Che cosa significa vegetariano
di Parama Karuna
Di solito si tende a fare confusione tra vegetariano, crudista, igienista, macrobiotico, biologico, naturale, o addirittura erbivoro, frugivoro… e chi più ne ha più ne metta.
In realtà, “vegetariano” è chi non mangia mai, per una scelta precisa, corpi di animali — di qualsiasi animale (quindi niente carne di bovini, ovini, equini, suini, polli, uccelli, conigli, selvaggina o animali esotici, né salumi, cervello, sangue, ossa, midollo, fegato, interiora, testicoli, strutto, lardo, gelatina animale, caglio animale, estratti di carne, né pesce, tonno, acciughe o pasta di acciughe, insetti, molluschi o “frutti” di mare) e tutti i loro derivati o composti.
Ma cosa mangia un vegetariano? Gli alimenti vegetali non sono soltanto frutta e verdura, come alcuni pensano: nella categoria rientrano generalmente anche radici, tuberi e varie altre parti di vegetali commestibili e i loro derivati — tra cui cose apparentemente “diverse” come la salsa di pomodoro, lo zucchero, i differenti tipi di té, gli aromi e le spezie da cucina, gli estratti vegetali per brodo, le olive, l’olio d’oliva, i funghi, gli antipasti vegetali, le alghe, le patatine fritte e via dicendo) ma soprattutto cereali (il cibo fondamentale e universale per l’essere umano, trasformabile in pane, pasta, prodotti da forno, e migliaia di altri piatti diversi), tutti i legumi, semi (tra cui anche noci, arachidi, mandorle, ecc.) e persino fiori (come i fiori di zucca e molti altri). Generalmente questi ingredienti vengono combinati tra loro per ottenere una varietà praticamente infinita di piatti squisiti, che va dalle ricette “dietetiche” a basso contenuto calorico fino agli intingoli e ai dolci succulentissimi che popolano i sogni dei golosi. Inoltre gli ingredienti vegetali possono essere trasformati con tecniche piuttosto semplici fino ad ottenere l’equivalente di hamburger, bistecche, spezzatini, polpette, paté, e mille altri piatti apparentemente non vegetariani.
La “frutta e verdura” consigliata nelle diete disintossicanti e dimagranti è dunque da intendersi fresca, cruda e possibilmente poco lavorata, ma certamente il vegetariano medio non è tenuto a vivere solo di frutta e verdura crude. Vegetarianesimo quindi non significa una vita di privazioni, o una dieta monotona o rigida, o tanto meno poco nutriente, come alcuni ancora credono.
Un vegetariano può anche, a seconda delle sue scelte e delle sue esigenze, usare o non usare latticini o miele, e/o seguire una dieta crudista e/o igienista e/o biologica e/o macrobiotica e/o dimagrante ecc. ecc. Passiamo ora a chiarire meglio questi punti.
I lacto-vegetariani aggiungono agli alimenti strettamente vegetali, che abbiamo elencato sopra, anche una quantità variabile (si consiglia comunque di non esagerare) di latticini (preferibilmente freschi) e spesso anche di miele. Escludono quindi l’uso di uova (di qualsiasi animale, compresi i pesci), che rappresentano il corpo (o il possibile corpo, o il mancato corpo) della prole dell’animale stesso. Mentre molti vegetariani fanno delle distinzioni tra uova fecondate e uova non fecondate, i lacto-vegetariani ne escludono l’uso completamente, evitando di scoprire troppo tardi (quando la “frittata” è già fatta) che hanno preso l’uovo sbagliato (!) e allo stesso tempo evitando di promuovere con tale distinzione degli allevamenti lager di galline alle quali è totalmente negata una vita naturale. Neppure i cosiddetti allevamenti “free range” possono garantire uova non fecondate e allo stesso tempo una vita decente per le galline. Per quanto riguarda latte e latticini è invece possibile ottenere una moderata quantità di latte dagli animali (mucche, capre, pecore) pur permettendo loro di nutrire ed allevare naturalmente la prole, anche se con margini di profitto molto inferiori per gli allevatori. Anche dal punto di vista igienico e nutrizionale il latte è decisamente preferibile all’uovo.
I lacto-vegetariani sono la “famiglia” di vegetariani più antica e più diffusa; erano lacto-vegetariani i Pitagorici, i filosofi indù e gli yogi dell’antica India (persino i primi cristiani e molti gruppi ebraici) e sono attualmente lacto-vegetariani, oltre agli induisti osservanti, ai Buddhisti e ai Jainisti, anche la maggior parte dei movimenti moderni New Age o neoreligiosi o di “crescita interiore”. Alcuni di questi gruppi, specialmente le scuole tradizionali dello yoga, richiedono ai loro aderenti anche di evitare il consumo di sostanze stimolanti, fumo, alcol e sostanze psicotrope (droga), e persino di aglio, cipolle, funghi, spezie e cibi piccanti, che vengono considerati dannosi per la chiarezza interiore, il controllo della mente e lo sviluppo spirituale. Questi ingredienti non possono comunque essere considerati non-vegetariani, in quanto provenienti dal regno vegetale e non da quello animale.
Secondo la definizione universalmente riconosciuta, un vegano o vegetaliano esclude dalla propria alimentazione ogni prodotto o sottoprodotto di origine animale, e quindi oltre alla carne, al pesce e alle uova, evita anche il latte e i latticini e il miele, che sono considerati “prodotto” dello sfruttamento innaturale degli animali. Il miele può essere sostituito con altri dolcificanti vegetali (malti e melasse) oltre al normale zucchero, e latte e latticini possono essere sostituiti brillantemente dai cosiddetti “latti vegetali”, ricchissimi di sostanze nutritive, come il latte di soia, il latte di cocco, il latte di mandorle, il latte di riso e così via, che possono essere usati sia per il consumo diretto che per la cucina: in particolare, dal latte di soia si possono ottenere numerosi derivati come vari tipi di formaggio di soia, yogurt, creme e budini ecc. L’uovo può essere sostituito in cucina da altri leganti molto efficaci, come la farina di ceci per i salati (polpette, ripieni, pastelle e persino frittate), oppure l’amido o l’arrow root o la schiuma del latte di soia per i dolci (torte, pasticcini ecc.). Non si può dire dunque che manchino gli ingredienti per una buona gastronomia e una nutrizione soddisfacente, anche se il problema principale dei vegani per scelta “etica” rimane quello di evitare gli ingredienti non vegetali nascosti nei prodotti industriali, anche se in piccole quantità: additivi dalla sigla misteriosa, grassi “alimentari”, lecitine …. che potrebbero essere estratte tanto dalla soia quanto dall’uovo, e via dicendo. Una sensibilizzazione generale del pubblico riguardo alla natura e alla provenienza di ingredienti e additivi alimentari sarebbe comunque auspicabile anche per i non vegani e i non vegetariani, considerando i danni effettivi prodotti alla salute dalle varie sostanze chimiche più o meno cancerogene attualmente presenti sul mercato.
Un macrobiotico invece segue una particolare dieta, messa a punto negli anni 50/60 da un medico giapponese, il dott. Oshawa, e che tende a riequilibrare l’armonia generale dell’organismo introducendo una maggiore quantità di cereali integrali e diminuendo ingredienti “poveri” nutrizionalmente come lo zucchero bianco, le patate, e via dicendo. Pur riconoscendo i benefici di un’alimentazione prevalentemente vegetariana, Oshawa non esclude completamente il pesce e talvolta persino la selvaggina, perciò la dieta macrobiotica in generale non potrebbe essere classificata correttamente come vegetariana, anche se moltissimi macrobiotici sono allo stesso tempo anche vegetariani o vegani. Chi però si trovasse a mangiare con persone che seguono rigidamente la dieta macrobiotica deve sapere che non avrà frutta fresca o insalate o verdure crude, né zucchero o miele o dolci (come dolcificante si usa solo il malto — di riso, di orzo ecc. — o in casi speciali della frutta essiccata, come uvette, mele secche ecc.), né bibite fresche o gelati (tutto va introdotto nell’organismo a una temperatura almeno equivalente a quella dell’organismo stesso), né verdure della famiglia delle solanacee come pomodori, patate, peperoni o melanzane, e neppure latte o latticini. Sono banditi anche i cereali raffinati (pane bianco, pasta bianca, riso bianco, farina bianca ecc.) e alcune spezie e aromi (si usano invece moltissimo aglio cipolla e zenzero). E’ consolante comunque sapere che la maggior parte dei macrobiotici non sono affatto rigorosi nella loro pratica quotidiana, e che ogni individuo tende ad interpretare l’idea macrobiotica con maggiore o minore rigidità a seconda della sua visione personale dell’alimentazione.
