La Filosofia del Bhakti Yoga – Bhagavan (la Suprema Personalità di Dio) – parte 1

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Bhagavan (la Suprema Personalità di Dio)

Parte introduttiva
Il prossimo capitolo tratterà di Dio, dell’Essere da cui tutto proviene. La scaletta degli argomenti che stiamo trattando è logica e corretta, in quanto, dopo aver precisato chi siamo noi, che conduciamo la ricerca filosofica, possiamo ora passare a stabilire chi è l’Essere che deve essere conosciuto, colui che dà una logica unitaria a tutto ciò che esiste. Secondo tutti i principali testi vedici, nulla potrebbe esistere senza la presenza di un’entità superiore. In questo capitolo ne parleremo, sviscerando anche le sue caratteristiche.

E’ bene precisare che nel corso di questo capitolo ci riferiremo allo stesso principio assoluto usando appellativi diversi, quali “Dio”, “la Suprema Personalità di Dio”, “la Persona Suprema”, “la Suprema entità”, “Sri Bhagavan”, “Sri Krishna” eccetera, termini diversi che vogliono però indicare lo stesso principio, e cioè colui che nella cultura occidentale viene comunemente definito come Dio. Occorre poi premettere che, oltre a quelli che useremo, esiste un numero praticamente infinito di epiteti che denotano la stessa personalità divina, proprio perché tali (cioè senza limiti) sono i suoi aspetti e le sue caratteristiche.

Significato dei nomi di Dio
D: Molti studiosi delle lingue e filosofie orientali sono concordi nel definire politeistiche la maggior parte delle correnti religiose indiane, proprio per la presenza dei numerosi nomi che determinerebbero l’Assoluto. Perché tutto ciò? Usando tutti questi appellativi, non si rischia effettivamente di creare confusione, di essere scambiati per adoratori di più divinità?

R: Questo rischio lo corrono i più superficiali, non coloro che studiano con un minimo di serietà e attenzione.

Dio è un termine che prende la sua origine dal sanscrito (la radice è div), e vuol dire “colui che ha per sede il cielo”. E’ un termine generico che indica l’Essere Supremo, il Creatore, Colui che ha generato tutto ciò di cui abbiamo esperienza e della quale siamo partecipi. Ma è anche il principio generatore di tutto ciò di cui non abbiamo ancora avuto la possibilità di sperimentare.

Ora, se Dio è l’artefice, deve avere in sé tutte le caratteristiche della sua creazione. Difatti l’autore di una cosa deve possedere le qualità presenti nella sua produzione, altrimenti come potrebbe averla concepita?

E’ giocoforza che abbia insite nella sua natura tutte le bellezze della creazione al loro massimo grado di realtà, e tutte le caratteristiche vitali e personali. Se diamo una sguardo al mondo intorno, notiamo che esiste un numero di oggetti e situazioni praticamente infinito. Questa è la ragione per cui gli appellativi con i quali ci si può rivolgere a lui sono similmente infiniti.

Ci si può rivolgere a Dio con termini che indichino le Sue caratteristiche. Ma non equivochiamo: Dio è uno e uno solo.

D: Vorrei conoscere il significato degli appellativi che userete. Cominciamo con l’espressione “Suprema Personalità di Dio”, che mi sembra alquanto originale.

R: Srila Prabhupada la usa spesso per riferirsi a Krishna, chiamandolo “Supreme Personality of Godhead”. Qualcuno la traduce con “Essere Sovrano”, “Essere Supremo”, eccetera. Naturalmente Sri Krishna è indubbiamente l’Essere Sovrano e Supremo, ma a noi è sembrato evidente che Prabhupada intendesse anche esprimere un concetto. Noi suoi discepoli crediamo che volesse dire che Krishna, Dio, moltiplica se stesso in un numero infinito di forme diverse, ognuna delle quali è una personalità a sé stante; ma fra le tante personalità che Dio assume, quella di Krishna è la suprema: è appunto la Suprema Personalità di Dio.

