La Filosofia del Bhakti Yoga – Adi-codana (gli impeti iniziali)

posted in: Italiano, Area9 0

 

* 2 *
Adi-codana (gli impeti iniziali)

La verità è conoscibile?
D: Noi siamo persone interessate a conoscere; ma l’uomo in genere ha questa capacità? non è forse un animale come gli altri che si è divertito a rendersi la vita più complicata inventando la filosofia? Si potrebbe anche credere che in realtà non esiste nessuna verità da conoscere.

R: Sì, nella nostra cultura, quella occidentale, c’è l’abitudine di affermare che l’uomo è uno dei tanti animali che troviamo in natura. Certamente se per animale intendiamo, come nella sua radice etimologica, quel qualcosa che ha un’anima, (dal greco anemos, soffio, vento, poi traslato in latino per significare quel qualcosa che si avverte ma non si vede, cioè l’anima), allora possiamo dire che l’uomo è un animale. Ma ci sono differenze fra le due specie viventi.

I saggi che si sono tramandati le scritture vediche hanno operato una divisione delle varie specie che vivono nell’universo, e le hanno catalogate in 8.400.000 diversità. Otto milioni sono specie animali, vegetali e minerali, mentre quattrocentomila sono umane.

Se ci riferiamo agli animali come tali, e cioè come esseri aventi un’anima, una vita, cioè, senza riguardo del loro stadio, o posizione di evoluzione, tutti gli esseri sono perfettamente uguali; infatti non esiste differenza qualitativa fra la vita che è presente nel corpo di un animale, di un vegetale o di un uomo. Ma se li guardiamo dalla loro posizione nella scala evolutiva la forma umana è tra le più avanzate.

Per quanto invece riguarda la seconda parte della domanda, se non esistesse nessuna verità da conoscere cosa perderemmo a cercare di capire? Nulla. Ma immaginate quale sarebbe la nostra situazione se non cercassimo e invece una verità da scovare esistesse! Avremmo sprecato la preziosa opportunità della vita umana.

D: Prima hai detto forme umane avanzate? Cosa significa? Avanzate rispetto a chi e a che cosa?

R: La vita non è per nulla priva di senso o di scopo. In realtà esiste un disegno unitario che lega tutti gli avvenimenti.

Come abbiamo detto, la vita è una in qualità, e ciò vuol dire che tutti gli esseri, sia vegetali, animali o minerali, hanno la medesima dignità nella propria esistenza; tuttavia le differenti forme, o corpi, in cui essa (la vita) risiede, sono il segno del loro stadio di avanzamento. In altre parole, noi viviamo e prendiamo differenti corpi secondo lo scopo, cioè la direzione verso la quale ci stiamo dirigendo; varie forme di vita ci danno maggiori o minori facilitazioni per giungere alla meta.

Secondo questo metro di giudizio, la forma umana è quella che dà più possibilità di avanzamento verso lo scopo più elevato, e quindi è considerata la superiore.

Tuttavia è ovvio che se questo scopo non dovesse esistere, il riferimento scomparirebbe e quindi cadrebbe la ragione per cui la forma umana è considerata superiore alle altre.

D: E quale sarebbe questo scopo?

R: E’ meglio andare per ordine: di questo parleremo in seguito.

Secondo i Veda, l’uomo è superiore agli animali perché ha un tipo di intelligenza capace di porsi particolari tipi di domande. Con ciò non si vuole dire che gli animali non siano intelligenti, ma lo sono in maniera limitata, in proporzione alla loro dimensione di vita; non hanno la capacità, per esempio, di farsi domande in riguardo alla propria esistenza interiore. Possono chiedersi cosa mangerò oggi, dove dormirò stanotte, come farò a proteggere i miei figli o con chi mi accoppierò: domande relative al corpo o al massimo rivolte alla sfera affettiva, la controparte sottile del corpo materiale, ma non possono giungere a una dimensione spirituale. Il loro è un limite connaturato.

Questa è la ragione per cui nei Veda quegli uomini che non si sono mai chiesti “chi sono e da dove provengo” sono chiamati pasu, animali: uomini solo di nome ma non di fatto.

La ragione dell’esistenza di diverse forme di vita
D: Qual è la ragione dell’esistenza di diverse specie viventi? Perché ci sono uomini, animali, piante, vegetali e altre?

R: Perché ci sono scopi e ruoli diversi da ricoprire. Per esempio un uomo che dovrà viaggiare molto lungo le autostrade acquisterà una macchina a grossa cilindrata, mentre chi invece dovrà lavorare i campi non comprerà che un trattore. I due veicoli sono diversi, per assolvere diverse necessità.