Bisogna inoltre aggiungere che la dieta macrobiotica ha introdotto nel patrimonio gastronomico occidentale un’infinità di altri prodotti interessantissimi, come la soia e i suoi derivati –la salsa di soia (shoyu e tamari), il tofu, il tempeh e altri ancora– il seitan, le alghe, e altre specialità alimentari tradizionali in Estremo Oriente. Tra gli altri preziosi contributi della cucina macrobiotica possiamo citare le tecniche di cottura veloce (dette nituké), utili per conservare il più possibile i valori alimentari, e il concetto “filosofico” dello yin e dello yang che vuole insegnarci ad armonizzare la nostra alimentazione con le nostre condizioni psicofisiche, con il clima e con la stagione… concetto elementare purtroppo spesso dimenticato dalla società consumistica. Ad esempio, d’inverno e nei climi freddi è meglio consumare cibi “che scaldano” come grano saraceno, avena, noci, zenzero, mentre d’estate o nei climi caldi possono risultare salutari e graditi i cibi “che raffreddano” come lo zucchero, la frutta, le patate, le insalate, i latticini e così via. Siccome generalmente nei paesi industrializzati il clima è spesso freddo e il consumo di cibi “freddi” (cioè yin) è prevalente, è possibile risolvere molte patologie e irregolarità di funzionamento dell’organismo (raffreddori frequenti, febbri, reumatismi, artrosi, ecc.) dando la preferenza ai cibi yang, quelli appunto preferiti dai macrobiotici.
Il concetto di “biologico” è tuttora abbastanza vago in Italia, visto che non esiste ancora una precisa legislazione che favorisca la diffusione degli alimenti ottenuti senza l’uso di concimi chimici e pesticidi. La denominazione “lotta integrata” che porta come simbolo commerciale la coccinella significa che la coltivazione si è avvalsa di aiuti naturali contro i parassiti (come appunto le coccinelle, o alcuni tipi di uccelli, che sono nemici naturali degli insetti infestanti). Il termine “biodinamico” invece, garantito in Italia dal marchio Demeter (creato dalla scuola antroposofica Steineriana) indica che la coltivazione, oltre a non usare concimi chimici o pesticidi, segue i ritmi antichi e naturali della terra, avvalendosi delle migliori condizioni stagionali ed astrali per ottenere un prodotto il più possibile vivo e vitale.
Purtroppo il “biologico”o il “biodinamico” non sempre vanno d’accordo con l’etica vegetariana, in quanto alcune tecniche di coltivazione biodinamica steineriana prevedono l’uso di concimi “violenti” come sangue, polvere di ossa ecc. Spesso i formaggi “biodinamici” e “naturali” si vantano di contenere caglio animale (ottenuto raschiando lo stomaco di vitellini o agnellini appena nati). Comunque il più importante contributo del movimento biodinamico è rappresentato senza dubbio dalla maggiore sensibilizzazione del pubblico nei confronti dei pericoli collegati all’uso indiscriminato in agricoltura di sostanze chimiche — che ormai sono state ampiamente riconosciute come cancerogene — dei conservanti e delle altre sostanze sintetiche usate nella lavorazione degli alimenti, e anche dell’uso dell’ingegneria genetica applicata all’agricoltura, sempre più diffusa: potrà dare dei prodotti belli esteticamente ma il contenuto nutritivo e “vitale” ne può soffrire molto. La parola “biologico” infatti vuole sottolineare che la componente forse più importante di un alimento è la sua “vitalità”. Alimenti coltivati con concimi chimici, sottoposti a procedimenti industriali e pieni di additivi chimici, non possono essere molto vitali.
I termini “naturale” e “naturista” sono molto vaghi, e possono creare equivoci pericolosi. Poiché ormai il pubblico ha acquisito una maggiore consapevolezza nelle scelte alimentari, tendendo verso un’alimentazione più sana e naturale, è comprensibile che alcune industrie, grandi e piccole, tentino di usare questo termine per invogliare la clientela ad acquistare dei prodotti peraltro normalissimi. Certo, l’uso di zucchero integrale invece dello zucchero bianco, l’eliminazione degli aromi artificiali e dei conservanti e degli additivi di vario genere, l’uso di farine più o meno integrali o di germe di cereali o di crusca, l’uso di grassi vegetali non idrogenati o di burro non additivato e via dicendo può decisamente giustificare la definizione “naturale” e migliorare decisamente la salute dei consumatori… cosa che naturalmente non può che essere di beneficio a tutti.
Gli igienisti seguono invece una pratica di igiene naturale che non si limita all’alimentazione vegetariana ma favorisce alimenti crudi o poco trattati, frutta e verdura fresche, ricotta fresca o latte acido, riservando una particolare attenzione alle combinazioni alimentari più efficaci per aiutare la digestione e combattere le varie patologie. Gli igienisti praticano anche il digiuno terapeutico e diversi tipi di medicina naturale. Ovviamente i crudisti sono quegli igienisti che sostengono la necessità di cibarsi di alimenti crudi (oltre a frutta e verdura, anche semi germogliati ecc.) e i fruttariani sono quelli che preferiscono mangiare frutta fresca, noci e semi. Questi tipi di dieta sono intesi però principalmente come soluzione temporanea a una condizione di scarsa salute dell’organismo, e sebbene alcuni ne rimangano così soddisfatti da sceglierli come pratica normale di vita, possono essere seguiti da chiunque, anche solo per brevi periodi.
Mentre le varie diete macrobiotiche sono relativamente recenti, l’idea del biologico è semplicemente un ritorno a metodi più naturali e meno chimici. L’igienismo può essere considerato una specie di medicina naturale, una riforma salutare della nostra dieta, ma la tradizione vegetariana è sempre stata diffusa in tutto il mondo sin dall’antichità non solo per le sue motivazioni igieniche e salutiste, ma anche per motivi etici. Escludere o limitare l’ingestione di parti del corpo di animali uccisi rappresenta comunque un grosso passo in avanti verso un’alimentazione più sana e naturale, anche se la teoria e la pratica vegetariana in generale non escludono la libertà di scelta individuale sugli ingredienti. Usare burro, olio o margarina vegetale (più o meno idrogenata) o decidere di non usare affatto grassi; usare zucchero bianco, zucchero integrale o malto d’orzo o glucosio oppure non mangiare dolci per niente; usare cibi conservati, in scatola o surgelati oppure solo cibi rigorosamente freschi; cereali integrali o raffinati, trattati industrialmente oppure semi germogliati in casa… è tutto lasciato ai gusti, alle preferenze, alle esigenze di ogni individuo, anche nella grande famiglia dei vegetariani.
MOTIVI AMBIENTALI, ECONOMICI, SOCIALI
E’ importante far comprendere alla gente l’urgenza e l’importanza dell’informazione vegetariana, specialmente per quanto riguarda i motivi ambientali, sociali ed economici, che si fanno ogni giorno più stringenti. Le associazioni ambientaliste hanno già ampiamente informato i loro sostenitori che il massiccio consumo di carne è il maggiore responsabile della distruzione delle foreste pluviali, oltre a rappresentare una importante causa di inquinamento e di spreco di risorse. Ogni giorno enormi appezzamenti di foresta pluviale (il polmone del nostro pianeta) scompaiono per far posto a pascoli per “hamburger e bistecche” e nel giro di pochi anni diventano desertici, perché lo strato di humus di quei terreni è molto sottile e richiede una grande attenzione nel mantenere l’equilibrio ecologico. Questo delicato equilibrio viene sconvolto senza speranza di recupero: dopo che sono passate le multinazionali della bistecca, la foresta amazzonica diventa una distesa di polvere nel giro di pochi anni, e a quel punto non si può più rimediare. La tragedia riguarda anche a breve termine anche le popolazioni della zona, che perdono l’uso della terra (la loro unica ricchezza) e sono costrette a migrare continuamente in cerca di zone ancora fertili. Centinaia di migliaia di specie vegetali e animali vengono annientate in questa distruzione, e si estinguono completamente, privando il pianeta di importanti caselle di equilibrio ecologico, e derubando tutta la popolazione del pianeta di ricchezze inestimabili, non solo a livello estetico ed ecologico, ma anche nel campo della ricerca medica e scientifica.
A lungo termine (un termine che si calcola comunque nell’arco di decenni e non di secoli o millenni) la distruzione della foresta pluviale comporterà una diminuzione della produzione di ossigeno e un aumento di anidride carbonica con il conseguente effetto-serra, una diminuzione generale delle precipitazioni con desertificazione di vaste zone, un aumento generale della temperatura del globo con riduzione delle calotte polari e innalzamento del livello degli oceani. Ovviamente questi bruschi cambiamenti porterebbero per reazione anche ad altri disastri geologici e climatici, la cui discussione esula dall’ambito del nostro libretto.
Se vogliamo davvero fare qualcosa di semplice, alla nostra portata, per contribuire a salvare la foresta pluviale (e quindi evitare le terribili conseguenze che deriverebbero a tutto il pianeta dalla sua progressiva distruzione) dovremmo come minimo diventare subito vegetariani, e convincere gli altri a fare altrettanto. Il tempo stringe, ogni minuto la situazione peggiora.
Per definire l’impatto socio-economico del consumo di carne è sufficiente far rilevare che il consumo di risorse (alimenti vegetali pregiati come soia, grano, mais, arachidi, grandi appezzamenti di terreno ora destinati a pascolo o a foraggio, ma anche acqua, concimi, lavoro di uomini e macchinari con il conseguente consumo di carburanti eccetera, le energie usate per l’allevamento, il trasporto, la macellazione e la preparazione del “prodotto” carneo, senza contare l’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi, dai mattatoi eccetera) impiegate per “produrre” un chilo di carne è da 10 a 35 volte superiore alla quantità di risorse necessaria per produrre un chilo di proteine vegetali al alto valore biologico (come la soia, ad esempio). Ne consegue che il principale responsabile della fame nel mondo è proprio il consumo di carne da parte del 20% della popolazione mondiale, che divora così l’80% delle risorse dell’intero pianeta. La nostra bilancia dei pagamenti con l’estero sarebbe alquanto alleviata da una ulteriore riduzione del consumo di carne e dalla cessazione dei tentativi da parte dello Stato (che continua ad agire con sussidi e finanziamenti speciali all’industria e al commercio della carne) di riportare questo consumo al livello degli anni 70 e 80. La stragrande maggioranza delle carni sul mercato italiano proviene dall’estero: nella bilancia dei pagamenti italiana le importazioni di carne sono al secondo posto, subito dopo le importazioni di petrolio.
Che dire dell’inquinamento idrico dovuto ai grandi allevamenti di bestiame (pari a quello delle grandi città di esseri umani), dove non è più considerato conveniente utilizzare le deiezioni del bestiame per concimare la terra? Il disastro delle alghe nell’Adriatico e della morte di tanti fiumi e laghi è stato provocato, oltre che dalle varie sostanze chimiche di scarto dell’industria, dagli scarichi degli allevamenti intensivi nella valle padana, che producono una quantità esagerata di “concime” nell’acqua, incoraggiando la crescita eccessiva delle alghe e di altri microorganismi che a loro volta “soffocano” il ricambio di ossigeno e la vita degli altri esseri acquatici. I dati su questo problema sono moltissimi ed esulano dal campo di questo libretto, ma le associazioni ambientaliste possono fornire informazioni molto interessanti ed allarmanti a questo proposito. In particolare, i paesi in via di sviluppo subiscono pesantemente le conseguenze ambientali del consumo e della produzione di carne, specialmente di quella prodotta nei paesi occidentali industriali.
E’ risaputo infatti che i terreni migliori e i migliori raccolti dei paesi poveri (tra cui anche quelli afflitti da frequenti carestie come l’Etiopia) vengono regolarmente accaparrati dalle ricche multinazionali della carne, che importano in occidente enormi quantità di lenticchie, arachidi, soia e altri preziosi alimenti vegetali destinati agli allevamenti intensivi occidentali, e che dovrebbero servire invece a nutrire la popolazione indigena. Naturalmente il denaro del pagamento di questi generi alimentari va a finire regolarmente nelle tasche sbagliate. In altri paesi, dove le estensioni di terreno fertile sono maggiori, enormi appezzamenti di terreno vengono usati come pascolo per animali, che verranno poi esportati per il consumo dei paesi più ricchi. Se consideriamo poi lo spreco di risorse connesso con la “produzione” di carne, risulta evidente che la soluzione del problema della fame nel mondo è strettamente subordinato a un indispensabile calo dei consumi di prodotti animali. Attualmente, il modello di vita dei paesi industrializzati rappresenta per i paesi in via di sviluppo una meta da imitare e raggiungere. Ora, se il 20% del mondo sta già divorando l’80% delle risorse del pianeta, cosa succederà se il rimanente 80% della popolazione mondiale cercherà di adeguare i propri livelli di consumo allo standard occidentale? In altre parole, quali pressioni demografiche e politiche ci troveremo a dover affrontare nei prossimi anni?
Questo ci porta alla considerazione degli aspetti sociali e politici del problema, a livello internazionale. E’ evidente che moltissimi paesi non sviluppati, incapaci di mantenere i loro abitanti al livello di “benessere” dei paesi industriali, vedono aumentare la pressione demografica sulle loro scarse risorse e crescere a dismisura i problemi di ordine pubblico e di economia. Senza un adeguato nutrimento le popolazioni sprofondano nella miseria, nell’ignoranza, nel caos, nella guerra, nell’emigrazione in massa, nel degrado culturale e morale, nella delinquenza … come dimostrano chiaramente tanti esempi nella storia passata e presente.
Per cominciare a risolvere questi problemi in modo semplice ed efficace, la cultura vegetariana si affida all’ottimizzazione delle risorse locali, alla permacoltura (pianificazione ecologica autosufficiente di aree coltivate con piante perenni o infestanti utili al consumo umano), alla rivalutazione delle tradizioni alimentari più popolari e soprattutto indica come obiettivo prioritario la lotta contro il mito del consumo di carne come status symbol per i paesi meno sviluppati. Anche i paesi industrializzati possono trarre grossi vantaggi da questo nuovo modo di affrontare il problema perché il debito dei paesi poveri potrebbe diminuire considerevolmente o anche solo non aumentare vertiginosamente come succede a tutt’oggi, invece di diventare la molla nascosta di emigrazioni di massa o addirittura di guerre globali.
Anche la pressione sociale nei paesi cosiddetti ricchi (che purtroppo tendono a diventare sempre meno ricchi) potrebbe essere notevolmente alleviata da una politica nutrizionale diversa: l’alleggerimento della bilancia dei pagamenti con l’estero e del bilancio dei sussidi che sostengono l’industria della carne, il miglioramento della salute generale del pubblico grazie ad un’alimentazione più sana (e quindi una riduzione delle spese per la salute pubblica), la riduzione dei rischi ambientali (riducendo la produzione di alimenti vegetali di bassa qualità destinati a foraggio per gli allevamenti intensivi e favorendo invece la produzione di alimenti vegetali biologici di alta qualità, necessari in minore quantità per il consumo diretto), lo sviluppo di nuove opportunità nel mondo del lavoro e dell’economia che favoriscano una maggiore qualità rispetto alla quantità dei consumi. Capitali, strutture e personale dell’industria della carne e della ristorazione convenzionale possono essere riconvertiti alla produzione e alla distribuzione di derivati della soia, ad esempio, che rappresentano un apporto nutrizionale addirittura superiore a quello della carne, con un costo iniziale della materia prima 35 volte inferiore. In molti paesi industrializzati questa riconversione è già stata attuata (come negli Stati Uniti, ad esempio) e incontra grande favore tra il pubblico, dove il numero dei vegetariani è in continuo aumento (oltre dieci milioni di vegetariani censiti attualmente negli Stati Uniti).
Ma chi sono i vegetariani? Di che fetta di mercato stiamo parlando? Nell’immaginazione del carnivoro medio, il tipico vegetariano è generalmente un ricco annoiato alla ricerca di strane nuove esperienze, oppure un vecchio “hippy” o un appartenente a qualche oscura setta esoterica orientale, oppure un maniaco della salute che si sottopone a una dieta austera, insipida e sgradevole (che può dare le stesse gioie della pulizia del colon) per “essere sempre in forma”. Non è affatto così. Moltissimi vegetariani sono amanti della buona cucina (e nel campo del vegetarianesimo si possono cucinare cose molto buone) e non necessariamente si preoccupano rigidamente delle calorie o dei grassi contenuti nella loro dieta. Le motivazioni etiche della scelta vegetariana sono per molti sufficienti in sé stesse a decidere di non mangiare il corpo di animali morti, e le controindicazioni igieniche al consumo di carne non sono necessariamente legate al computo delle calorie o delle fibre alimentari.
Moltissimi vegetariani hanno effettivamente una preparazione culturale non violenta e “igienista” derivante spesso dalla cultura e spiritualità orientali (e specialmente giapponese e indiana — in Giappone la carne è quasi sconosciuta e in India ancora oggi i mattatoi sono praticamente sconosciuti), ma numerosissimi sono anche i cristiani vegetariani, gli ebrei vegetariani, gli agnostici vegetariani, i teosofi o gli antroposofi vegetariani, e persino gli atei vegetariani. Oltre naturalmente alla stragrande maggioranza di vegetariani per motivi di salute o per spirito di emulazione di personaggi importanti che si sono dichiarati vegetariani. Chi non acquista oggi le riviste di “Cucina naturale”, “Alimentazione naturale”, “Salute naturale” e via dicendo? Chi non segue o ha seguito dei corsi di yoga, tecniche new age, e simili? Tutte queste persone sono già vegetariane o lo sono tendenzialmente, e rappresentano il mercato destinatario dei vari tipi di prodotti “vegetariani”.
Per quanto riguarda la storia dell’umanità, molti affermano che l’uomo delle caverne era carnivoro o piuttosto onnivoro, e che quindi se vogliamo tornare alla natura dovremmo tornare anche a quella dieta primordiale. Ma da dove proviene esattamente l’idea della carne come alimento? Quando ha cominciato, l’essere umano, a mangiare animali morti? Per natura, ancora oggi tutti i nostri sensi sono attratti da un albero carico di frutti maturi, mentre la vista e l’odore di un animale non ci stimolano particolarmente l’appetito. Certo, mangiare carne non è naturale. I bambini piccoli fanno molta fatica ad abituarsi a mangiare carne, e per “imbrogliarli” la carne deve essere camuffata il più possibile (in forma di polpette, paté, eccetera) in modo che l’istinto non riesca a riconoscerla come tale. Anche gli adulti trovano spesso difficile mangiare la carne cruda…
Facciamo dunque un po’ di antropologia spicciola applicata… Come possiamo osservare ancora oggi in alcune culture primitive, la cultura carnivora nasce generalmente dal concetto di base del cannibalismo: l’uomo si nutriva misticamente della potenza del capobranco, immagine e incarnazione della forza magica della natura e della madre terra (cervo, bisonte, toro, ecc.) per acquisire le sue stesse qualità, cosa che fanno normalmente anche i cannibali, per i quali mangiare il fegato o il cuore dei nemici coraggiosi aumentava il proprio valore in battaglia, o inghiottire la cenere e le ossa polverizzate dei parenti defunti permetteva loro di continuare a vivere nei loro discendenti viventi. Quest’idea primitiva sopravvive ancora nei luoghi comuni moderni come “la carne fa sangue”, “mangiare il cervello fa diventare più intelligenti”, eccetera. Fortunatamente questa idea è stata rifiutata sul piano cosciente dalla maggior parte degli esseri umani civilizzati, ma a livello subconscio continua a sopravvivere in molte persone, anche se deviata in modo più “innocuo”, socialmente, verso gli animali “da carne”.
Un altro argomento interessante è la relazione tra vegetarianesimo e non violenza. E’ stato dimostrato che il consumo regolare di carne accresce l’aggressività e l’irritabilità. Oltre alla propria adrenalina e alle proprie tossine, chi consuma carne deve smaltire anche quella contenuta nei tessuti degli animali uccisi, e le tossine accumulate dall’organismo dell’animale. Inoltre, la mancanza di rispetto verso la vita e la sofferenza altrui, caratteristiche coscienti o subconscie di chi mangia carne, portano molto facilmente a prevaricare anche sugli esseri umani più deboli. Questo succede anche nel regno animale: i carnivori e i predatori attaccano più volentieri le prede deboli, malate o indifese, oppure si radunano in branchi per braccare le prede più grosse, mentre gli erbivori e i frugivori, pur non essendo deboli e paurosi, attaccano violentemente soltanto per difesa. Così qualche ignorante potrebbe pensare che un vegetariano sia per forza un imbelle o un debole di carattere… ma meglio non fare troppo affidamento su un’idea del genere: elefanti, bufali, bisonti, tori, rinoceronti, ippopotami, gorilla, non molestano nessuno senza necessità, ma diventano estremamente pericolosi se provocati.
Cerchiamo ora di capire la posizione etica dei vegetariani nei confronti degli animali. Naturalmente ogni vegetariano ha diritto a professare opinioni più o meno diverse da quelle degli altri vegetariani, ma in genere un vegetariano “etico” ha delle motivazioni fondamentali molto precise. Dobbiamo però fare una distinzione tra “amici degli animali” e animalisti.
“Zoofilo” è il cosiddetto “amico degli animali” come la gattara o l’appassionato di film o libri che parlano della vita degli animali. Nulla gli impedisce di amare un tipo di animali e disprezzare o maltrattare un altro tipo di animali, e quindi di mangiarseli tranquillamente. In genere gli zoofili (cinofili, ecc.) non ci pensano due volte a nutrire i loro beniamini con carne di altri animali. Il “protezionista” si preoccupa degli animali cosiddetti “da compagnia”, ma non s’interessa generalmente di argomenti come gli allevamenti intensivi o la caccia e la pesca. Questo tipo di protezione degli animali è estremamente limitato, e non considera i sentimenti o le esigenze naturali degli animali in questione, ma soltanto il loro valore (le condizioni generali di salute) e la loro relazione con il “padrone” umano (antropocentrismo).
Il “conservatorista” si preoccupa di conservare la “ricchezza faunistica planetaria”, combattendo contro l’estinzione di specie animali come panda, balene, cetacei, foche monache, aquile, rapaci, eccetera. E’ già qualcosa: lascia in pace gli animali, a vivere nel loro ambiente naturale, e cerca di impedire che venga fatta loro violenza, ma continua a considerare gli animali come oggetti, come “beni” se non di proprietà di qualche individuo, comunque di proprietà dell’umanità nel suo insieme.
Un “animalista” è invece una persona che riconosce l’animale come un essere vivente, senziente, capace di soffrire e di gioire, e come tale dotato per nascita del diritto a vivere, ad avere una famiglia, a cercare per sé e per i propri cari la felicità, la tranquillità e la sicurezza. Per lui gli animali non sono soltanto un “bene prezioso” da salvaguardare per la salute ecologica del pianeta, ma esseri viventi e senzienti che hanno il diritto alla felicità e all’autodeterminazione, cioè a scegliere la vita che preferiscono vivere, accanto all’uomo (sempreché questi sia d’accordo da parte sua a vivere con quell’animale, naturalmente) o lontano da lui, e con quali esseri umani preferiscono vivere. Questi diritti sono oggi difficilmente riconosciuti persino ai bambini (vedere ad esempio le cause di affidamento nei divorzi o le adozioni in cui i desideri dei bambini non vengono tenuti in nessuna considerazione) ma affermare i diritti degli animali come esseri senzienti e capaci di soffrire può aiutare molto la causa di tutti gli esseri umani minorenni, minoritari, minorati, o semplicemente sminuiti, che possono essere considerati anch’essi semplicemente come esseri senzienti e capaci di sofferenza.
Un vero animalista non si considera “padrone” di un animale, ma soltanto “amico” o “protettore”; non considera l’animale come un oggetto ma come un soggetto, sia che si tratti di un cane, di un gatto, di una mucca, di un pappagallo, di una tigre o di un topo. Per l’animalista non dovrebbero esistere “negozi” di animali così come non dovrebbero esistere “mercati” di schiavi. Un animale non va “prodotto”, “commercializzato” o “scartato” sulla base delle esigenze del profitto. Piuttosto, l’animalista auspica la trasformazione dei negozi di animali in “centri di affido e adozione” e degli allevamenti in “rifugi” con criteri differenti da quelli odierni, e che tengano in maggiore considerazione i sentimenti degli animali. Questo non significa però che un animalista non sappia discernere con intelligenza tra le relazioni possibili e le relazioni impossibili tra le varie specie o tra i vari individui. E’ ovvio che con ogni tipo diverso di soggetto è necessario un comportamento adeguato, proprio come succede tra esseri umani. Così come è opportuno premunirsi e difendersi contro ladri, assassini e violentatori, e legittimo rifiutarsi di convivere con loro e di mantenerli, così è logico prendere misure preventive o difensive nei confronti di animali aggressivi, pericolosi o dannosi, ma questo non ci dà il diritto assoluto di disporre a nostro piacimento della vita e del dolore altrui, specialmente su esseri innocenti, inoffensivi e indifesi che sono più spesso solo vittime dell’uomo.
Va bene, diranno molti, voi siete vegetariani perché avete fatto una scelta. Ma perché date fastidio a chi invece vuole mangiare o vendere carne? Perché i vegetariani vogliono imporre la propria opinione? Perché non sono più democratici e tolleranti?
Come tutti ben sappiamo, i nostri diritti terminano dove iniziano quelli di un altro. I sostenitori della dieta carnea avrebbero dunque il diritto di versare senza necessità il sangue di miliardi di creature innocenti e indifese, di esporne liberamente in vetrine su strada e nei locali pubblici e nelle pubblicità su riviste e in televisione i cadaveri più o meno manipolati (presentandoli ingannevolmente come un alimento sano e indispensabile all’uomo), di rovinare e inquinare la terra l’acqua e l’aria (che sono patrimonio di tutti), di sfruttare i popoli più poveri affamando intere nazioni, di distruggere il patrimonio ambientale dell’intero pianeta, di contaminare più o meno nascostamente (con sangue, ossa, raschiature dello stomaco di agnellini appena nati, insetti polverizzati, cartilagini ecc.) anche cibi apparentemente vegetariani (come il pane il formaggio lo zucchero e il vino)? Se i “carnivori” devono avere il diritto di fare tutto questo senza che nessuno possa protestare, allora perché proibire il fumo nei locali pubblici? Perché considerare reato gli schiamazzi, le vendite abusive, l’accattonaggio, l’esibizionismo sessuale, il vagabondaggio, l’evasione fiscale, la prostituzione? Perché mettere fuorilegge il consumo di sostanze stupefacenti? Perché censurare i film più o meno pornografici e il materiale considerato “osceno”? Perché mettere dei limiti di velocità alla circolazione delle automobili? Lo stesso tipo di democrazia invocato dai carnivori dovrebbe permettere a tutti di fare qualsiasi cosa, nonostante il disagio e il pericolo altrui.
D’altro canto, invece, sembrerebbe logico che, come tutti i cittadini dello Stato, i vegetariani abbiano il diritto di mangiare e non mangiare quello che preferiscono (e di educare i propri figli secondo le loro scelte ed esperienze personali) senza essere per questo tacciati di incoscienza, di stupidità o simili, senza soggiacere alle intimidazioni di una pubblicità tendenziosa e sfacciata, senza essere costantemente discriminati o messi in ridicolo o talvolta persino privati della patria potestà in nome di una informazione falsa e tendenziosa. I vegetariani hanno il diritto di essere informati correttamente (e di informare correttamente il pubblico), di risparmiarsi la vista di cadaveri di animali e di animali prigionieri oscenamente esposti in luoghi pubblici come negozi e supermercati, pubblicazioni non specifiche e vetrine di macellerie che danno sulla strada pubblica. Inoltre, come è ovvio, i vegetariani hanno il diritto di difendere le proprie opinioni e le proprie scelte pubblicamente.
Inoltre, poiché l’informazione al pubblico deve essere obiettiva, gli organismi di informazione pubblica hanno il dovere di concedere ai sostenitori dell’alimentazione vegetariana almeno spazi uguali a quelli riservati ai sostenitori dell’alimentazione carnea. Questo purtroppo ancora non succede, perché gli interessi legati al consumo di carne e simili sono troppo forti e influenzano facilmente anche gli organi di informazione, come i quotidiani, le riviste, la radio e la televisione. La soluzione? Modificare le richieste del mercato, come è stato fatto innumerevoli volte in passato per creare nuovi “bisogni” nel consumatore. In questo modo il gioco degli interessi cambia.
Parlando di sociologia e di economia, alcuni potrebbero obiettare che il diffondersi della filosofia e della pratica del vegetarianesimo nelle sue varie accezioni metterebbe sul lastrico una quantità di onesti lavoratori (macellai, allevatori industriali, pellicciai, conciatori, pescatori, vivisettori ecc.). A questa obiezione vorremmo rispondere ricordando che il progresso umano ha sempre cancellato gradualmente alcune nicchie occupazionali creandone allo stesso tempo delle altre, anche più importanti e utili. Dove sono oggigiorno i mercanti di schiavi, i carnefici, i fabbricanti di cilici e di cinture di castità? Chi ne sente la mancanza? Che fine hanno fatto gli spazzacamini, i palafrenieri, i taglialegna, i mugnai, i conciapelli, i cocchieri, i maniscalchi, gli araldi, gli scudieri? Di quanti braccianti ha bisogno l’industria agricola oggigiorno? Sicuramente tutte queste persone e i loro discendenti avranno ben cambiato mestiere, e magari ci hanno anche guadagnato. Probabilmente avranno dovuto migliorare la propria cultura per adeguarsi a nuove professioni, e all’inizio avranno tutti mugugnato un po’ per l’automazione, i nuovi tipi di riscaldamento, la sostituzione dei cavalli e delle carrozze con automobili, autobus, treni e aerei, ma la situazione si è normalizzata abbastanza alla svelta. La società cambia costantemente, e senza questi cambiamenti oggi non avremmo la quantità enorme di nuove professioni che sono sorte negli ultimi decenni (tecnici elettronici, informatici, programmatori, piloti d’aereo, meccanici, disk-jockey, presentatori televisivi, calciatori, cineasti, e chi più ne ha più ne metta). Se non fossero cambiati i tempi e la società, tutte queste persone dovrebbero probabilmente ancor oggi limitarsi a zappare la terra e vivere in una società feudale.
Parliamo ora delle motivazioni personali, etiche, filosofiche o religiose, che sostengono la validità della scelta vegetariana. In un certo senso, anche queste motivazioni possono iscriversi nella valutazione socio-economica globale, in quanto dei cittadini con una chiara visione etica, filosofica o religiosa possono essere molto più utili alla società rispetto a coloro che si preoccupano soltanto dei propri profitti.
La violenza inutile, perpetrata sui deboli e sugli indifesi, porta chi la compie a soffocare in sé il rispetto verso la vita, la sensibilità, la compassione, il senso della misura, il senso della giustizia. Le terribili condizioni di vita e di morte imposte oggi a miliardi di animali “da macello” (segregazione, riproduzione artificiale, modificazioni genetiche, allevamenti intensivi, trasporti, mattatoi) non sono diverse da quelle imposte nei lager e non hanno nessuna vera necessità tranne quella del profitto: perciò rappresentano per i vegetariani “etici” un vero e proprio crimine.
Difendere i diritti degli animali non significa, come pensano molti, trascurare i diritti dell’uomo. Anzi. Più l’uomo diventa cosciente dell’importanza della vita, dell’evoluzione della sensibilità, della cultura, e di un sistema di vita non violento e rispettoso dei diritti di tutti i viventi, più diventa sensibile verso le sofferenze dei suoi simili e pronto ad operare per alleviarle. Il genere di sopraffazione che si esercita nei confronti di un animale innocente è molto simile a quello che si rivolge contro un bambino, un malato, un minorato, una persona indifesa che dipende da noi. Riconoscere il diritto alla felicità a tutti coloro che possono sperimentare felicità e sofferenza, non importa quali siano le loro capacità di espressione, di ribellione, di difesa, comporta una valutazione completamente diversa dell’etica. Non molto tempo fa gli schiavi negri erano considerati oggetti senza alcun diritto, prodotti che si potevano vendere e comprare senza alcuna vergogna. Anche tra gli uomini di chiesa, moltissimi consideravano del tutto normale la pratica dello schiavismo.
I diritti delle donne non sono stati ancora realizzati compiutamente nella pratica; pur essendo riconosciuti sulla carta, è ancora facile imbattersi in situazioni terribili, in cui la donna è ancora trattata come un oggetto. La stessa cosa si può dire dei bambini, e a maggior ragione. Combattere per i diritti degli indifesi, di chi soffre, è ugualmente valido. Si risentirebbero forse i popoli amazzonici nel vedere che qualcuno combatte per i diritti dei curdi? Una simile battaglia non sarebbe affatto contraria ai loro diritti, anzi è molto probabile che una persona abituata a rispettare gli esseri viventi che rivestono una forma animale riescano più facilmente a rispettare bambini, donne, malati e minoranze etniche.
Tutte le grandi religioni consigliano all’uomo di non nutrirsi di morte. Tra i cristiani di oggi gli avventisti, il movimento cattolico antispecista e tutti quei gruppi che cercano di tornare al cristianesimo delle origini (vita universale ecc.); tra gli ebrei numerosi maestri tra cui Pinchas Peli, come spiegano ampiamente diversi libri pubblicati dalla Jewish Vegetarian Society. E naturalmente i buddhisti, i jainisti e infine gli induisti, che sono vegetariani da millenni e che rappresentano la maggioranza dei vegetariani etici sul pianeta. Tanto che negli ultimi trent’anni i vari movimenti filo-induisti (Hare Krishna, Haidakhandi Samaj, Ananda Marga, Osho, Maharishi MT, Divine Light Mission, Aurobindo, eccetera) hanno diffuso notevolmente il vegetarianesimo etico in occidente. Ma anche molti filosofi e pensatori di ieri e di oggi si sono schierati dalla parte dei vegetariani. Menzioniamo solo alcuni dei più illustri: Besant, Bloch, Buddha, Calvino (il riformatore religioso), Celso, Clemente di Alessandria, Darwin, Diogene, Dostoiewsky, Duns Scoto, Edison, Einstein, Franklin, Fromm, Gandhi, Gesù, Giamblico, Giordano Bruno, Goethe, Herder, Hume, Kakfa, Krishna, Lamartine, Leonardo da Vinci, Leibniz, Lessing, Locke, Lorenz, Lutero, Mahavira, Marcuse, Mazzini, Michelet, Montaigne, Montessori, Newton, Ovidio, Origene, Pascal, Pitagora, Platone, Plotino, Plutarco, Porfirio, Regan, Rousseau, Russel, San Basilio, San Francesco d’Assisi, Sant’Antonio Abate, Schelling, Schopenhauer, Schweitzer, Seneca, Shaw, Shelley, Singer, Socrate, Spinoza, Tagore, Tertulliano, Thoreau, Tolstoi, Vedavyasa, Virgilio, Voltaire, Wagner, Whitehead. C’è poi una lunghissima lista di personaggi famosi che si sono dichiarati apertamente vegetariani e comprende sia attori che attrici, musicisti, sportivi, uomini politici, scrittori, tra cui gli araldi della “nuova cultura” come George Harrison, Paul McCartney, Bob Dylan, Sting, Peter Gabriel, gli Smith, Nina Hagen.
Qualche citazione. Pitagora, famoso matematico e filosofo, iniziatore del vegetarianesimo “culturale” in occidente (tanto che fino al 1800 i vegetariani erano chiamati “pitagorici”) ebbe a dire: “Amici miei, evitate di corrompere il vostro corpo con cibi impuri; ci sono campi di frumento, mele così abbondanti da piegare i rami degli alberi, uva che riempie le vigne, erbe gustose e verdure da cuocere; c’è il latte e il miele odoroso di timo; la terra offre una grande quantità di ricchezze, di alimenti puri, che non provocano spargimento di sangue né morte.” Il biografo Diogene scrive che Pitagora era solito mangiare pane e miele al mattino e verdura cruda la sera, e che talvolta pagava i pescatori perché ributtassero in mare i pesci appena catturati.
In un saggio dal titolo Sul mangiare carne, l’autore latino Plutarco scriveva: “Vi state chiedendo perché Pitagora si astenesse dal mangiare carne? Io, da parte mia, mi domando piuttosto per qualche ragione o con quale animo un uomo, per primo, abbia potuto avvicinare la sua bocca al sangue coagulato e le sue labbra alla carne di una creatura morta; come abbia potuto mettere sulla propria mensa cadaveri di animali e definire cibo e nutrimento quegli esseri che fino a poco prima muggivano o belavano, si muovevano, vivi. Come abbia potuto sopportare la vista del massacro, la gola squarciata, la pelle scuoiata, gli arti staccati; sopportare la puzza… come abbia fatto a non provare ribrezzo a contatto delle piaghe degli altri esseri succhiandone addirittura succhi e siero dalle ferite! L’uomo non si nutre certo di leoni o di lupi, per autodifesa… ma al contrario, uccide creature innocue, mansuete, prive di pungiglioni o di zanne. Per un pezzo di carne, l’uomo le priva del sole, della luce, della durata naturale della vita alla quale hanno diritto per il fatto di essere nate… Se sostenete che la natura vi ha destinato questo tipo di nutrimento, ebbene, allora uccidete voi stessi, da soli, quel che volete mangiare, ma fatelo con le sole vostre forze, senza clava, senza mazza o altre armi”.
Leonardo da Vinci, grande pittore, scultore, inventore, promotore del Rinascimento, scriveva, “Colui che non rispetta la vita, non la merita.” Leonardo considerava i corpi dei carnivori come tombe, cimiteri degli animali che essi mangiavano. Il filosofo francese Jean Jacques Rousseau, sostenitore dell’ordine naturale delle cose e padre dell’illuminismo moderno, consigliava di non permettere ai macellai di testimoniare in tribunale o di sedere in una giuria. (En passant, possiamo citare il diritto canonico antico, che escludeva i figli dei macellai dal ministero sacerdotale). E, sempre per inciso, modificare la nomenclatura del mestiere non cambia la sua natura.
Nell’opera The Wealth of Nations l’economista Adam Smith, altro sostenitore del vegetarianesimo, scriveva: “In realtà ci si può domandare se, in qualche parte del mondo, la carne sia necessaria per la sopravvivenza… mentre cereali e vegetali, con latte, formaggio e burro, oppure l’olio (dove il burro non si può conservare) sono in grado di fornire l’alimentazione più completa ed energetica, perché non esiste un solo luogo dove l’uomo debba per forza nutrirsi di carne.” Considerazioni di questo tipo spinsero anche Benjamin Franklin a diventare vegetariano fin dall’età di sedici anni, quando si accorse che ciò gli procurava una maggiore chiarezza intellettuale e facilità nell’imparare. Nella sua autobiografia, definì il consumo di carne “un delitto ingiustificato”. Il poeta Shelley, divenuto vegetariano, lasciò scritto nel saggio A Vindication of Natural Diet: “Si dovrebbe imporre una prova decisiva ai sostenitori della dieta carnivora: fargli strappare coi denti, come dice Plutarco, le carni di un agnello vivo, fargli affondare la testa nei suoi organi vitali, fargliene bere il sangue… se supereranno tale prova allora saranno stati coerenti con la loro teoria.” Nel suo poema Queen Mab, Shelley descrive un mondo ideale dove gli uomini non uccidono animali per procurarsi il cibo: “Ora l’uomo non uccide più l’agnello dai dolci occhi; ha smesso di divorarne le carni macellate che, per vendetta delle violate leggi natural, sprigionavano nel suo corpo putridi umori, tutte le malefiche passioni, i vani pensieri, l’odio e la disperazione, la ripugnanza, e nella sua mente i germi della sofferenza, della morte, della malattia e del crimine.”
Lo scrittore Leone Tolstoi divenne vegetariano nel 1885, abbandonò la caccia e si fece promotore del pacifismo vegetariano che condannava l’uccisione di ogni animale, fosse anche una formica. Si rendeva conto che il naturale progredire della violenza avrebbe inevitabilmente portato la guerra nella società umana. Nel saggio Il primo passo, scriveva che mangiare carne “è semplicemente immorale, perché comporta un’azione che è contraria al sentimento morale, quella di uccidere. Uccidendo, l’uomo sopprime anche in sé stesso le più alte capacità spirituali, l’amore e la compassione per altre creature viventi, e sopprimendo questi sentimenti, diventa crudele”.
Nella sua opera Walden, Henry David Thoreau scriveva, “E’ vergognoso che l’uomo sia carnivoro. E’ vero: egli può vivere, e vive sfruttando gli altri animali, ma questo è un ben misero modo di vivere, come sanno coloro che mettono in trappola conigli o uccidono agnelli, e colui che insegnerà all’uomo a convertirsi a una dieta sana e non violenta sarà considerato un benefattore dell’umanità. Per la mia esperienza, io non ho alcun dubbio che fa parte del progresso umano arrivare a smettere di nutrirsi di carne, così come molte tribù di selvaggi hanno smesso il cannibalismo quando sono venute a contatto di popoli più civili”.
Il commediografo George Bernard Shaw si accostò al vegetarianesimo per la prima volta a venticinque anni, convinto a ciò, come scrisse nella sua autobiografia, da Shelley. I medici gli predissero che quella dieta lo avrebbe ucciso. Quando, dopo molti anni, qualcuno gli chiese come mai non fosse tornato da quei medici, lui rispose, “Avrei voluto farlo, ma il fatto è che loro sono tutti morti!” Scrisse anche, “Che cosa ci si può aspettare da gente che si nutre di cadaveri? Noi preghiamo la domenica che la luce illumini il nostro cammino! Siamo stanchi di guerre, non vogliamo combattere, e tuttavia ci nutriamo di morte.”
H.G. Wells accennò al vegetarianesimo in A Modern Utopia, un libro sul mondo futuro. “In Utopia non c’è carne. C’era, un tempo… ma ora non riusciamo neanche a pensare ai mattatoi.” Il premio Nobel per la letteratura Isaac Bashevis Singer (di religione ebraica) divenne vegetariano nel 1962, all’età di cinquantacinque anni, e diceva, “Naturalmente mi dispiace di non averlo fatto prima, ma è meglio tardi che mai. Siamo tutti creature di Dio, e non ha senso che Gli chiediamo clemenza e giustizia se poi continuiamo a nutrirci di animali uccisi per noi…. Anche se si dimostrasse oggettivamente che la carne è un buon nutrimento, io certo non ne mangerei comunque. Alcuni filosofi e capi religiosi convincono i loro discepoli che gli animali non sono altro che macchine senz’anima e senza sentimenti, ma chiunque abbia vissuto con un animale, un cane o un uccello, o anche un topo, sa che questa è solo una bugia per giustificare la crudeltà”.
Quasi tutte le religioni hanno sempre predicato di astenersi dalla carne, a cominciare da diversi gruppi di sacerdoti egizi, che con la dieta vegetariana trovavano più facile mantenere il voto di castità necessario alla loro preparazione interiore. Essi rifiutavano anche le uova, che definivano “carne liquida”. Sebbene il Vecchio Testamento, la base del Giudaismo, contenga qualche accenno al mangiare carne, chiarisce tuttavia che la situazione ideale è il vegetarianesimo. Nella Genesi (1:29) Dio dice: “Guarda, Io ti ho dato ogni erba con il suo seme, e su tutta la terra ogni albero con il suo frutto, che contiene il seme di ogni albero: questo sarà il tuo cibo.” All’inizio della creazione, secondo quello che afferma la Bibbia, sembra che neppure gli animali si cibassero di carne (1:30): “E a ogni animale della terra, a ogni uccello del cielo, a ogni essere che striscia sul suolo, dovunque ci sia una forma di vita, a tutti Io ho dato ogni erba per nutrirsi, e così sia.” Sempre nella Genesi (9:4) troviamo un comandamento specifico contro il consumo di carne: “Ma non mangerai carne con la sua vita dentro, con il suo sangue… E sicuramente il sangue della tua vita richiederò: lo richiederò per mano di ogni bestia.” Negli ultimi libri della Bibbia, anche i profeti condannano l’uso della carne. Isaia (1:5) afferma: “Dice il Signore: Mi avete sacrificato un gran numero di ovini e di bovini, ma a Me non dà piacere il sangue dei manzi, degli agnelli o dei capretti; quando voi alzate le mani, Io distolgo gli occhi da voi e quando pregate non vi ascolto, perché le vostre mani sono sporche di sangue”. Secondo Isaia (66:3) è particolarmente grave uccidere le mucche: “Colui che uccide un bue pecca come chi uccide un uomo”. La Bibbia riporta anche la storia di Daniele che, prigioniero in Babilonia, rifiutò di mangiare la carne offertagli dai carcerieri, preferendo nutrirsi di erbe.
Molti cristiani sono stati tratti in inganno da alcuni passi del Nuovo Testamento dove si dice che Cristo mangiò carne. In realtà Gesù apparteneva alla comunità ebraica degli Esseni, che erano vegetariani e seguivano una pratica di vita molto sobria; inoltre risulta da diversi passi dei Vangeli che aveva fatto voto di Nazireato (che comporta tra l’altro l’astensione da cibi non vegetariani, i frequenti digiuni e pratiche di purificazione, il non tagliarsi capelli e barba, il non indossare abiti lussuosi). Studi accurati sugli antichi manoscritti greci hanno rivelato che le parole tradotte nelle versioni successive come “carne” sono in realtà trophe e brome, che significano solo “cibo” o “atto del mangiare” in senso lato. Ad esempio, nel Vangelo di San Luca (8:55) si legge che Gesù resuscitò una donna dalla morte e “ordinò di darle della carne”. La parola greca originale tradotta come “carne” è phago, che significa semplicemente “cibo”. Quindi ciò che Cristo disse, in realtà, fu “datele da mangiare”. La parola greca che indica la “carne” è kreas, e non viene mai usata in riferimento a Cristo; quindi neanche nel Nuovo Testamento è mai detto che Cristo mangiò carne. Questo, d’altronde, coincide con la famosa profezia di Isaia sulla comparsa di Gesù: “Una vergine concepirà e genererà un figlio, e il suo nome sarà Dio è con noi. Burro e miele saranno il suo cibo, perché saprà rifiutare il male e scegliere il bene.”
Clemente di Alessandria, un padre della Chiesa, cita l’esempio dell’apostolo Matteo, che “si cibava di semi, noci e vegetali, senza carne.” San Gerolamo, un altro padre dell’antica Chiesa cristiana, che autorizzò la versione latina della Bibbia tuttora in uso, scriveva, “Cucinare vegetali, frutta e legumi è facile ed economico”, e suggeriva questa dieta a chi voleva diventare saggio. San Giovanni Cristostomo considerava il consumo di carne innaturale e crudele da parte dei Cristiani: “Ci comportiamo come lupi, come leopardi… anzi peggio di loro, perché la natura ha previsto che essi si nutrissero in quel modo, ma noi, ai quali Dio ha dato la parola e il senso della giustizia, siamo diventati peggio di belve feroci.” San Benedetto, fondatore dell’ordine dei Benedettini, prescrisse ai suoi monaci una dieta essenzialmente vegetale. Anche ai Trappisti era vietato, fin dalla fondazione dell’ordine nel diciassettesimo secolo, mangiare carni e uova, e benché con il Concilio Vaticano del 1960 il divieto sia stato tolto, ancora oggi molti frati trappisti si attengono alle leggi originali.
Anche la Chiesa cristiana Avventista raccomanda ai suoi membri di essere vegetariani. Pochi lo sanno, ma l’enorme industria della “prima colazione” americana nacque in un luogo di cura naturale condotto dal dottor John H. Kellogg, membro attivo della Chiesa Avventista, il quale era costantemente alla ricerca di breakfast a base di vegetali per i ricchi malati della sua stazione climatica; fu lui l’ideatore dei fiocchi di mais integrale che avrebbe poi distribuito in tutto il Paese. Con il passare degli anni, a poco a poco il dottor Kellogg separò gli affari dalla religione e costituì l’industria che ancora oggi porta il suo nome.