D: Invece Bhagavan cosa significa?

R: Leggiamolo direttamente dal dizionario sanscrito:

La parola può essere suddivisa in tre parti: bha, ga e van, che rispettivamente significano:
bha: lustro, splendore, fortuna,
ga: eternità, esistenza,
van: piacere, amare, desiderare, conquistare, vincere.

Bhagavan è quindi colui che possiede tutte le qualità e le glorie succitate.

In uno dei commenti ai versi della Bhagavad-gita, Srila Prabhupada dice:
Cap.2 verso 2

“La grande autorità Parasara Muni, padre di Vyasadeva, spiega la parola sanscrita Bhagavan, in questi termini: “La Personalità Suprema che possiede tutte le ricchezze, tutta la forza, la fama, la bellezza, la conoscenza e la rinuncia, può essere chiamata Bhagavan. Ci sono molti uomini che sono ricchi, potenti, belli, famosi, istruiti e distaccati, ma nessuno può dire di possedere (in pieno) tutte queste qualità. Solo Krishna può affermarlo, perché è la Suprema Personalità di Dio.”

D: E Krishna?

R: Krishna è il nome proprio di Dio e può avere diversi significati, fra cui “infinitamente affascinante”, “sorgente ultima di tutte le energie”, “colui che ha la pelle scura”.

Come ho avuto modo di dire poc’anzi, il creatore di ogni cosa deve avere dentro di sé tutto ciò che esiste; da ciò ne scaturisce il suo fascino infinito. Bhagavan, il vero Bhagavan, non può essere altri che Dio, e deve possedere tutte le qualità esistenti. Chi non sarebbe infinitamente attratto a una persona che fosse ricca, famosa, bella, potente, istruita e rinunciata, e tutto al massimo grado? Questa è la ragione per cui il nome proprio di Dio è Krishna.

Monoteismo o politeismo?
D: I Veda sostengono l’esistenza di più dei. Il panorama di personaggi che i Veda ci presentano è vastissimo: un numero praticamente illimitato di esseri dalla potenza incommensurabile, come Siva il distruttore, Brahma il creatore, Visnu il mantenitore; e poi tutti i deva, che sono addirittura più di trenta milioni, ognuno dei quali con una propria precisa collocazione. Indra, Yama, Kuvera e tutti gli altri sembrano dei con una loro individualità e un loro potere assoluto, totale e indipendente.

R: Questo è un errore grossolano che purtroppo viene commesso spesso, specialmente dagli studiosi di culture orientali, sempre frettolosi di terminare il loro lavoro e di tirare conclusioni.

I Veda non presentano affatto Dio come molteplice, al contrario affermano in modo molto esplicito che è uno solo e assoluto. Le evidenze scritturali sono così tante che per tutte possono bastare le seguenti:

“C’è grande confusione al riguardo di Dio e dei semidei (i deva)… uomini di poca intelligenza, che si spacciano per eruditi e grandi conoscitori della verità, scambiano questi semidei per esseri supremi. In realtà… non sono differenti forme (della personalità) di Dio, ma sono Sue particelle distaccate. Dio è uno, e le Sue particelle sono tante. I Veda dicono: “nityo nityanam, Dio è uno”. “Isvarah paramah krsnah”. Il Dio supremo è uno – Krishna – e gli esseri celesti sono Suoi delegati, dotati di limitati poteri di amministrazione per quanto riguarda gli affari cosmici. Gli esseri celesti sono tutte entità viventi individuali (nityanam) con differenti gradi di potere materiale. Non possono (mai) essere uguali al Supremo Signore…”
Bhagavad-gita 4.12, commento

O: Ma è anche vero che, secondo le scritture a cui ci stiamo riferendo, ci sono innumerevoli forme di Dio. Si deve dunque concludere che non esiste un Dio unico, ma un Dio diviso in diverse forme, diluito in più personalità?

R: No. Nella Srimad-Bhagavatam,
3.1.26
Srila Prabhupada afferma che “Dio è uno, ma si espande in varie forme…”. In altre parole, è come quando un attore indossa vari vestiti: sembra diverso, ma è sempre lui.

Altre evidenze. Nel primo canto della Srimad-Bhagavatam, nel primissimo verso, Vasudeva,
Notare la prima a doppia, che signifi¬ca figlio di Vasudeva
e cioè Sri Krishna, viene indicato come Bhagavat, la Suprema Personalità che si erge al di là di chiunque altro. Lo stesso Vasudeva viene poi indicato come janma-ady-asya, e cioè colui che crea, mantiene e distrugge l’universo, che sta a significare che prima di Lui non poteva esistere null’altro. Poi il Signore afferma di avere impartito la conoscenza vedica nel cuore dell’adi-kavaye, dell’essere vivente originale, e cioè Brahma, indicando implicitamente che Egli è superiore anche al primo essere nato in questo universo. Ancora, viene chiamato satyam, la verità originale e param, assoluto, il che significa che oltre a Lui non può esistere null’altro. Dunque, Dio, Krishna, è l’essere originale ed è l’Uno e il Primo.

Per terminare questa breve lista di evidenze che contrastano la tesi ricorrente secondo la quale i Veda propongono una sorta di politeismo, andiamo alla Brhad-aranyaka Upanisad,
Maitrayani, 4, 5 e 6
e leggiamo un dialogo di cui il protagonista principale è il saggio Yajnavalkya.

Domanda: O Yajnavalkya, ci puoi dire quanti dei esistono?

Risposta: Un Dio, e uno soltanto.

Domanda: E allora cosa puoi dirci di Agni, di Vayu (e di tutti gli altri)? Alcuni meditano su di loro, i restanti (invece si concentrano) su (qualcun) altro. Dicci, qual è il migliore per noi? (cioè chi ci consigli di adorare?)

Risposta: Questi dei non sono che manifestazioni importanti dell’Altissimo, Immortale e Incorporeo Brahman (che è puro spirito). Brahman soltanto è l’universo tutto. Si può meditare su di Lui, (ma si) può adorare o anche respingere le altre (sue) manifestazioni.

In questa ultima risposta il saggio afferma che si possono adorare o meno i deva al fine di ottenere un qualche avanzamento spirituale, ma non si può evitare di venerare Brahman.

Teniamo a ribadire che le evidenze che attestano il monoteismo vedico sono così numerose che occorrerebbe scrivere un volume apposito per presentarle tutte.

L’esistenza di Dio secondo la ragione
D: Torniamo al punto originale. E’ stato detto che i Veda sono libri teisti, affermano e testimoniano cioè l’esistenza di Dio. Ma troppo spesso le scritture religiose hanno come unica fonte di prova i loro stessi dogmi, e sono prive di sostegni logici. E’ il caso dei libri di cui abbiamo appena iniziato lo studio?

R: Originalmente la parola “dogma” non aveva il significato che le attribuiamo noi ora. Dogma (o domma) significava opinione, ipotesi. Nel corso della storia la religione cattolica ha imposto in modo così violento le sue teorie che la gente, non comprendendole, cominciava a accomunarle a un senso di fede cieca. E cioè, che il dogma fosse una ipotesi non dimostrata e spesso non dimostrabile.

Ci rendiamo conto che è sempre molto difficile provare l’esistenza di qualcosa che non può essere percepito direttamente dai sensi. Siamo tutti dei San Tommaso e ci viene spontaneo accettare solo ciò che tocchiamo con mano. Normalmente riteniamo vera una cosa solo quando questa può essere vista o ascoltata o toccata, quando l’oggetto è pertanto sensibile (che vuol dire passibile di percezione da parte dei sensi).

