filosofia ne ha ingegnata una.

R: E’ vero. Quando si pensa e si filosofa non si può evitare di giungere al punto di porsi la fatidica domanda: da dove proviene tutto ciò che vediamo? Da dove proviene anche tutto ciò che esiste ma che non è visibile? Chi o cosa ne è stata la causa?

Migliaia, forse milioni sono stati nel corso della storia i pensatori che si sono cimentati in questa ardua questione. Per le stesse ragioni di prima noi riassumeremo e schematizzeremo le principali correnti filosofiche.

Cominciamo col dire che ci sono due correnti fondamentali, che sono il pensiero materialista, tanto popolare in occidente, e quello spiritualista. Il primo afferma che la materia, e cioè l’energia in cui viviamo, non ha avuto bisogno che di sé stessa per evolversi e prendere la vita, mentre il secondo fa risalire l’origine di tutto a un qualche elemento che sia al di là della materia stessa.

Ammettiamo che questa divisione è abbastanza sommaria, in quanto poi andrebbe specificato che ci sono tanti tipi di materialisti e altrettanti di spiritualisti, e che poi ce ne sono altri che, se si vuole essere precisi, non si riconoscerebbero né in un appellativo né nell’altro. Molti infatti sono stati i tentativi di architettare un’ideologia a metà strada fra una conclusione e l’altra, cercando di far coesistere le due tesi.

In India, oltre a quello teista-personalistico di Vyasa, ci sono altri sistemi filosofici che giungono a conclusioni abbastanza diverse tra loro. Per esempio, l’ateo Kapila sostiene che il mondo scaturisce dalla materia (pradhana), mentre i buddhisti e i jainisti asseriscono che l’atomo è alla base della creazione.

Una diramazione del pensiero buddhista sostiene che la verità consista nel realizzare la non-esistenza del mondo, che la verità sia un vuoto totale e che la pienezza sia illusione. Altre correnti di pensiero invece sono d’accordo nel dichiarare che un creatore (nel senso di un Essere cosciente e intelligente) debba esistere.

Kanada e Patanjali, rinomati filosofi indiani, di fondo hanno accettato l’esistenza di Dio, ma se andiamo ad analizzare le loro idee ci accorgiamo che le loro tendenze sono altrettanto ateistiche quanto i sankhya e gli altri.

In definitiva una cosa è certa: studiando con attenzione almeno le principali scuole orientali ci accorgiamo che le difficoltà maggiori nel sostenere le loro idee le hanno incontrate proprio i materialisti, i quali indubbiamente hanno sempre perso le loro battaglie dialettiche contro gli agguerritissimi pensatori spiritualisti. Il problema principale contro il quale si sono scontrati consiste proprio nel dover spiegare come la vita possa essere scaturita da un insieme di elementi chiaramente inerti e privi di vita. In India questo ostacolo ha fatto sì che atei come l’atomista Kanada e il materialista Kapila riscuotessero scarsa fortuna nella storia della filosofia. Contro di loro i Vaisnava spiritualisti si sono cimentati per secoli, smantellando pezzo su pezzo tutto il loro castello di teorie. Ma è evidente che un argomento così complesso meriterebbe più di un capitolo; vi rimandiamo perciò alla lettura di pubblicazioni specifiche sul tema.

Durata e ciclicità dell’universo
D: Riprendiamo a parlare dell’universo. Ha una durata prestabilita o varia a secondo dei casi? E se ha una durata già decisa, a quanto tempo ammonta?

R: Abbiamo già detto che il primo essere creato è Brahma. L’universo gli resiste durante tutta la vita e alla sua morte ogni cosa viene distrutta. Brahma vive cento anni, ovviamente non dei nostri. Ma andiamo con ordine. Vediamo cosa dice la Bhagavad-gita:

“Mediante il calcolo umano, mille ere prese insieme formano la durata di un giorno di Brahma. E tale è anche la durata della sua notte.”
Bhagavad-gita 8.17

La storia dei mondi passa attraverso il ripetersi ciclico di quattro yuga, chiamati rispettivamente Satya-yuga, Treta-yuga, Dvapara-yuga e Kali-yuga. La somma di questi quattro yuga ammonta esattamente a 4.300.000 anni e tale periodo è chiamato maha-yuga. Mille di questi maha-yuga (e cioè 4 miliardi e trecento milioni di anni) costituiscono 12 ore della vita di Brahma.

Altrettanto dura la notte. Dunque, in accordo alla Bhagavad-gita, un giorno di Brahma equivale a 8.600.000.000 di anni: in lettere otto miliardi e seicento milioni di anni. Dopo cento di questi anni sopraggiunge la morte di Brahma e con essa la distruzione degli universi, chiamata pralaya.