Il più grande numero di vegetariani si trova in India, patria del buddhismo, del jainismo e dell’induismo. Il buddhismo, nella fattispecie, nacque come reazione all’enorme sterminio di animali che si compiva nell’antichità in nome di perversi rituali religiosi. Il Buddha pose fine a queste pratiche, proponendo la sua dottrina dell’Ahimsa, cioè della non violenza. I suoi seguaci, emigrati in tutto l’Oriente, lavorarono umilmente e instancabilmente per convertire al vegetarianesimo teorico e pratico intere popolazioni, arrivando al punto di aprire ristoranti vegetariani all’interno dei templi buddhisti e di inventare nuovi alimenti simili alla carne, come seitan, tempeh ecc.
Le antiche Scritture vediche dell’India, che risalgono a tempi molto precedenti al buddhismo, accentuano la non violenza come principio fondamentale del vegetarianesimo. La Manu-samhita, l’antico codice indiano di leggi, stabilisce: “Per avere carne è sempre necessario ferire delle creature viventi e questo è un ostacolo per il raggiungimento della beatitudine celeste; si eviti dunque di mangiare carne… Considerata la disgustosa origine della carne e la crudeltà di incatenare e uccidere delle creature, è necessario astenersi dal mangiare carne.” Bhaktivedanta Swami Prabhupada, che ha tradotto e commentato oltre cinquanta volumi dei classici della filosofia e della religione indiana, scrive, “Nella Manu-samhita è sancito il principio che una vita vale una vita, osservato praticamente in tutto il mondo. Così, ci sono altre leggi che stabiliscono che si è colpevoli anche se si uccide solo una formica: poiché noi non possiamo creare, non abbiamo il diritto di togliere la vita a nessun essere vivente. Secondo la legge divina, uccidere un animale è grave come uccidere un uomo e chi non segue questo principio segue delle leggi di comodo. Anche nei dieci Comandamenti è scritto, Non uccidere. Questa legge è perfetta, ma l’uomo la interpreta in modo sbagliato, pensando, Non ucciderò nessun uomo, ma potrò uccidere un animale. Così la gente s’inganna e crea dolore per sé e per gli altri…. Tutti siamo creature di Dio, in qualunque corpo alberghiamo e qualunque abito indossiamo. Dio è il nostro Padre supremo. Un padre può avere molti figli, alcuni intelligenti e altri no; ma se un figlio intelligente dice al padre, Mio fratello non è molto intelligente, lascia che io lo uccida; pensate voi che il padre possa essere d’accordo? Allo stesso modo, se Dio è il nostro Padre supremo, perché dovrebbe essere contento di vederci uccidere gli animali, che sono anch’essi Suoi figli?”
PERCHE’ VEGETARIANI: MOTIVI IGIENICO-MEDICI
La scelta vegetariana è ormai condivisa da centinaia di migliaia di persone in Italia e milioni di persone in tutto il mondo, anche da illustri medici e scienziati. Esistono numerosi elenchi di medici vegetariani, che possono essere consultati per consigli e raccomandazioni. L’alimentazione vegetariana è stata adottata in modo massiccio da vaste aree della popolazione mondiale, compresa l’Italia che ha storicamente una tradizione di “dieta mediterranea”, tanto glorificata attualmente dalla classe medica americana, che da tempo ha smesso di raccomandare al pubblico il consumo di carne. Non soltanto il corpo umano può fare benissimo a meno della carne, ma addirittura il non mangiare carne porta enormi benefici alla salute.
Pensiamo soltanto a che cos’è la carne: il cadavere di un animale, vissuto e morto spesso in condizioni di sofferenza e di stress, poi tagliato a pezzi e conservato con una quantità di sostanze chimiche indispensabili per evitare che il consumatore rimanga disgustato dal suo normale e naturale aspetto.
Alcuni affermano ancora che nel caso della carne “la quota di alimento effettivamente assorbita e utilizzata è la più alta possibile”: questo significa soltanto che la carne, a differenza dei vari alimenti vegetali, non contiene assolutamente fibre alimentari (ormai vendute in farmacia a caro prezzo) e quindi provoca disagi all’apparato digerente. Il contenuto “nutritivo” della carne è invece scarso (circa il 70% di acqua, 10/20% circa di proteine complesse e quindi laboriose da digerire, e circa 10% di grassi ad alto contenuto di colesterolo). Niente fibre alimentari, niente glucidi o carboidrati (le sostanze che danno energia al corpo), che sono invece preponderanti negli alimenti vegetali, insieme ad un contenuto vario di proteine, grassi, acqua, vitamine, sali minerali ed enzimi vitali, in una miscela perfettamente studiata dalla Natura per nutrire il nostro organismo. Basta mettere a confronto le tabelle nutrizionali sui vari alimenti (fornite generalmente dalle associazioni vegetariane o anche semplicemente dalle organizzazioni sanitarie) per rendersi conto al primo colpo d’occhio della superiorità nutrizionale degli alimenti vegetali.
Per quanto riguarda la digeribilità delle proteine della carne, vorremmo spiegare brevemente come funziona la digestione e l’assimilazione delle proteine, e il lettore giudicherà da solo… Il nostro organismo non è in grado di assimilare le proteine così come sono (potremmo paragonarle a un muro fatto di mattoni cementati tra loro), ma durante la digestione le deve scomporre in aminoacidi essenziali (paragonabili ai mattoni o alle pietre da costruzione), che verranno poi utilizzati per costruire i “muri” della nostra casa (il nostro corpo), cioè i tessuti di vario genere che il nostro organismo ha bisogno di rinnovare o creare. La scomposizione delle proteine complesse (animali) è molto più laboriosa di quella delle proteine semplici (vegetali), come è più difficile smantellare e riutilizzare i componenti di un muro molto complesso, composto da materiali svariati, e ben cementato, rispetto a quelli di un semplicissimo muro di mattoni e argilla. Proprio per questo l’uso di proteine complesse dà origine inevitabilmente a tossine dannose per il nostro organismo (che possono essere paragonate ai calcinacci e alle macerie varie). A lungo andare, le capacità di adattamento e di reazione del corpo possono venirne intaccate, anche geneticamente. Si possono avere quindi generazioni di persone che partono già dall’inizio della loro vita più deboli di salute, con un metabolismo più inefficiente e meno energie fisiche e mentali.
Il fatto che le proteine animali (oggigiorno chiamate complesse piuttosto che “nobili” come erano definite una volta) contengono molti amminoacidi essenziali non è un argomento decisivo, in quanto nessuno mangia esclusivamente carne (tranne appunto gli animali carnivori, dei quali parleremo più avanti) o si ciba esclusivamente di un solo alimento vegetale. Un’alimentazione vegetariana equilibrata, in cui siano presenti grano, riso o altri cereali (meglio se integrali) e una piccola quantità di legumi e semi — tutte buone fonti di proteine vegetali — consente facilmente di fornire all’organismo tutti gli amminoacidi essenziali, con grandi vantaggi rispetto alla dieta carnea. Ad esempio, i comunissimi ceci, a parità di peso, contengono una media del 30% di proteine, e la soia fino al 50% (e la soia contiene tutti gli amminoacidi essenziali, come la carne), mentre la carne arriva al massimo a un 20%. Anche le altre varietà di legumi (fagioli ecc.) hanno alte percentuali di proteine. La soia non è l’unico alimento vegetale che contenga tutti gli amminoacidi essenziali: anche le arachidi sono egualmente complete dal punto di vista di amminoacidi, come pure l’ortica, l’alga spirulina, il lievito di birra e il polline. Ricordiamo che non è necessario consumare grandi quantità di tutti gli amminoacidi essenziali (qui non vale il concetto “più ce n’è meglio è”); il fabbisogno quotidiano di tali elementi è veramente bassissimo e può essere soddisfatto con quantità moderate di alimenti. L’eccesso di proteine può essere addirittura più dannoso che la carenza, specialmente nell’alimentazione di adulti, anziani e malati (specialmente di tumori). Per quanto riguarda l’alga spirulina, il lievito di birra e il polline, sono considerati ormai da molti anni ottimi integratori alimentari per qualsiasi dieta, e sono già utilizzati ampiamente dalla “nuova” industria farmaceutica naturale.
Comunque, a beneficio dei coltivatori e dell’industria, possiamo suggerire un nuovo prodotto proteico già abbastanza diffuso in alcuni paesi (presentato ufficialmente nel 1993 a un congresso internazionale sull’alimentazione naturale): la “cagliata d’erba”. Le fattorie biologiche e la
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