Coloro che non sono sufficientemente evoluti non hanno la necessità di un corpo umano, per cui non lo ottengono; al contrario, chi invece è interessato a risolvere le questioni della propria esistenza otterrà un corpo e un’intelligenza umana.

Cosa succederebbe se uno per andare da Palermo a Milano volesse andarci con un trattore o con un carretto tirato da buoi? oppure se uno dovendo lavorare la terra entrasse nei campi infangati con l’ultimo modello della Maserati? Per entrambe le situazioni sarebbe un enorme fallimento.

Dunque se un uomo che possiede un’intelligenza potenzialmente superiore non la usa se non per formularsi le stesse domande che si pongono anche gli animali, tale persona è in realtà umana solo nominalmente, ma non di fatto. Per questa ragione i Veda chiamano questi uomini incivili e ignoranti.

D: A noi sembra che ci siano persone che, per ragioni contingenti o per situazioni di vita, non sono attratte o qualificate per evolvere un pensiero di tipo filosofico, e che tuttavia le domande essenziali della vita, magari in termini elementari, se le pongono.

Risposta: Certamente. La ricerca del sé non è proprietà solo dei filosofi o dei pensatori. E’ di tutti. Anche di quelli che non lo vogliono. Certi tentano stupidamente di spegnere le voci interiori per paura di soffrire, ma non si può sfuggire a se stessi. Si può fuggire da un’altra persona, ma il nostro io ci segue ovunque andiamo.

L’uomo ha dentro di sé una forte e prepotente vita interiore, una specie di potere di emotività automatico: è quasi costretto a “sentire” le cose che gli accadono attorno e a interiorizzarle, a farle proprie. Anche se tentiamo di fuggire, siamo “schiavi” della nostra natura. Una schiavitù benevola; al contrario l’ignoranza materialistica è una ben amara libertà.

Problemi che ostacolano la conoscenza
D: Perché secondo voi l’uomo vorrebbe fuggire alle proprie funzioni che sono, come avete detto prima, spiccatamente intellettuali ed emotive? Se entra in questo tipo di corpo è perché in qualche modo l’ha meritato, l’ha voluto. Dopo averlo voluto, perché mai dovrebbe rifiutarlo?

R: Quando fra poco parleremo della jiva vedremo che una delle sue caratteristiche è di essere perfetta e allo stesso tempo soggetta all’errore. Sembra una contraddizione, ma non lo è.

Una delle sue caratteristiche principali è quella di risentire in modo particolare dell’ambiente in cui si viene a trovare. Proprio perché è di origine spirituale, superiore, l’uomo si ubriaca di se stesso anche senza una vera ragione, e tenta di usare lo strumento della sua intelligenza non per lo scopo supremo, ma per provare le inebrianti sensazioni di una supremazia totale su tutto e su tutti. Cerca di essere un Dio, insomma; ma non essendolo, alla fine si ritrova frustrato e sconfitto.

Intrappolato nelle sue stesse catene, l’uomo è soggetto alla dimenticanza della parte migliore di sé, dalla propria natura, e pensando di fare la cosa migliore, si degrada e diventa pasu, un animale nel senso bestiale della parola.

Diamo un’occhiata alla vita degli uomini di oggi e non li vedremo comportarsi per nulla meglio e per nulla diversamente. La mattina si svegliano, vanno a lavorare per guadagnarsi da vivere, mangiano, si accoppiano, dormono e difendono il mangiare, il dormire e il loro sesso. Nulla di più. E quando qualcuno cerca di risvegliare in loro i pensieri più elevati, ti guardano con occhi stralunati e ti senti buffo persino nell’aver proposto tali argomenti. Molti non ne parlano perché si vergognano, pensano che un uomo non dovrebbe parlare di quelle cose, mentre quando parlano di sport o di sesso si sentono veramente uomini. Questa è la situazione sfortunata dell’uomo di oggi, di questa società che chiamano moderna e civile, e che invece è delle peggiori mai apparse nel corso della storia.

“Ciò che è notte per tutti gli esseri è il momento del risveglio per il saggio che sa controllarsi; e quando tutti si risvegliano diventa notte per il saggio introspettivo.”
Bhagavad-gita 2.69

Cosa significa questo verso della Bhagavad-gita?

