Sebbene Friedrich Nietzsche (1844-1900) non fosse il primo filosofo a proclamare che “Dio è morto” (Hegel, il suo predecessore, aveva usato la stessa frase quasi vent’anni addietro), ne diffuse l’idea tra l’opinione pubblica. Nel suo libro, Die frohliche Wissenschaft (generalmente tradotto come La Scienza felice o La gaia scienza), pubblicato nel 1882, Nietzsche mette questa frase in bocca a un personaggio di fantasia conosciuto semplicemente come “il matto”. Dopo essere entrato in un mercato pieno di gente, il personaggio chiede: “Dov’è Dio?” Reagendo alla sua impudenza, la folla lo deride e lo sfida a rispondersi da solo: Dio è morto. È morto per sempre e lo abbiamo ucciso noi. Malgrado ciò, la sua ombra aleggia ancora. In che modo ci consoleremo, noi che siamo i peggiori assassini?
Ciò che di più santo e potente il mondo abbia mai posseduto è morto dissanguato sotto i nostri pugnali: chi ci pulirà da questo sangue? Quale acqua potrà mai lavarci? Quali riti di espiazione, quali giochi sacri dovremo inventarci? L’enormità del nostro gesto non è forse troppo per noi? Non dovremmo forse diventare dèi anche solo per sembrare degni di averlo compiuto? (1) L’assunto di Nietzsche non era dunque una negazione di Dio, bensì l’asserzione che il mondo contemporaneo (il suo, cioè la Germania del diciannovesimo secolo) aveva scavalcato il Dio della Cristianità e il senso morale promulgato dalla Bibbia. Quando Nietzsche scriveva “Dio è morto”, si riferiva alla difficile situazione odierna e a quanto la gente non si conformasse più alla leggi, alle tradizioni e alle istituzioni religiose della società europea. E allora?
Attraverso la bocca di un matto, Nietzsche domanda che cosa dobbiamo fare ora che Dio –o almeno ciò che di Lui avevamo capito– è stato estromesso dall’equazione. Nietzsche non intende dire che Dio ha sperimentato una morte fisica (visto che non è un’entità fisica), ma piuttosto ipotizza che se una società cristiana comincia a dubitare dell’esistenza di un essere spirituale, il suo tessuto morale andrà in pezzi. Nietzsche non cerca di uccidere Dio, lo ha già fatto la gente. Il suo è un tentativo di proporre un modo grazie a cui l’umanità possa ricostituirsi dal vuoto provocato dallo sfascio della moralità cristiana. (2)
“Dio è morto”, un motivo ricorrente
Dopo Nietzsche, morì anche l’idea che “Dio è morto”, ma solo fino agli anni ‘60, quando si reincarnò mediante un gruppo informale di teologi protestanti, che includeva Thomas Altizer, Gabriel Vahanian, Paul Van Buren, William Hamilton e altri. Tutti loro esprimevano il bisogno che Dio fosse più rilevante nel mondo attuale. Preferendo la concezione di Paul Tillich, che vedeva il divino come “il potere di Essere” (in opposizione a un Dio personale), e dando ascolto alla voce insistente di Dietrich Bonhoeffer, secondo cui i cristiani erano finalmente maturi, questi teologi intendevano ricreare la religione dalle fondamenta, a cominciare dal fatto che “Dio è morto” così come noi Lo conosciamo.
Ci fu il tentativo di conciliare la laicità con un mondo affascinato più dalla scienza che dalla spiritualità. A questo fine, essi fecero un uso prodigioso della frase di Nietzsche. La loro posizione modernista guadagnò una grande popolarità in Occidente e raggiunse il suo apice col titolo di copertina sul Time del giorno 8 aprile 1966: “Dio è morto?” L’articolo definiva le possibili ragioni del crescente ateismo in America e parlava dell’operato dei teologi del “Dio è morto”. Appena pochi mesi prima (il 9 gennaio 1966) il New York Times aveva pubblicato una storia simile, con riferimenti chiari alla nuova teologia protestante. Nietzsche ne sarebbe stato orgoglioso.
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