Nelle cose dello spirito, forse per un atavico senso di delusione nei confronti del contesto religioso in cui siamo nati e cresciuti, tendiamo ad accettare i principi della filosofia solo se riusciamo a capirli con la ragione. Coloro che invece dicono di credere senza aver bisogno di capire, generalmente sono persone troppo pigre o limitate per usare l’intelligenza.

Secondo alcuni filosofi esistono due tipi di mondi: il mondo sensibile e il mondo intelligibile. Il primo è quello che possiamo vedere e toccare, quello che cade immediatamente e senza difficoltà sotto l’azione dei sensi. Quello che vediamo e in cui esistiamo è il mondo sensibile. Il secondo invece è quello apparentemente contrapposto, cioè un mondo che non può essere percepito dai sensi grossolani (che sono la vista, l’udito, eccetera) ma solo dall’intelligenza. Quest’ultimo è formato da idee e concetti, e di conseguenza può essere percepito solo mediante un esercizio della ragione. Secondo alcuni, questi due costituiscono dei contrapposti. Coloro che affermano che esiste solo ciò che può essere percepito dai sensi, sono generalmente gli scienziati materialisti (anche se ultimamente molti si stanno ricredendo e ritornando sulle loro convinzioni), i quali accusano i filosofi di costruire con la propria immaginazione un qualcosa di illusorio, di infondato, che ha realtà solo nelle loro fervide immaginazioni, ma non ha esistenza oggettiva.

Però chi può negare che esistano le emozioni, i sentimenti, le idee, i desideri? E non è vero che questi possono essere captati solo dagli effetti? In altre parole, l’amore non può essere visto, ma quando qualcuno ama, capisce che c’è dell’amore. Dunque chi può negare l’esistenza del mondo intelligibile?

Coloro che negano l’esistenza oggettiva della spiritualità e di conseguenza quella di Dio, affermano che finché Egli non potrà essere percepito dai sensi, la Sua esistenza rimarrà una chimera. E giacché nessuno è mai stato in grado di dimostrare che la trascendenza esiste e che può in qualche modo essere sperimentata, e che è possibile solo credere in Dio, ciò non ha nulla a che fare con la scienza. E quando qualcuno dice di aver visto Dio o comunque qualcosa di spirituale, essi tentano di affermare l’inattendibilità della persona o della sua tesi.

Non possiamo negare che in questo campo è sempre esistita una grande cialtroneria, però è anche vero che ci sono cialtroni sia tra coloro che affermano l’esistenza di Dio che tra quelli che la negano. In realtà nessuno può produrre prove per affermare o negare: qualsiasi idea può essere confutata da un intelletto più fervido.

I sostenitori del metodo intellettivo accusano invece gli scienziati materialisti di voler restringere eccessivamente il campo delle ricerche e i suoi possibili sviluppi, in quanto la gamma degli oggetti e dei concetti sensibili è molto ristretta, perché tali sono i nostri sensi. Dove non arrivano i sensi, dicono, può arrivare la ragione, e in tal modo il campo si allarga a dismisura.

Fra i fautori del metodo intellettualistico ci sono sia coloro che si dichiarano convinti dell’esistenza di Dio, che anche i fautori della tesi opposta. In sé tale sistema non è in grado di dimostrare alcunché in favore o a sfavore né dell’una né dell’altra parte. Le nostre opinioni sono soggettive, così come lo sono le nostre esperienze interiori. Una persona può dire di aver visto Dio, mentre un’altra può dire di non averlo visto affatto, anzi di essere giunta alla conclusione che non può esserci nessuna realtà trascendentale. Dunque il metodo intellettivo preso di per sé è sicuramente più vasto, ma anche soggetto a gravi errori.

Dobbiamo ammettere che è praticamente impossibile giungere a un metodo di realizzazione delle più alte verità che sia certo, scientifico, inoppugnabile.

E i Veda che dicono a questo proposito? come possiamo fare per convincerci dell’esistenza di Dio? Rimarrà per sempre solo un atto di fede, una convinzione, appunto, magari sorretta da qualche meccanismo raziocinante, oppure è possibile ottenere una qualche esperienza diretta e completa?

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, i Veda affermano che l’essere vivente è di natura puramente ed esclusivamente spirituale, dimensione questa talmente sottile che i nostri sensi materiali non possono percepire. Ma noi che viviamo in questo mondo qual altro strumento potremmo usare? Siamo costretti ad usare i mezzi che abbiamo a disposizione, e cioè proprio quei sensi e quella ragione condizionati dalla materia e pertanto imperfetti.

Va da sé che l’anima che non è influenzata da Maya non ha alcun problema a stabilire l’esistenza di Dio, in quanto è libera di vederlo in qualsiasi momento grazie ai propri sensi spirituali. Quindi per lei il problema non sussiste. Esiste per noi, che siamo privi della prova inoppugnabile dell’immediata esperienza sensoriale.

Abbiamo detto che il nostro corpo materiale è suddiviso in due parti: lo strato di materia sottile e lo strato di materia grossolana.

I nostri sensi grossolani, come la vista o l’udito sono fatti in modo tale da poter percepire solo una certa gamma di oggetti. Per esempio, la nostra vista non può vedere troppo lontano, non riesce a cogliere esperienze che pure esistono – prendiamo l’aria, che esiste ma che non vediamo con gli occhi. Lo stesso discorso vale per l’udito, il quale non riesce a concretizzare che una certa banda di suoni, sotto o sopra della quale il senso fallisce. E’ per questo che i Veda ci dicono che i nostri sensi, in quanto non assoluti, sono imperfetti.

Vittime di queste limitazioni, noi percepiamo la natura spirituale con i sensi che abbiamo a disposizione in questo momento della nostra esistenza, i quali sono fatti per il mondo della materia e non per quello dello spirito. Per avere esperienza sensoriale del mondo di Dio dobbiamo trasformare la qualità dei sensi e renderli qualitativamente simili al mondo con il quale vogliamo entrare in contatto: in altre parole dobbiamo spiritualizzarli.

Lo stesso deve dirsi per i sensi guida, quelli sottili: la mente e l’intelligenza: anch’essi subiscono pesanti limitazioni e il mondo trascendentale è loro precluso.

Ma tra i grossolani e i sottili una differenza c’è: l’intelligenza è il senso più prossimo all’anima, e per questa ragione ha la capacità di poter capire più di quanto si possa vedere o udire. Dunque, mentre i sensi grossolani debbono purificarsi totalmente prima di poter percepire la natura spirituale, l’intelligenza può andare più avanti e cominciare ad addentrarsi nei primi spazi della filosofia.

E cos’è la filosofia? Una buona definizione potrebbe essere la teoria della scienza della realizzazione spirituale.

Ora, siccome ogni giorno constatiamo che tutto in questo mondo accade grazie alla presenza e all’intervento dell’uomo, siamo naturalmente portati a concludere che dietro a ogni fenomeno debba esserci un Dio personale. Questa tendenza non mi sembra affatto semplicistica, in quanto rispecchia una realtà inoppugnabile che osserviamo da sempre, e proprio con i sensi ai quali si da tanta importanza. Anche la ragione avvalora continuamente questa ipotesi: nulla nasce per caso, tutto segue una logica, una legge. E dove mai prima d’ora si è vista una legge senza un legislatore? Dunque l’esistenza di Dio può essere avvalorata da una certa logica non priva di concretezza.

D: Allora l’essenza divina che noi chiamiamo Dio è conoscibile.

R: E’ sicuramente conoscibile, ma questa risposta va inserita nel quadro di una spiegazione più complessa che affronteremo in seguito.

Il confronto teismo-ateismo e il problema delle origini
D: Sono secoli che va avanti un conflitto dialettico senza esclusione di colpi tra coloro che credono in Dio e coloro che non ci credono. Se diamo un’occhiata alla storia, ci viene voglia di dare ragione agli scettici o agli agnostici, i quali affermano che non c’è dato conoscere la verità. Come si pongono i Veda di fronte a questo problema?

R: Certo, esistono gli atei e i teisti. Noi uomini abbiamo avuto a disposizione millenni per costruirci castelli di teorie che nelle intenzioni sarebbero dovuti valere ad affermare l’idea che Dio non esiste e che la religione è solo un’invenzione di persone spesso prive di scrupoli che hanno capito che null’altro può tenere assoggettato un popolo ai propri voleri.

Che ciò sia realmente accaduto è fuori dubbio: basta dare un’occhiata anche frettolosa ai libri della nostra storia per accorgersi di quanti misfatti sono stati compiuti nel nome di Dio. Eppure il colpevole non è senz’altro Lui ma noi, schiavi della nostra stessa meschinità e avidità.

Tuttavia oggigiorno al classico “oppio dei popoli” se ne stanno sostituendo altri, non meno virulenti del primo: la scienza e la filosofia materialistica. Ma per quanto siano stati numerosi coloro che si sono cimentati nel tentativo di dimostrare la non-esistenza di Dio, tutti hanno fallito. Io penso che quando a un credente si dice “dimostrami l’esistenza di Dio”, questi dovrebbe ribattere: “e tu dimostrami che non esiste.”

D: Per la verità il problema di Dio non lo tiriamo in ballo noi atei, ma voi teisti: siete voi che dovete dimostrare la sua esistenza, non noi la sua non-esistenza. Del resto come faremmo a dimostrare che non esiste qualcosa che… non c’è?

R: Siete voi a mettere in dubbio ciò che è un’evidenza per qualsiasi persona sensata. Non vi rendete conto che voi stessi costituite la prova della realtà di Dio? La stessa esistenza di un oggetto è la dimostrazione immediata della sua causa.

Se voi mi domandaste: “hai un padre e una madre?” e io vi rispondessi: “no, non ce l’ho,” ridereste di me. Infatti, mentre è possibile che io non abbia mai conosciuto i miei genitori, è fuori discussione che io li abbia avuti. Il fatto che io non li conosco non significa che non li abbia, perché un figlio “significa” due genitori. Osservazione empirica, questa, non astratta: ogni effetto implica una causa simile al prodotto.

Questa osservazione può essere fatta anche sugli oggetti. Se voi vedeste la scrivania su cui lavoro e mi domandaste chi l’ha fatta ed io vi rispondessi “se sapeste cosa è successo! vi giuro, nel mio studio non c’era niente, (o magari un qualche agglomerato di elementi chimici al loro stadio primordiale), quando a un certo punto, inaspettatamente, senza causa apparente ho sentito un “bum”. Sono accorso e, miracolo!, è apparsa la scrivania,” mi dareste del pazzo o perlomeno del buontempone. Un oggetto implica sia un artefice che l’energia necessaria per costruirlo, tutte caratteristiche proprie ed esclusive della personalità, della vita.

Ma ponendo che io non conosca né i miei genitori né il falegname che ha costruito la scrivania, se voi mi diceste “dimostrami che essi sono esistiti”, potrei trovarmi in imbarazzo. Tuttavia questo non significa che di loro non possa dire niente. Analizzando quelle creazioni, posso dare descrizioni abbastanza vicine alla realtà. Per quanto riguarda i miei genitori posso escludere che sono di razza nera o gialla, posso avvicinarmi alle loro fattezze fisiche, alla loro cultura. In ogni caso sono io stesso la prova della loro esistenza. Discorso analogo per quanto riguarda il falegname che ha costruito il mio piano di lavoro.

Guardiamoci attorno: esistono persone, cose, vite, sentimenti, intelligenza, un cielo, dei mari, un universo. Tutto denota una presenza creatrice. Se per fare un tavolo si è reso necessario l’intervento di un principio intelligente creatore, cosa dire di una cosa infinitamente più complessa come un universo? e, ancor di più, che dire della vita stessa?

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