“Ci sono due tipi di uomini intelligenti. Il primo è colui che è intelligente per le attività materiali dirette alla gratificazione dei sensi, e l’altro è introspettivo e desto alla coltivazione della realizzazione del sé.”
Bhagavad-gita 2.69, commento

Srila Prabhupada va poi avanti a spiegare che i valori si possono invertire nel momento in cui cambiano le prospettive. Il materialista che vuole solo gioire delle cose di questo mondo può non apprezzare ciò che lo spiritualista fa, anzi quelle cose possono confonderlo così tanto che non riesce a contenere un moto di derisione e di disapprovazione. Al contrario le cose a cui il materialiste dà maggiore importanza sono le cose più disprezzabili per lo spiritualista. Difatti la refrattarietà del materialista a parlare di cose che vanno al di là del corpo è spiccata, mentre altrettanto prominente è la mancanza di entusiasmo dello spiritualista nel trattare argomenti mondani.

E questo stato di cose è andato ovviamente peggiorando man mano che gli uomini hanno riempito le pagine del libro della loro storia, e sono andati arricchendosi di una cultura materialista che (possiamo dirlo) costituisce la forza della loro debolezza.

La tendenza umana al materialismo
D: Non ci direte ora che l’intero bagaglio millenario di vita umana sia da gettare via! Non è vero che siamo sempre stati dei gretti materialisti. Qui da noi, in occidente, abbiamo documenti che risalgono a oltre 2.500 anni che ci spiegano come l’uomo sia sempre stato ricco di riflessioni sulla religione, sulla filosofia, sulla scienza; l’uomo ha sempre avuto pensieri nobili, non si è soltanto massacrato nelle guerre. Possediamo enormi tesori di spiritualità dei quali possiamo essere orgogliosi.
Vogliamo dire che noi per spiritualità intendiamo qualcosa che viene dal di dentro, l’espressione della nostra anima. Ora, tutto ciò che l’uomo ha fatto finora è senza dubbio manifestazione di questa interiorità e quindi è corretto dire che l’uomo in questo mondo non ha creato solo pagine di storia bestiale, ma anche meravigliosi momenti di pensiero e di valori spirituali.

R: Non volevamo certo gettare via 2500 anni di storia occidentale in quanto, è vero, molto è stato fatto da uomini grandissimi di pensiero e di spirito, a cominciare da Socrate, il quale ci ha regalato la più importante massima del pensiero occidentale, e cioè quel sublime “conosci te stesso”.

Però non dobbiamo neanche essere superficiali e negare che la tendenza generale delle culture e in special modo di quelle occidentali, è quella del dare troppa importanza alle cose che riguardano il corpo; non solo, ma anche quella di creare i presupposti dell’imbroglio più diabolico che l’uomo abbia mai architettato: e cioè di usare la spiritualità per giustificare il proprio materialismo. Quanti infatti hanno manipolato i precetti religiosi e filosofici per avvalorare i proprio convincimenti ateistici! Il cristianesimo moderno ne è la prova più fulgida, una religione che gradualmente è scivolata su un piano di materialismo senza che se ne siano neanche accorti in molti. Ma riprenderemo l’argomento in seguito.

Il punto di cui volevamo discutere in questo capitolo è il seguente: chi di noi non si è mai posto una qualche domanda di carattere esistenziale? Mai in un momento di malinconia o semplicemente di stato riflessivo su di noi e sulla nostra vita ci siamo posti qualche domanda particolare? Non crediamo che ci sia una persona che mai, magari una sola volta, non abbia fermato il corso frenetico della sua vita per domandarsi: “ma dove sto andando? cosa sto facendo? tutte queste cose sono giuste o no? io, io come persona e non come essere sociale, in tutto ciò che sto facendo, come mi colloco? Sto lavorando così tanto per la mia famiglia, per me stesso, per la patria o per i miei convincimenti, ma oltre a tutto ciò, che sembra esterno a me stesso, io sento di essere qualcos’altro. Cosa sono, dunque?”

Ecco, questa è la domanda fondamentale: cosa sono io?

I Veda ci informano che la vita umana, quella vera, inizia quando uno si chiede “cosa sono?”. Prima no, prima ogni azione è finalizzata per le cose esterne, per il proprio corpo, per la propria famiglia (che sono prodotti del corpo), per la patria (che è tale perché il proprio corpo è nato in una data nazione) e per tutti i vari prodotti e sottoprodotti fisici o psicologici che comunque sono pertinenti al corpo e non a ciò che dà vita al corpo, cioè l’anima.

Troppo spesso l’uomo agisce automaticamente, senza riflettere veramente a ciò che fa; agisce perché CREDE di dover agire, crede di esserne costretto, perché altrimenti “se non lavoro come posso mangiare e mantenermi in società?”

L’uomo è l’unico animale al creato che è riuscito a complicarsi la vita in modo quasi grottesco, sventolando la bandiera di un fantomatico progresso. Nessun animale ha creato un sistema economico così insensato che più si lavora più diventa complicato persino procacciarsi le necessità primarie della vita, quali il mangiare, il vestirsi e l’avere una dimora per proteggersi dalle intemperie. Aggrovigliato nelle sue stesse reti, l’uomo sta soffrendo.

E tutto per cosa? per stare bene? è giusto soffrire per riuscire, un giorno, a stare bene? qualcuno c’è riuscito? No.

E’ raro trovare qualcuno al quale se si domanda “ma tu ti senti soddisfatto veramente? ti senti felice?” ti risponda “sì, sono felice.” L’esperienza comune è che una risposta simile si ottiene solo in una ripicca, quando durante una discussione uno non si sente di dare soddisfazione all’altro ammettendo quella che è la cosa più ovvia del mondo, e cioè che nessuno è veramente felice.

Definizione di felicità
D: Ciò che dici è giusto solo relativamente. Prima di tutto si dovrebbero definire i termini. Cos’è la felicità? Se la intendiamo come uno stato in cui si canta e si balla in preda a una specie di ebbrezza mentale, certamente no, nessuno può dirsi felice. Ma ci sono momenti in cui l’uomo riesce in ciò per cui ha lottato per tutta una vita, quando riesce a ottenere una solida posizione economica e sociale quando, specialmente nella maturità, si riesce a soddisfare meglio i desideri che affollano la nostra mente; ecco, per noi questa è la felicità.
La cultura greca mi dà una mano: infatti basta vedere da dove proviene la parola felicità, e cioè dal greco phyo, che significa ciò che è prodotto dai frutti del desiderio. Ciò sta a significare che uno è felice quando ottiene ciò che desidera.

R: Dunque si diventa felici quando si ottiene lo scopo per cui si lotta, giusto?

D: Esatto. Del resto se uno è felice con una certa cosa e non con un’altra, perché dovremmo avere qualcosa da ridire? La felicità è un fatto soggettivo, non certamente universale. Non esiste qualcosa che fa felice tutti.

R: Ma se la mia felicità dovesse impedire quella degli altri, sarebbe ancora giusta? Se io godo nel far del male agli altri, tutti cercherebbero di impedirmelo, vero? Se così è, la felicità è senz’altro un fatto soggettivo, ma necessariamente deve accordarsi con quella del prossimo, altrimenti si muoverebbe il meccanismo sociale per impedirlo.

D: Certamente, ma quelli sono casi limite. E’ ovvio che la nostra ricerca di felicità, i nostri desideri, devono rispettare quelli degli altri.

R: Allora non è che sia giusto un certo oggetto di felicità, ma la felicità stessa, perché se uno è felice facendo male agli altri, questa persona dovrebbe essere rispettata per il desiderio che ha di felicità, ma non per l’oggetto in modo specifico.

D: Certamente. La felicità deve accordarsi con quella degli altri.

R: Dunque noi dobbiamo trovare una felicità che si accordi sempre con quella degli altri. Ma se noi uomini siamo tutti diversi, come facciamo a trovare un accordo? Ci sono dei popoli che hanno abitudini e modi di vivere completamente diversi, assolutamente incompatibili con il modo di essere di altri: come facciamo trovare un equilibrio che vada bene a tutti?

D: Per questo ci sono nazioni diverse, dove popoli con mentalità diverse possono vivere senza recare disturbo agli altri.

R: Le frontiere sono un arrangiamento fatto da noi, non è una situazione naturale. La parola uomo significa, più o meno, figlio della terra, e questa non ha nazioni, non ha frontiere; tutti dovrebbero essere liberi di muoversi liberamente. Comunque, anche se è vero che gli uomini sono diversi tra di loro, c’è qualcosa che li accomuna tutti, che ci accomuna tutti, qualcosa che va oltre le differenze. E cosa è questo elemento universale? Non certo qualcosa di fisico, di materiale, di questo mondo esteriore, che è la sorgente di tutte le differenze; il fatto che ogni uomo si ritenga diverso dall’altro è sempre stata la causa prima di tutte le guerre e di tutti i conflitti, sia fra gli individui, le famiglie o le nazioni.

Cosa allora ci accomuna? E’ quel qualcosa che è dentro di noi: l’anima, l’essenza spirituale, che dà il movimento a tutte le cose. Il corpo e tutto ciò che lo riguarda divide, quel qualcosa che è dentro noi (e che anzi siamo noi) unisce; perché è l’unica cosa che tutti, senza distinzione, possediamo. Per questo noi affermiamo che la vera felicità che noi cerchiamo, quella che mai contrasta con gli interessi degli altri, è la felicità spirituale. Quella delle cose materiali è una tragica illusione.

Noi vogliamo parlare di questo qualcosa che ci unisce. La chiameremo jiva, termine che è all’origine della parola vita.

Per quanto riguarda poi la soggettività del concetto di felicità, c’è ancora un’altra cosa da vedere, e cioè se una data persona ottenendo l’oggetto dei suoi desideri diventa felice veramente o crede solo di esserlo. Non siamo affatto convinti che la felicità sia veramente l’ottenimento del proprio desiderio; ma ammettendo che la definizione sia giusta, cosa succederebbe se fosse il proprio desiderio ad essere sbagliato? Poniamo che uno sia convinto che una data cosa lo faccia felice e invece poi viene a scoprire che era tutto un’illusione: quante volte abbiamo visto una persona lottare per qualcosa e dopo averla raggiunta accorgersi che non era poi quella gran cosa che immaginava? Questo errore di fondo, e cioè essere convinti di qualcosa e sbagliare, fa parte della natura umana. Nessuno è perfetto, anzi tutti siamo imperfetti, e quindi soggetti all’errore.

Discorso sul desiderio
D: Da dove proviene il desiderio?

R: Il desiderio è il prodotto della nostra emotività, e l’emotività è di carattere istintiva, irrazionale. Come strumento di conoscenza è molto più affidabile la nostra intelligenza piuttosto dei nostri sentimenti. Per questo il Vedanta-sutra non dice “tenta di sentire dentro te stesso…”, ma raccomanda di CAPIRE, e cioè di “afferrare” l’entità spirituale per mezzo della nostra intelligenza, che è il mezzo migliore che al momento abbiamo a disposizione per andare avanti nel difficile cammino.

Dunque, può darsi che l’affermazione “la felicità è l’ottenimento dei nostri desideri” possa essere giusta, ma poi si deve anche stabilire di quali desideri si tratti.

Ora guardiamo la cosa da un altro punto di vista: perché l’uomo cerca la felicità? La risposta è ovvia: perché non l’ha ancora trovata. Se l’avesse trovata non la cercherebbe; chi cerca qualcosa che già ha? Non vedete quanto l’uomo si stia dando da fare? Sembra quasi disperato nella sua frenesia. Eppure ce ne sono di cose al mondo, di comodità, di oggetti e situazioni che dovrebbero dare un qualche appagamento. E abbiamo visto da numerose e qualificate statistiche che la maggiore quantità di frustrazione, specialmente tra i giovani, si riscontrano proprio nei paesi col maggiore sviluppo economico e tecnologico. Come mai tutto ciò? Non ditemi che la conclusione è forzata, perché non ci vuole molto a giungere alla conclusione che le cose materiali, quelle esterne a se stessi, alla nostra vera natura, non possono dare la felicità; anche quando siamo convinti del contrario, quelle non rispecchiano i nostri veri desideri,

D: Perché vogliamo la felicità a tutti i costi? Non potremmo accontentarci di ciò che abbiamo senza pretendere sempre di più?

R: Perché, come vedremo meglio più avanti, questo fa parte della nostra natura; solo che la stiamo cercando nel posto sbagliato. Allora che fare?

Cominciamo a prendere la frase “noi vogliamo la felicità” e vediamo che in essa ci sono tre elementi diversi, che sono:
1) noi,
2) il volere,
3) la felicità,
e cominciamo con il domandarci: noi, chi siamo noi che vogliamo la felicità? come siamo fatti?

Questa, in accordo ai Veda, dovrebbe essere la prima domanda della nostra vita, la più importante: senza questa base tutto il resto rimane ciò che è, privo di significato. Perché se prima non stabiliamo cosa siamo noi, sarà impossibile stabilire il giusto meccanismo del desiderio e l’oggetto della nostra ricerca, e cioè la felicità. Facciamo in modo da non commettere errori grossolani: non dobbiamo rischiare di fare scelte fondamentali nella nostra vita se prima non sciogliamo questo nodo.

Poi sarà necessario analizzare bene anche le caratteristiche del desiderio e i suoi giusti meccanismi. Solo allora potremo dire di conoscere cosa ci farà veramente felici.

Andiamo a trattare il primo punto: chi siamo noi?

Post view 380 times

Share/Cuota/Condividi:

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *