La Filosofia del Bhakti Yoga – Brahma-jijnasa (lo spirito inquisitivo)

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Brahma-jijnasa (lo spirito inquisitivo)

 

Come affrontare lo studio

Domanda: Noi vorremmo avvicinarci allo studio dei Veda, ma temiamo di essere privi di preparazione, di una cultura di base. Credete che per noi sia possibile affrontarne ugualmente lo studio, oppure no?

Risposta: In India alcuni studiosi sostengono che i Veda dovrebbero essere studiati solo da chi possiede precise qualificazioni, come ad esempio la nascita in un determinato tipo di famiglia, ma ciò non è corretto. I Veda non sono affatto libri per una élite di intellettuali e studiosi, ma sono testi che possono essere avvicinati da tutti. E’ vero che alcuni sono particolarmente difficili, ma grazie ai grandi maestri che hanno commentato nei nostri linguaggi le principali opere queste sono alla portata di qualunque persona che abbia il sincero desiderio di capire. E grazie alle traduzioni non c’è più neanche bisogno di conoscere il sanscrito, linguaggio particolarmente difficile. Bisogna solo imparare qual è la giusta maniera di accostarsi all’indagine.

 

D: Spiegateci qual è questa giusta maniera, in modo da non cercare nel modo sbagliato.

R: Non c’è alcun segreto particolare. Come in ogni ricerca filosofica o scientifica si deve soltanto porre domande intelligenti e ascoltare le risposte; poi non è neanche necessario accettare ciecamente ciò che ci viene proposto per andare avanti. Il dissentire non è un elemento negativo; al contrario una valutazione critica e la proposta di un dibattito costruttivo sono particolarmente produttivi. E’ giusto e necessario avere opinioni proprie, confrontarle con una saggezza superiore e modificarle nel corso dello studio. L’opinione è il grado intermedio tra l’ignoranza e la scienza.

L’accettazione cieca non è raccomandata, come non lo è il rifiuto preconcetto e immotivato, poiché nessuno dei due conduce alla meta, che è quella di comprendere. Fare domande è l’inizio della vita spirituale, di cui la ricerca filosofica ne è la base.

Non è un caso se uno dei più importanti testi vedici inizia dicendo:

athato brahma-jijnasa
“Questo è il momento di porre domande sulla Verità Ultima.”
Vedanta-sutra 1.1.1

In questo caso brahma significa essenza spirituale, la verità oltre la quale nulla esiste. Nel Govinda-bhasya, Baladeva Vidyabhusana dice che porre domande sulla Verità Suprema è il primo e indispensabile passo che occorre compiere se si vuole capire la realtà delle cose. E continua sostenendo che il brahma-jijnasa non va sottovalutato, non si deve pensare che non è tanto importante, ma che anzi è la struttura fondamentale se si vuole perfezionare la vita umana.

I karmi,
Un termine per indicare una persona materialista
al contrario, sostengono che lo sforzo impiegato per ricercare verità trascendenti sarebbe meglio impiegato nella ricerca delle migliorie mondane personali, dello stare meglio, insomma. Cercare maniere sempre più perfezionate di vivere la vita presente senza preoccuparsi dell’aldilà. Ma Baladeva non si trova affatto d’accordo con queste tesi e risponde che tutte le attività interessate (kamya-karma), cioè quelle che si attuano per un vantaggio finale personale, sono solo una perdita di tempo.
srama eva hi kevalam, dice lo Srimad-Bhagavatam, 1.2.8.

Sulla scia della critica al kamya-karma, Srila Prabhupada attacca energicamente coloro che sottovalutano l’importanza di accostarsi allo studio della filosofia. Certuni dicono che la vita è fine a sé stessa, che esiste solo ciò che vediamo e di cui possiamo godere, e che un fine che trascenda questa esistenza è creazione di filosofi idealisti che hanno perso il senso della realtà. Ribattendo a questa teoria, che affronteremo meglio in seguito, Prabhupada sostiene che la vita umana è fatta per conoscere la verità e non per perire succubi dell’ignoranza.