D: Durante la vita di questo importante deva ci sono altri tipi di distruzioni parziali? E se sì, è possibile sapere cosa effettivamente accade?

R: Ci sono differenti tipi di pralaya. I principali sono tre. Parliamo del primo.

“…Alla fine del millennio il Signore stesso, nella forma del distruttore Rudra, distruggerà tutta la creazione (proprio) come il vento disperde le nuvole.”
Srimad-Bhagavatam 2.10.43

“All’inizio del giorno di Brahma, le entità viventi escono dallo stato immanifesto e quando la notte sopraggiunge sono immerse di nuovo nel non-manifesto. Ancora ed ancora, quando il giorno di Brahma sopraggiunge, tutte le entità viventi vengono ad essere e con l’arrivo della notte sono annientate senza possibilità di scampo.”
Bhagavad-gita 8.18 e 19

In questo caso per millennio s’intende un kalpa. Allo scadere dei mille cicli delle quattro ere l’incarnazione di Sri Krishna, Rudra, provoca la distruzione parziale dell’universo, dai pianeti inferiori a un primo strato di quelli superiori. Questa devastazione dura tutta la notte di Brahma. Quando quest’ultimo si sveglia ripristina l’ordine e ricostruisce tutto ciò che era stato distrutto.

La seconda pralaya, quella più imponente, avviene alla fine della vita di Brahma, in cui tutto rientra all’interno del corpo di Maha-Visnu. I pianeti interi vengono annichiliti, tutte le forme disintegrate. Poi, uno dopo l’altro, tutti gli universi rientrano nel corpo del Signore passando attraverso i pori e lì le jiva rimangono in uno stato di profondo sonno mistico. Questo per un periodo di tempo molto lungo. Nel momento in cui Visnu decide di manifestare di nuovo la natura materiale, essa fuoriesce ancora dal Suo corpo e le jiva ottengono un corpo consono allo stato di coscienza che avevano al momento del pralaya precedente.

“L’intera creazione materiale proviene dal corpo della Suprema Personalità di Dio e al tempo della distruzione rientra in Lui…”
Srimad-Bhagavatam 4.31.15, verso e commento

“Quando si dorme i sensi sono inattivi, ma ciò non significa che siano assenti. Quando si risveglia, i sensi (dell’uomo) tornano attivi. In modo analogo questa creazione cosmica è talvolta manifestata e altre volte non manifestata… quando la manifestazione cosmica viene dissolta, viene a trovarsi in una condizione simile a uno stato inattivo…”
Srimad-Bhagavatam 4.31.16, commento

La terza pralaya, quella forse meno eclatante ma sicuramente più visibile ai nostri occhi, è quella pertinente alla distruzione dei nostri corpi. Kala, il Tempo Eterno, con un ritmo preciso e impressionante, devasta i corpi, mandando prima dei segnali sotto forma di malattia e di vecchiaia, poi intervenendo in modo drastico a distruggere la forma delle nostre illusioni.

Ci sono anche altre distruzioni parziali, ma queste sono le più importanti.

D: Cosa accade dopo la distruzione completa dell’universo? Dopo quanto tempo riappare?

R: Dopo un periodo uguale a quello di esistenza (cento anni di Brahma) tutto ritorna e la creazione ricomincia, con un altro architetto cosmico che costruisce tutto daccapo.

D: Cosa succede alle jiva che non si erano liberate durante il ciclo precedente? Essendo eterne, sicuramente non si dissolvono nel nulla.

R: No, affatto. Quando la manifestazione cosmica entra nel corpo trascendentale del Signore, anche le jiva seguono lo stesso sentiero e rimangono lì, assopite. Quando scocca il momento di una nuova creazione, anch’esse tornano e trovano un corpo adatto, in accordo al bilancio delle attività prodotte nella loro esistenza passata.

“Durante il tempo della dissoluzione, le entità viventi rimangono immerse nell’esistenza spirituale del Signore in uno stato simile al sonno profondo, ma il loro desiderio originale di signoreggiare sull’energia materiale non è placato. Ancora, quando c’è la manifestazione cosmica, tornano fuori per trovare la loro soddisfazione, e ricominciano ad apparire in differenti specie di vita.”
Il libro Krsna, cap. “Preghiere delle personificazioni dei Veda”

Descrizione e geografia degli universi
D: Ora vorremmo sapere come è fatto un universo, la dislocazione dei pianeti, delle stelle e degli astri lucenti.

