Krishna ad Hastinapura

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Come ad Hastinapura, anche a Upaplavya, nel corso del dibattito, erano sorti contrasti nelle opinioni. Si erano create due tendenze divergenti sull’atteggiamento di fondo da adottare: si doveva tentare una possibile via di pace, o scatenare la guerra ad ogni costo? Durante la discussione persino Bhima stupì tutti dichiarandosi favorevole a una soluzione pacifica del conflitto. Gli intransigenti erano Sahadeva e Satyaki, i quali avrebbero voluto scendere in campo anche se Duryodhana si fosse trovato d’accordo a una soluzione di pace.

 “Noi faremo la guerra anche da soli,” dichiararono.

 A un certo punto intervenne anche Draupadi.

 “Io non capisco come si faccia qui a parlare di pace. Come può uno Kshatriya virtuoso perdonare i terribili insulti rivoltimi dai Kurava? e le ingiuste sofferenze? e le continue provocazioni? dovremmo dimenticare tutto? No, io non potrò mai farlo. Ciò che è successo esige la vita di Duryodhana, del peccatore Dusshasana e di Karna. E se voi non volete assolvere i doveri che sono propri della classe sociale a cui appartenete, allora Sahadeva, Satyaki, i miei figli e Abhimanyu da soli saranno in grado di sterminare gli aggressori.”

 Dopo quell’accorato appello, Krishna rasserenò la regina con frasi gentili, ricordandole che il malvagio non avrebbe mai accettato una soluzione pacifica, ma che ciò nonostante loro avrebbero dovuto cercarla per restare interamente dalla parte del giusto.  Il giorno dopo Krishna e Satyaki partirono per Hastinapura.

 Quando Dhritarastra seppe che il figlio divino di Vasudeva stava arrivando, fece abbellire la città per offrirgli un degno ricevimento. Pensò anche di donargli vaste ricchezze affinchè diventasse ben disposto nei loro confronti. Bhishma ne fu sdegnato e disgustato.

 “La vostra politica è sempre improntata sulla corruzione e sulla malvagità; mai prendete in esame l’opportunità di fare le cose oneste. Ma veramente credi di poter comprare Krishna con doni e onorificenze? Non sai che è già il padrone di ogni cosa, compreso tutto ciò che vi appartiene? Egli è il creatore del mondo intero e può essere conquistato solo dall’amore e dalla purezza.”

 Quando al mattino il Signore di Dvaraka arrivò in città, nessuno era in casa perchè tutti erano fuori a riceverlo e onorarlo.

 Quando i cerimoniali ebbero termine, Krishna rifiutò di essere ospitato nel palazzo reale, preferendo soggiornare nella casa di Vidura.

 Kunti, che abitava lì dal giorno della partenza dei figli per la foresta, gli chiese notizie dei suoi cari, e Krishna la rassicurò circa le condizioni di salute promettendole che presto li avrebbe riabbracciati.

 Quando l’indomani Krishna si recò al palazzo reale, sulla soglia incontrò Karna, Sakuni e Dusshasana. 

 “Ci è dispiaciuto molto che non hai voluto accettare l’ospitalità che ti abbiamo offerto con tanto rispetto,” gli disse Duryodhana. “Non capiamo le ragioni di questo atteggiamento. Non è forse un tuo voto accettare qualsiasi cosa ti venga offerta?”

 “Non sono rimasto presso di voi,” rispose Krishna, “per una semplice ragione: io non accetto il cibo cucinato e offerto da una persona che abbia il cuore contaminato dai vizi e dalla lussuria, dall’invidia e dall’avidità, nè accetto la loro ospitalità. Voi avete dato ampie dimostrazioni di essere dei grandi peccatori, e per questo ho preferito essere ospite della grande anima Vidura.

 “Tuttavia, essendo latore di un messaggio della massima importanza, vi prometto sin da ora che se voi accetterete le mie proposte, resterò volentieri a corte.”

 Quella sera, nel privato della sua dimora, Vidura discusse a lungo con Krishna della grave crisi che minacciava di estinguere l’intera razza Kshatriya sulla terra. Infatti con guerrieri del calibro di Arjuna, Bhima e Satyaki da una parte, e Bhishma, Drona e Karna dall’altra, i soldati ordinari non avrebbero avuto scampo e la battaglia si sarebbe svolta con enormi e crudeli massacri nei primi giorni e strabilianti duelli negli ultimi. Su questo non sussistevano dubbi di nessun tipo.

 Il giorno dopo di prima mattina, dopo aver svolto le sue meditazioni giornaliere, Krishna si recò nella sala del consiglio, già gremita di monarchi che desideravano vederlo e ascoltarlo.

 Egli parlò a lungo, adottando sia la via della persuasione che quella minacce, ma a nulla valsero i suoi tentativi: Duryodhana non voleva affatto far pace con i Pandava. Altri intervennero nella discussione per indurlo alla ragione e fu persino convocata la madre Gandhari, affinchè lo dissuadesse dai suoi diabolici propositi, ma invano. Accompagnato dai suoi amici più stretti, Duryodhana inviperito lasciò la sala. E non solo non dette alcun peso alle parole di Krishna, ma addirittura progettò di catturarlo e ucciderlo. Ma il piano fu sventato da Satyaki, il quale entrò nella sala del consiglio e mise tutti al corrente delle intenzioni di Duryodhana. Il Re cieco allora rimproverò severamente il figlio.

 Krishna osservava la scena, senza mostrare segni di preoccupazione per il pericolo che avrebbe potuto correre.

 “Pensi davvero che tu possa catturarmi e uccidermi?” disse poi con calma. “Che illuso sei! Solo mia madre Yashoda, durante la mia infanzia, è riuscita a legarmi, ma grazie alla sua forza spirituale. Il suo era amore trascendentale, non odio materialistico, come il tuo. Nessuno può imprigionarmi perchè il mio corpo non ha limiti e non esiste catena abbastanza lunga per potermi contenere.

 “La mia forma è infinita, e in essa tutto esiste eternamente. Ora ti dimostrerò come ciò che dico è vero.”

 Così, mentre parlava, davanti agli astanti terrorizzati, il Signore di tutti i poteri mistici manifestò la sua forma universale, dimostrando come tutto il creato è presente nel suo corpo divino. In quello stesso momento Dhritarastra riacquistò la vista e potè ammirarne la potenza incommensurabile.

 Quella magia durò per qualche minuto. Poi tutto tornò normale.

 “Caro Sanjaya,” disse Dhritarastra, “dopo aver ammirato la forma universale del Signore non voglio vedere altro, perchè a questo punto credo che non ci sia nulla che meriti di essere visto. Desidero che quella resti la sola immagine presente nella mia mente. Prega dunque il Signore affinchè mi faccia ridiventare cieco.”

 Nell’istante in cui Dhritarastra fu privato di nuovo della vista, petali di fiori piovvero dai pianeti celesti e si udirono benedizioni rivolte al suo futuro benessere.

 

Questa è una sezione del libro “Maha-Bharata Vol. 1”, in lingua italiana.

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