“La gente impazzisce per la gratificazione dei sensi, e non sa che il suo corpo presente (che è pieno di miserie), è il risultato delle azioni interessate compiute nel passato. Oltre che essere temporaneo, questo corpo dà problemi in continuazione. Dunque, agire per la gratificazione dei sensi non è consigliato. La nostra vita è un fallimento fintanto che non si comincia a porre domande sulla nostra vera identità, e fintanto che non la si conosce si deve lavorare per ottenere dei benefici per la gratificazione dei sensi, e fintanto che si è ingrossati nella coscienza della gratificazione dei sensi si deve trasmigrare da un corpo a un altro. Sebbene la mente possa essere ingrossata nelle attività fruttifere e influenzata dall’ignoranza, dobbiamo sviluppare amore per il servizio devozionale a Vasudeva. Solo così si può avere l’opportunità di uscire dalla prigionia dell’esistenza materiale.”
Srimad-Bhagavatam 5.5.4, fino al verso 6

 

D: Poco fa hai detto che lo scopo dello studio è di capire la Verità; ma prima bisognerebbe dimostrare che esiste una verità, diciamo, che vada al di là del semplice piacere fine a sé stesso di discorrere. In altre parole, possiamo studiare tutte le filosofie del mondo solo per il gusto di sapere qualcosa di nuovo, senza per questo accettarle come verità suprema.

R: Non esiste una formula grazie alla quale tu puoi capire all’inizio che una Verità Assoluta esiste o che essa sia contenuta nei libri che andiamo a studiare: ciò va capito, se ci riusciremo, strada facendo.

In ogni analisi filosofica ci sono dei teoremi che devono essere capiti subito, come premessa a tutto il resto, altri invece che, pur essendo di importanza fondamentale, possono essere discussi e dimostrati in seguito.

In ogni caso questo è un punto importante, che discuteremo nell’apposito capitolo, quando parleremo della Verità Trascendentale. Per ora limitiamoci ad entrare in questo orizzonte di pensiero, qualsiasi sia la ragione che ci spinga a farlo.

 

L’importanza dello spirito inquisitivo

 

D: Forse sembrerà una domanda inutile, ma vorrei sapere se brahma-jijnasa, il porre domande, è utile solo a coloro che necessitano di risposte, cioè agli ignoranti, oppure è parte di una specie di rituale spirituale, un elemento sacro, assoluto, che va al di la della persona che affronta la problematica.

R: Questa non è affatto una domanda superflua, anzi richiama un numero significativo di concetti filosofici. Il porre domande non è solo un mezzo per ottenere delle risposte chiarificatrici e conseguentemente guadagnare la conoscenza ma è un eterno atto sacro che ha un suo valore intrinseco. Nella tradizione vedica notiamo infatti che personalità ricche di conoscenza completa pongono domande senza averne necessità oggettiva.

“Tutti i differenti tipi di atmarama (coloro che sono soddisfatti nel sé poiché realizzati) e specialmente coloro che già percorrono in modo stabile il sentiero della realizzazione, sebbene siano già liberi da ogni tipo di contaminazione materiale, desiderano servire la Suprema Personalità di Dio. Ciò significa che il Signore possiede qualità trascendentali e che quindi può attrarre chiunque, compreso le anime liberate.”
Srimad-Bhagavatam 1.7.10

In riferimento all’argomento che stiamo trattando, in questo verso a noi interessa la parola sanscrita api, che significa “nonostante ciò”. Coloro che sono liberati sono già completamente soddisfatti (in termini di felicità e anche di conoscenza) e non hanno necessità di null’altro; nonostante ciò (api) non possono fare a meno di rendere servizio devozionale (bhakti) al Signore Krishna. Perché ciò? Perché Egli possiede attributi trascendentali, non materiali, e quindi riesce ad attrarre persino coloro che sono atmarama. Essendo l’ascolto uno dei nove processi necessari all’ottenimento della conoscenza, il brahma-jijnasa riveste un’importanza in sé, cosicché per dare frutti non deve necessariamente sbrogliare problematiche intellettuali.

Vediamo la storia cosa c’insegna. Nel Maha-bharata, Arjuna rivolge domande a Krishna e nel dialogo traspare la sua (di Arjuna) ignoranza degli elementari valori della spiritualità. Infatti Krishna gli dice:

“… come hanno potuto queste impurità comparire in te? Non sono adatte a un uomo che conosce come progredire nella vita… esse conducono all’infamia… non soccombere a questa degradante impotenza, non è da te. Abbandona questa debolezza di cuore e risollevati…”

Arjuna è confuso: si trova in un campo di battaglia e deve combattere contro parenti e amici, tutta gente che ama e rispetta. Per questo non vuole, rifiuta l’idea di versare il sangue dei suoi cari. Sembrerebbe un atto encomiabile, ma come vedremo in seguito, Krishna non è d’accordo e critica Arjuna. Sembrerebbe che Arjuna sia caduto vittima dell’ignoranza e della debolezza, ma nella stessa Bhagavad-gita apprendiamo che egli era un’anima liberata e che quindi mai sarebbe potuto cadere vittima dell’illusione. Lo ha fatto solo perché voleva spingere Krishna a parlare la Bhagavad-gita? Non solo. Desidera ascoltarla lui stesso. Vediamo altri casi di brahma-jijnasa.

Krishna stesso, che è Dio, pone domande a Maitreya Muni, altre volte a Narada, al suo guru Sandipani Muni. In Sua presenza, invece di parlare personalmente, permette a Bhisma di esporre lo Santi Parva ed Egli stesso ascolta con rapita attenzione, con evidente piacere. Lo fa solo per glorificare il suo devoto Bhisma? Anche; ma non solo.

Ancora: Caitanya Mahaprabhu accetta Isvara Puri e ne ascolta le istruzioni; i saggi di Naimisa dalla conoscenza perfetta e completa si siedono per lungo tempo ad ascoltare il più giovane Suta Gosvami mentre narra la Srimad-Bhagavatam e il Maha-bharata. Perché ciò?

La risposta è la seguente: brahma-jijnasa non è solo il mezzo, lo strumento per ottenere la conoscenza e così abbandonare l’ignoranza, ma è anche un modo in sé di vivere la propria liberazione eterna nell’ascolto continuo della Verità. E’ un principio assoluto e spirituale.

Tanto più, ovviamente, acquista valore per chi inizia il cammino della conoscenza.

 

Le sorgenti della conoscenza

 

D: Non siamo d’accordo. La conoscenza spirituale (proprio per la sua costituzione ultraterrena) non deve necessariamente provenire dalla lingua di un altro o dalle pagine di un libro, ma scaturisce dal cuore, dove, a detta degli stessi Veda, la Verità risiede eternamente. Basta dunque guardare dentro di noi per trovare le risposte: è sufficiente un brahma-jijnasa interno.

R: E’ proprio per evitare queste sottili ma terrificanti modelli di imbroglio (kaitava) che il Supremo Brahman, Dio, sceglie di rivelarsi solo attraverso “forme autorizzate”. Ciò non vuole dire che le persone dal cuore puro non possono raccogliere la Verità dal proprio intimo dove, appunto, essa può essere trovata, ma ciò non si applica agli esseri condizionati, i quali devono riceverla attraverso altri canali.

Vi immaginate cosa succederebbe se ognuno si svegliasse la mattina dicendo che Dio gli ha parlato dall’interno del proprio cuore e gli ha dettato nuove leggi? come mai faremmo a distinguere il vero dal falso? Conoscendo la natura furfantesca dell’uomo di questa era, la regola è stata posta: la conoscenza scritta nei testi vedici deve essere tramandata da una catena ininterrotta di puri e santi maestri spirituali (parampara), e la filosofia che dice il contrario è kaitava-vada, una forma di inganno.

 

Il modo corretto di fare domande

 

D: Prima avete detto che non c’è un segreto, un modo particolare per porre le domande giuste; tuttavia ci saranno stati degli esempi che possiamo seguire.

R: Se si vuole imparare si deve ricercare con mente aperta, senza pregiudizi, senza cercare di giustificare qualcosa di cui si è convinti in partenza. Questo è lo stato d’animo corretto che ci darà la serenità e la lucidità di organizzare un questionario rilevante.

Ma è anche vero che è difficile impostare la ricerca su un qualcosa del quale si è ignoranti, per cui è costruttivo studiare le domande che i saggi hanno posto ai loro maestri; infatti talvolta essi non insegnano solo dando risposte, ma danno anche l’esempio tramutandosi in discepoli e ponendo quesiti per il beneficio degli altri. Nella Srimad-Bhagavatam, uno dei principali testi vedici, ci sono numerosissimi esempi di discepoli che fanno domande e che ricevono risposte. E non solo la Srimad-Bhagavatam, ma anche la Bhagavad-gita, la Caitanya-Caritamrta e altre.

Col tempo e con l’esperienza anche la qualità delle nostre domande migliorerà.

 

A chi porre domande

 

D: Ma a chi si debbono porre le domande? Sicuramente non a uno qualsiasi.

R: Certamente no. Le risposte di un imbroglione (ce ne sono fin troppi in giro) confondono le idee e creano una situazione di disagio intellettuale tale da causare persino la rovina di una ricerca sincera. La scelta della fonte è di importanza primaria. Noi vi proponiamo i libri Veda come guida scritta e coloro che li rappresentano come maestri viventi.

Di questi ultimi ci occuperemo nel capitolo dedicato ai maestri spirituali.

 

D: Vediamo allora i testi che chiamate Veda: parliamone.

R: Cinquemila anni fa il saggio Vyasa mise per iscritto tutta la conoscenza preesistente, sistemandola e organizzandola in modo da renderne lo studio più agevole. La parola Vyasa significa infatti “colui che mette in ordine”.

“Una volta egli (Vyasa)… vide anomalie (nel periodo storico in cui viveva)… e grazie alla sua visione trascendentale, previde il deterioramento di ogni cosa… (questo fenomeno era) dovuto all’influenza dell’epoca (kali-yuga). Egli capì che la gente avrebbe avuto una vita molto corta e, per mancanza di virtù, sarebbe stata tormentata dall’impazienza… egli pensò che i sacrifici insegnati nel Veda avrebbero potuto purificare tutti, e allo scopo di semplificare l’avanzamento spirituale della gente lo divise (il Veda, la scrittura sacra) in quattro parti… I fatti storici raccontati nelle Purana sono considerati il quinto Veda.”
Srimad-Bhagavatam 1.4, versi sparsi

In questa sezione della Srimad-Bhagavatam abbiamo visto come il veggente Vyasa avesse previsto la degradazione di Kali-yuga e volendo facilitare lo studio dei Veda, li avesse messi per iscritto e divisi in quattro parti. In seguito ne avrebbe affidata la diffusione a cinque dei suoi discepoli; a Paila avrebbe consegnato il Rig Veda, a Jaimini il Sama Veda, a Vaisampayana lo Yajus Veda, ad Angira l’Atharva Veda e a Romaharsana le Purana.

 

D: Ci pare di aver capito, dunque, che la conoscenza vedica non è qualcosa che Vyasa abbia architettato per conto suo, inventata di sana pianta, insomma, ma che esistesse già.

R: Esatto. Vyasa non inventò nulla; egli non fece altro che mettere ordine nella conoscenza di millenni, tramandata oralmente da famiglie di saggi che per lo più vivevano in foreste remote, darle una organizzazione logica; e soprattutto pensò bene di mettere tutto per iscritto, in una forma adatta ad essere studiata dall’uomo di quest’era.

 

D: Perché Vyasa dovette metterla per iscritto? come era stata preservata prima di allora?

R: Precedentemente a cinquemila anni fa, data approssimativa dell’inizio di Kali-yuga,
La presente era, epoca di degradazione e di malvagità
l’uomo era in possesso di una memoria formidabile, dote chiamata srutidhara, dalla memoria infallibile. Sia per insegnare che per imparare non avevano bisogno di scrivere o leggere. Assimilavano tutto ascoltando una volta sola. Il chiaroveggente Vyasa previde che l’uomo del futuro avrebbe perso, tra le altre, anche questa facoltà e si assunse il gravoso compito di trascrivere i Veda.

“…coloro che hanno perso la visione (di ciò che è giusto) a causa delle profonde tenebre dell’era di Kali ricaveranno luce da questa Purana.”
Srimad-Bhagavatam 1.3.43

“(Ancora:) L’intelligente Maharaja Yudhisthira denotò la presenza dell’era di Kali osservando (aumentare) l’avarizia, la falsità, l’imbroglio e la violenza.”
Srimad-Bhagavatam 1.15.37

Sono molti i passaggi nei quali possiamo chiaramente vedere quanto l’avvento di Kali abbia modificato l’uomo. Un capitolo molto interessante è il 16.mo del primo canto della Srimad-Bhagavatam, dove è riportato il dialogo tra Pariksit e Bhumi.

Sempre nello stesso testo, tra i difetti principali viene menzionato ancora, appunto, il drastico calo della memoria.
Srimad-Bhagavatam 1.1.22

 

La differenza fra i Veda e la corrente Vaisnava

 

D: Abbiamo parlato di testi vedici e di scritti Vaisnava; c’è una differenza tra i due?

R: Il Vaisnavismo è la devozione a Visnu, che è uno dei nomi di Dio; dunque possiamo dire che è la corrente devozionale dei Veda, i quali sono la sua base tradizionale filosofica e storica.

 

Le scritture principali

 

D: Quali sono le principali scritture vediche?

R: Abbiamo già accennato al fatto che originalmente esisteva un Veda solo, lo Yajus Veda, il quale venne diviso in quattro parti; e cioè:

Yajus Veda
Atharva Veda
Rig Veda
Sama Veda.

Questi quattro vasti volumi contengono lo scibile umano per quanto riguarda il mondo fenomenico in cui viviamo.

Seguì una ricchissima raccolta di storie antiche, le Purana, che sono oltre che libri di storia anche un vero tesoro di teologia e filosofia, divise in 18 libri. Vediamo i titoli di queste opere: Siva Purana, Vayu Purana, Garuda Purana, Kurma Purana, Naradiya Purana, Linga Purana, Matsya Purana, Markandeya Purana, Visnu Purana, Vamana Purana, Brahma Purana, Brahmanda Purana, Brahma-vaivarta Purana, Agni Purana, Varaha Purana, Padma Purana, Skanda Purana, Bhavisya Purana; più un diciannovesimo, la Bhagavata Purana (chiamata anche Srimad-Bhagavatam) che costituisce un Purana a parte.

Poi le Upanisad. Si può affermare che le Purana siano di stesura antecedente poiché in diverse Upanisad (tra le quali la Chandogya) esse sono abbondantemente menzionate. Nelle Upanisad si inizia lo studio della realtà spirituale, quella che esiste al di là del mondo in cui viviamo. Nella maggior parte di esse, però, la realtà spirituale viene analizzata principalmente nel suo aspetto impersonale. Tra quelle che fanno eccezione deve essere menzionata la Sri Isopanisad, detta anche Isa Upanisad. Per ragione di spazio non diamo la lista completa delle 108 Upanisad; comunque tra le più importanti ricordiamo appunto la Sri Isopanisad, la Katha Upanisad, la Svetasvatara Upanisad e la Chandogya Upanisad. Upanisad si riferisce al “sedersi ai piedi del maestro” da parte del discepolo allo scopo di ascoltarne la conoscenza.

Seguente ai Veda, alle Purana e alle Upanisad, viene il Vedanta Sutra. La sua cronologia la deduciamo dai suoi stessi sutra, dove troviamo ampi riferimenti alle tre scritture precedenti.

Per onestà dobbiamo dire, comunque, che l’ordine di stesura di questi libri non è certo, in quanto essi preesistevano in forma orale e quindi Vyasa avrebbe potuto benissimo riferirsi a loro rifacendosi alla tradizione non scritta. Ma una cosa è certa: che non sempre nelle sue opere Vyasa sembra dare importanza alla cronologia in genere.

Con il Vedanta il saggio ha voluto dare una spiegazione filosofica dei principi vedici. Ma questo suo lavoro ha suscitato un enorme fermento e molte incertezze, poiché i sutra (che sono forme espressive estremamente concise) danno adito a numerosissime interpretazioni, cosicché da millenni gli studiosi si sbizzarriscono a dare nuove e certe volte bizzarre interpretazioni agli aforismi, che rimangono comunque estremamente complessi e di difficile comprensione e assimilazione.

Il Vedanta Sutra è diviso in 4 adhyaya (libri). Ognuno di questi è diviso in altrettanti pada (capitoli), i quali sono ripartiti in vari adhikarana, o argomenti. L’opera in sé non è voluminosa, essendo composta di soli 559 sutra, ma il linguaggio è di così difficile comprensione che un commento anche conciso la fa diventare un volume consistente. Non c’è scuola filosofica in India che non abbia espresso una spiegazione sul Vedanta. Tra le migliori ricordiamo il Govinda-bhasya di Baladeva Vidyabhusana, il Sri-bhasya di Ramanuja e il Purna-prajna-bhasya di Madhvacarya. Pur profondamente discordando dalle conclusioni che i suoi discepoli ne avrebbero tratto, dobbiamo menzionare il Sariraka-bhasya, commento ad opera di Sankara il quale, a differenza degli altri, propone in modo molto vigoroso ed efficace la visione impersonale della Verità, teoria aspramente criticata da tutti i maestri Vaisnava di scuola personalistica. Affronteremo in seguito l’analisi di questa secolare diatriba.

Sappiamo per certo che dopo il Vedanta Sutra Vyasa compilò il Maha-bharata.

“(dopo i Veda e le Purana)… compilò la grande narrazione storica chiamata Maha-bharata.”
Srimad-Bhagavatam 1.4.25

Dunque il Maha-bharata è posteriore ai Veda, alle Purana e alle Upanisad. Azzardiamo allora la seguente successione cronologica:

1) il Veda originale, lo Yajus Veda
2) poi la divisione dello Yajus in quattro parti
3) le 18 Purana
4) le 108 Upanisad.
Queste scritture sono chiamate sruti, le originali. Le altre, chiamate smrti, sono state scritte su ispirazione delle sruti:
5) il Vedanta Sutra
6) il Maha-bharata
e le altre che seguirono.

 

D: Tu sostieni che tutta questa letteratura sia stata scritta da Vyasa, ma ciò non può essere vero. I Veda sono così vasti che è impossibile che siano provenuti dallo sforzo di una singola persona; è invece assai più probabile che diversi saggi si siano avvicendati a trascrivere i canoni vedici nei secoli. E questo ancor di più vale per la Srimad-Bhagavatam, che è notoriamente un’opera molto posteriore rispetto alle altre.

R: Queste sono speculazioni senza fondamento di nessun tipo. Lasciamo parlare la Srimad-Bhagavatam stessa.

“…questo meraviglioso Purana, compilato dal saggio Vyasa, è sufficiente (di per sé) ad ottenere la realizzazione di Dio.”
Srimad-Bhagavatam 1.1.2

“(E poi)… emanò dalle labbra di Sukadeva Gosvami…”
Srimad-Bhagavatam 1.1.3

Sukadeva era il figlio di Vyasa.

“…dopodiché nella 17.ma incarnazione Sri Vyasadeva apparve dal ventre di Satyavati, la moglie di Parasara Muni, ed egli divise l’unico Veda in diverse parti e sezioni, prevedendo che la gente sarebbe diventata meno intelligente…”
Srimad-Bhagavatam 1.3.21

Tuttavia le evidenze di quanto asserito poc’anzi sono così numerose che sarebbe inutilmente gravoso elencarle tutte. E’ comunque certo che Vyasa è stato l’unico ordinatore dei Veda, delle Purana, delle Upanisad, ecc.

Se l’autore o gli autori fossero stati altri, non si capisce che interesse avrebbero avuto a dichiarare nella loro stessa opera che in realtà a scriverla era stato un altro.

 

D: Tornando proprio alla Srimad-Bhagavatam, in precedenza hai detto che viene considerata la 19.ma Purana, pur essendo una scrittura a parte. Puoi spiegare meglio questa affermazione?

R: Dopo aver compilato questa voluminosissima enciclopedia del sapere, Vyasa contemplò la sua opera e non se ne sentì completamente soddisfatto.
Vedi Srimad-Bhagavatam 1.4, versi sparsi
Il tempestivo arrivo del suo maestro spirituale gli servì a capirne le ragioni.

(Disse Narada) “Ti senti soddisfatto nel considerare il corpo o la mente (come se fossero il tuo sé e quindi) come oggetti di autorealizzazione? Non c’è alcun dubbio che le tue ricerche hanno un valore notevole, in quanto hai compilato un grande e fantastico lavoro come il Maha-bharata che è pieno di sequenze vediche spiegate nei minimi dettagli; hai poi chiarito i concetti che riguardano il Brahman impersonale e ciò che ne deriva… (ma ciò non è stato sufficiente) la tua insoddisfazione è causata dal non aver narrato le pure e sublimi glorie della Suprema Personalità di Dio…”
Srimad-Bhagavatam 1.5 versi sparsi

Così esortato da Narada, Vyasa scrisse la Srimad-Bhagavatam, l’opera sicuramente più eccelsa di tutte. In essa sono descritte solo le attività spirituali del Signore e dei Suoi puri devoti. Leggendo questo lavoro si può ottenere un notevole avanzamento spirituale. Divisa in 12 canti, la Srimad-Bhagavatam conta 18.000 sloka. L’intero 10.mo canto narra della vita e delle attività di Krishna.

 

D: Oltre a queste ci sono scritture altrettanto importanti o solo opere minori?

R: Ce ne sono di altrettanto importanti. La Bhagavad-gita, per esempio, che è parte del Bhisma Parva del Maha-bharata, è un testo assolutamente fondamentale per il nostro studio. Senza leggere questo libro crediamo che sia molto difficile addentrarsi nei meandri della filosofia spiritualistica dell’India; anzi, sarebbe quasi sconsigliabile in quanto chi è privo di una preparazione di base potrebbe arrivare a delle conclusioni totalmente errate.

(Krishna disse:) “Questo sapere costituisce l’educazione più alta e la conoscenza più pura, e poiché dà una percezione diretta del sé mediante realizzazione, è la perfezione della religione. E’ eterna e si applica con gioia.”
Bhagavad-gita 9.2

“Colui che ascolta con fede e senza invidia (la Bhagavad-gita), diventa libero dalle reazioni del peccato e ottiene i pianeti dove risiedono coloro che sono pii.”
Bhagavad-gita 18.71

(Sanjaya disse)”… e così meraviglioso è quel messaggio che i capelli si rizzano sulla mia testa. Quando ricordo quel magnifico e santo dialogo tra Krishna e Arjuna, sento una grande piacermi pervadermi tutto.”
Bhagavad-gita 18. 74 e 75

La Bhagavad-gita è dunque una delle scritture basilari. Noi consigliamo che venga studiata prima di ogni altra.

Secondi solo in ordine di studio e non di importanza, dobbiamo ricordare i numerosissimi scritti Vaisnava bengali. D’obbligo la Caitanya Caritamrta di Krishnadas Kaviraja, la Caitanya Bhagavata di Vrndavana das Thakur (che narrano la vita e gli insegnamenti di Caitanya Mahaprabhu) e i lavori di Rupa, Sanatana e Jiva Gosvami. Poi vanno ricordati gli antichissimi Brahma-samhita e Ramayana.

Ma queste che abbiamo menzionato sono solo le scritture più rilevanti. I libri che gli studiosi e i devoti ci hanno consegnato nel corso dei millenni sono così numerosi che difficilmente si potranno mai contare. Purtroppo molti di questi tesori di saggezza sono anche andati persi.

Così, le tesi che presenteremo qui, non sono basate sulla nostra immaginazione o sulle nostri opinioni personali, bensì sull’autorità di questi testi e sugli insegnamenti dell’ultimo anello della Brahma-gaudiya-sampradaya, la catena autentica di maestri che si sono tramandati questa grande conoscenza.

Da lui, Srila Prabhupada, abbiamo appreso quanto abbiamo cominciato a discutere.

 

 

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