R: L’universo è una specie di sfera chiusa a forma ovoidale, divisibile in due parti: la prima è costituita da un vasto strato di elementi materiali, il guscio che chiude “l’uovo cosmico” (brahmanda), mentre la seconda dalla cavità interna, dove sono situati i mondi.

D: Come è fatto lo strato esterno dell’universo?

R: E’ costituito di sette elementi materiali. Tra quelli che già conosciamo è esclusa solo la terra: dunque è composto di acqua, aria, fuoco, etere, mente, intelligenza ed ego. Ogni strato è 10 volte più grande del precedente. Tutto ciò è affermato nella Srimad-Bhagavatam (3.26.52).

“L’uovo universale… i suoi strati di acqua, aria, fuoco, etere, e mahat-tattva (gli elementi sottili) incrementano in spessore uno dopo l’altro: ognuno di loro è dieci volte più grande del precedente…”

Dunque la copertura dell’universo è come il guscio di un uovo composto di differenti strati, ma le loro dimensioni sono enormi. Il primo, composto di acqua, è dieci volte più grande del diametro dell’universo, che è di quattro miliardi di miglia; poi vengono gli altri, che sono estesi ognuno dieci volte il precedente. Possiamo dunque solo cominciare ad immaginare quanto più grande sia la crosta esterna in rapporto alla parte cava.

D: Parliamone: come è fatto lo strato interno dell’universo?

R: La parte interna è a sua volta divisa in due parti: la metà inferiore è colma d’acqua, ed è costituita dall’oceano di Garbhodaka dove si sdraia Garbhodakasayi-Visnu, mentre nella seconda sono situati i sistemi planetari, dove viviamo noi e nei quali si svolge il gioco pesante della vita condizionata dalle influenze dell’energia materiale.

D: Parliamo dei sistemi planetari.

R: Ci addentriamo in un campo estremamente complesso, nel quale noi stessi troviamo difficoltà a orientarci con esattezza, sia per la incompletezza delle informazioni finora in nostro possesso, sia per la difficoltà oggettiva che l’argomento presenta. Qui ci limiteremo a darvi solo i dati elementari.

I sistemi planetari sono tre o, secondo una classificazione alternativa, quattordici. Prendiamo in esame la prima suddivisione.

Il primo si chiama Svarga-loka, che è il sistema planetario superiore; poi c’è Bhuvar-loka, quello mediano; ed infine Bhur-loka, quello inferiore. Ma c’è un sistema planetario addizionale, denominato Naraka-loka, il cosiddetto sistema planetario “infernale”, e che si trova tra l’inferiore e l’oceano di Garbhodaka. Ognuno di loro presenta caratteristiche differenti. Deve essere tenuto conto che anche tra pianeti dello stesso sistema ci sono differenze notevoli. Vediamo comunque le loro caratteristiche fondamentali.

A Svarga si accede dopo molte austerità e attività pie, la vita è molto lunga e piena di gioie materiali; le persone che vivono su questi pianeti sono molto sagge, hanno fattezze corporee attraenti e generalmente sono molto virtuosi. Tuttavia, nonostante la vita smisuratamente lunga, anche lì inevitabilmente il fattore tempo si fa sentire e appena i meriti acquisiti si esauriscono si è obbligati a ridiscendere sui pianeti mediani. Inoltre, proprio perché il godimento materiale è molto elevato, riesce difficile praticare le discipline necessarie allo sviluppo di una coscienza superiore. Tra i pianeti superiori menzioniamo i pianeti a noi più noti, come il Sole, la Luna e Venere.

A Bhuvar-loka la vita non è eccessivamente lunga, così come media è la quantità e la qualità di gioie e frustrazioni che si provano. Proprio per questa ragione può essere abbastanza facile elevarsi allo stadio trascendentale, in quanto è più facile riconoscere la natura illusoria e temporanea della manifestazione materiale. Tra i pianeti mediani menzioniamo la nostra Terra e Marte.

A Bhur-loka la vita è breve, le gioie materiali sono intense ma grossolane; la coscienza spirituale è praticamente nulla. Tra questi ci sono Saturno, Plutone e Urano.

Naraka-loka, a differenza degli altri, è un sistema planetario composto di soli elementi sottili. Non si trovano corpi o oggetti grossolani. Accompagnati dai loro corpi sottili, lì vanno le anime cosiddette peccatrici per scontare una parte delle loro colpe. Troviamo una descrizione tanto precisa quanto raccapricciante nel quinto canto della Srimad-Bhagavatam.

Post view 311 times

Share/Cuota/Condividi:

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *