La Teoria dell’invasione degli Aryani
Una delle dottrine maggiormente usate per interpretare – spesso con l’intenzione di gettare discredito – la storia antica dell’India, è la teoria dell’invasione Aryana. Secondo questa, verso il 1500 AC, l’India fu invasa e conquistata da eserciti di popolazioni dalla pelle chiara che provenivano dall’Asia Centrale. Questi, detti Aryani, assoggettarono militarmente una civiltà più avanzata della loro e dettero vita a ciò che poi sarebbe stata chiamata la cultura Hindu: così denominata perché la regione in cui i loro attacchi furono concentrati fu la zona della valle del fiume Indo.
I difensori di questa ipotesi affermano che prima della venuta degli Aryani esisteva in quella regione una evoluta civiltà detta Dravidica, la quale si estendeva in un vasto territorio che andava dai confini orientali del presente Stato dell’Uttara Pradesh fino all’Afganistan. Questa presenza sarebbe comprovata dai numerosi reperti archeologici ritrovati nella valle dell’Indo. I primi ritrovamenti, effettuati nel 1920 ad Harappa e a Mohenjo-daro, mostrarono che questo vasto regno fu abbandonato in circostanze misteriose dai suoi abitanti. Alcuni storiografi non hanno trovato teoria migliore di quella che attribuisce tale esodo di proporzioni bibliche a un’invasione straniera. A queste tribù nomadi, provenienti da terre imprecisate e dedite al brigantaggio, alla caccia e alla pastorizia, si è accreditato l’elaborazione della letteratura Vedica, la più vasta che si conosca, e la creazione della lingua Sanscrita, il linguaggio degli dei.
Cosa implica tale ipotesi?
Innanzitutto bisogna constatare che molti studiosi nel campo della storia dell’umanità, hanno il difetto di concludere in modo molto frettoloso e superficiale le proprie ricerche, con la conseguenza che le loro personalissime opinioni acquistano sempre più valore di verità scientifiche ineluttabili ed inattaccabili. Fortunatamente però una parte delle teorie che propongono sono innocue, ma altre, invece, provocano reazioni sociali a catena che causano veri e propri disastri. L’ipotesi dell’invasione Aryana è una di queste.
Nel caso che questa teoria fosse comprovata, le implicazioni sarebbero pesantissime: i Veda non avrebbero alcuna nobile origine e mentirebbero a riguardo delle datazioni e dell’identità dei loro autori; i Purana non sarebbero testi di storia ma letteratura di mitologie tutte da interpretare; le Scienze Vediche non sarebbero originali, bensì prese a prestito da culture occidentali tra cui quella greca. Con questi fatti la cultura Hindu diventerebbe un guazzabuglio di concetti estrapolati qui e lì.
La teoria della invasione Aryana non è soltanto argomento di dibattito accademico, ma condiziona la percezione dell’evoluzione storica dell’India, le sorgenti del suo antico e glorioso retaggio e le locali istituzioni socio-economico-politiche che si sono sviluppate nei millenni. Conseguentemente la validità o l’invalidità di questa teoria avrebbe un forte impatto sull’orizzonte contemporaneo dell’India politica e sociale, così come sul futuro del nazionalismo indiano.
L’argomento è tanto rilevante oggi come lo era cento anni fa, quando fu astutamente introdotto nei testi scolastici dai colonialisti Britannici. Le ultime due decadi hanno testimoniato un interesse sempre crescente tra studiosi, scienziati e nazionalisti, in quanto si ritiene che questa teoria abbia portato un grave danno alla psiche della società indiana e abbia contributo in modo considerevole a creare scismi spesso irrisolvibili tra le differenti sezioni della società Hindu.
Questo soggetto deve necessariamente interessare tutti coloro che amano la cultura Vedica, perché il dubbio sull’autenticità delle affermazioni contenute nella stessa mina l’opportunità dello studio stesso. Se non è vero (per fare alcuni esempi) che i Veda siano stati elaborati da Vyasadeva e poi insegnati da grandi santi come Sukadeva Gosvami e Suta Gosvami; se non è vero che la battaglia di Kuruksetra è stata combattuta al tramonto di Dvapara-yuga e che il Kali-yuga inizia esattamente nel momento in cui Sri Krishna abbandona questo pianeta; se è vero che il Maha-bharata riporta mitologie e non fatti storici; ebbene quale credibilità hanno i Veda e le scritture che da loro derivano? Perché qualcuno dovrebbe spendere la propria vita nell’osservanza dei suoi dettami religiosi? Perché studiare e applicare i principi filosofici in essi contenuti? Che senso ha lavorare duramente per diffondere idee spiritualistiche se queste non provengono dal Signore Supremo stesso?
La teoria invasionistica è stata la punta di diamante nel tentativo – purtroppo in parte riuscito – di discreditare l’intera nobile saggezza Vedica per imporre i valori occidentali, i quali sono basati sull’ateismo e sul materialismo.
Le ragioni della non-accettazione
Va detto subito che questa teoria è ben lungi dall’essere stata scientificamente provata. Sebbene sia accettata da molti indologi e studiosi di materie varie, le falle e le contraddizioni che presenta sono enormi e inconciliabili. Quindi il nostro compito sarà proprio quello riportare alla luce le contraddizioni di questa teoria corrente e contemporaneamente di dimostrare l’autenticità delle nostre fonti.
Fino a qualche anno fa, le risposte dei fondamentalisti Vedici, pur utilizzando argomenti solidi di tipo storico, astronomico e matematico, hanno avuto un impatto debole, anche perché “l’establishment psicologico umano” preferiva l’altra teoria, in modo da non avere l’imbarazzo della presenza ingombrante di una scienza di origini divine. Oggi, grazie all’apporto dei reperti archeologici e alle nuove tecnologie – come le analisi satellitari e l’elaborazione di dati col computer – la mendacità e anzi la sua motivazione politica appare chiara a chiunque intenda vedere.
L’aspetto peggiore di questa teoria è che non ha basi in nessun documento redatto in India. Né i Veda, né i Purana, né le Upanishad, né alcun altro scritto tradizionale menzionano neppure lontanamente una invasione di quel genere. Eppure avrebbe dovuto essere un avvenimento di enormi proporzioni, che avrebbe causato la migrazione di milioni di persone. Le Itihasa Vediche non sono avare di narrazioni di guerre e avvenimenti disastrosi, per cui non si vede la ragione di tacere proprio su quello che avrebbe condizionato il corso della storia di buona parte del pianeta. Tanto più che gli autori di quei testi sarebbero i vincitori e non gli sconfitti.
Oramai tutti i maggiori studiosi del campo, anche quelli che non tengono in eccessivo riguardo la cultura Vedica, cominciano a manifestare seri dubbi. Appare chiaro che questa fu un’idea partorita dalle necessità politiche del XIX secolo, una storia inventata di sana pianta per servire i fini della politica imperialista europea (tedesca e britannica in particolare). Gli inglesi avevano tutto l’interesse a dividere la società indiana su linee etniche e religiose da una parte e facilitare il tentativo di cristianizzare l’India dall’altra. Hanno imposto questa versione della teoria nel curriculum delle scuole, sapendo che le cose imparate in gioventù hanno una presa maggiore nella psiche umana. La cosa che lascia tuttavia sorpresi è che ancora oggi, dopo decenni dalla conquista dell’indipendenza, venga ancora insegnata nelle scuole indiane e che i docenti non siano affatto disposti ad emendare i testi scolastici.
Per migliaia di anni la società Hindu ha guardato ai Veda come alla sorgente di tutta la conoscenza spirituale e materiale e come all’alfiere della cultura Hindu, del suo retaggio, del suo motivo stesso di esistere. Mai nessuno aveva messo in dubbio in modo così radicale la loro autenticità. Persino i pellegrini occidentali e orientali, che hanno documentato le loro esperienze durante il loro prolungato soggiorno in India, hanno testimoniato e documentato l’importanza della letteratura Vedica e mai si sono sognati di dire che avessero origini straniere. Poi, d’un tratto, a qualcuno viene in mente di negare che i Veda appartengano agli Hindu e che invece sono creazione di un’orda barbarica di tribù nomadi che discesero dal nord dell’Asia. Qualcuno persino suggerisce che il Sanscrito non sia di origini indiane.
Tutto questo è assurdo. Un’orda di barbari nomadi non può, con tutto lo sforzo di immaginazione, produrre una saggezza tanto sublime, delle esperienze spirituali di quest’ordine, una filosofia universale di tolleranza religiosa e di armonia universale come si può trovare nella letteratura Vedica.
Negli ultimi due decenni, le numerose scoperte archeologiche hanno mostrato che la fine della civilizzazione di Harappa non sopraggiunse a causa di questa fantomatica invasione Aryana ma – probabilmente – come risultato di disastri naturali, come inondazioni o siccità. La scoperta della traccia perduta del fiume Vedico Sarasvati, lo scavo di una catena di siti ad Harappa, a Ropar, nel Punjab, fino a Lothal e a Dhaulavira nel Gujarat, la scoperta delle rovine archeologiche di vedi e di yupa connessi con gli yajna Vedici in luoghi come Harappa e Kalibangan, le decifrazioni degli scritti Harappo-Hindu da parte di molti studiosi e la loro definitiva classificazione come un linguaggio appartenente alla famiglia Vedico-Sanscrita, le conclusioni di archeologi come il Prof. Dales, il Prof. Allchin etc., la scoperta della città di Dvaraka persa sotto il mare vicino la costa del Gujarat e le sue sorprendenti similarità con la civilizzazione di Harappa, – tutti questi nuovi ritrovamenti e la loro interpretazione oggettiva, accurata e contestuale ai Veda, indicano in modo convincente che la civilizzazione Harappo-Hindu coincide con una civiltà Vedica o, come la chiamano taluni, post-Vedica ed esige una forte riesaminazione critica dell’intera teoria dell’invasione e l’ammissione che questa sia stata artificialmente imposta nella psiche degli indiani da alcuni manipolatori europei e storici marxisti.
Chi sono i teorici dell’invasione Aryana
La maggior parte degli originali propositori non erano storici o archeologi, ma avevano scopi religiosi e politici da conseguire. Max Muller era un ricercatore tedesco al soldo della Compagnia delle Indie Orientali, la quale progettava a tavolino la conquista della ricchissima India. Altri, come Lassen e Weber, erano ardenti nazionalisti tedeschi che non avevano alcuna autorità in materia, una scarsa conoscenza della cultura indiana, ed erano motivati dal desiderio di provare la loro teoria della superiorità delle razze nordiche – che furono chiamate proprio Aryane. Tutti sanno che quella che nacque come una banalità di intellettuali si sarebbe allargata fino a sfociare nell’evento più calamitoso del XX secolo, la Seconda Guerra Mondiale.
Anche all’epoca, questa trovò numerosi sfidanti di rilievo, come C.J.H.. Hayes, Boyed C. Shafer e Hans Kohn, i quali avevano condotto studi profondi sull’evoluzione e sul carattere del nazionalismo in Europa. Questi validi professori avevano denunciato subito la scarsa scientificità di molte delle scienze che, nel XIX secolo, erano state strumentalizzate per creare il mito della razza Aryana; ed è un vero peccato che questi non abbiano trovato un appoggio sufficiente negli ambienti degli intellettuali indiani, i quali avrebbero invece dovuto essere in prima linea. Oggigiorno, anche se numerosi personaggi celebri come Dayananda Saraswati, Bal Gangadhar Tilak e Aurobindo, hanno tuonato contro questa invenzione, la maggior parte degli Hindu la accetta passivamente. Questo permette agli Occidentali, per la maggior parte di tendenza cristiana, di interpretare in modo riduttivo la loro storia. Ancor oggi molti Hindu condividono e persino onorano le traduzioni dei Veda fatti da studiosi missionari cristiani, come Muller, Griffith, Monier-Williams e H. H. Wilson. Ci domandiamo se i cristiani moderni accetterebbero un’interpretazione della Bibbia fatta dagli Hindu, se redatta allo scopo di convertirli all’Induismo.
In seguito lo stesso Max Muller avrebbe fatto marcia indietro su alcuni aspetti della teoria Aryana, in quanto nella letteratura Sanscrita il termine arya non è stato mai usato per indicare una razza. Non riuscendo a trovare una sola citazione che avvalorasse la sua tesi, vedendo vacillare la sua credibilità personale, affermò che non aveva inteso dare al termine un significato razziale, ma che indicava un gruppo linguistico. Come vedremo in seguito, anche questa definizione è fallace.
Nonostante il ripensamento, il danno era oramai fatto. I gruppi nazionalisti tedeschi e inglesi strumentalizzarono l’idea della superiorità della razza bianca, concetto che Hitler poi avrebbe usato per perpetrare le sue ben note barbarie contro l’umanità: l’olocausto degli ebrei e la Seconda Guerra Mondiale.
Mentre in Europa il fenomeno razzista si sta esaurendo, purtroppo in India, nonostante il ritiro dei colonialisti britannici, il problema è ancora sentito.
Analisi storica della Teoria
Come abbiamo già detto, nel XIX secolo alcuni studiosi e ricercatori occidentali, primo fra cui il tedesco Max Muller, decisero che una razza dalla pelle bianca – chiamata Aryana – doveva essere venuta a conquistare l’India, in modo particolare la valle dell’Indo.
Giacché al loro arrivo gli Aryani trovarono una civiltà che popolava la regione, quest’ultima fu chiamata pre-Aryana, conferendo così maggiore importanza all’invasore che all’invaso. La data assegnata a questo evento è il 1500 AC. La ragione di tale datazione è totalmente speculativa: essendo Max Muller un convinto cristiano che mai avrebbe dubitato della cronologia biblica, pensò che l’esistenza di queste popolazioni non potessero risalire a prima del 2000 AC. Infatti la Bibbia dichiara che il mondo iniziò 4000 anni prima di Cristo e che il grande diluvio ci fu verso il 2500 AC. Sulle basi di queste informazioni, sarebbe stato impossibile per gli Aryani trovarsi in India prima del 1500 AC. Di conseguenza lui ed altri giunsero a stabilire che i quattro Veda originali non potevano esistere prima di due secoli dalla nascita del Buddha, il quale – in accordo alla cronologia corrente – nacque e visse verso il 500 o il 600 AC. In base a un’analisi linguistica (e ad altre prove di cui parleremo in seguito) si nota subito quanto questa datazione sia scorretta.
Inoltre la storia corrente ci informa di invasioni di popolazioni indoeuropee – come gli Hittiti, i Mittani e i Cassiti – che hanno invaso e governato la Mesopotamia per diversi secoli in quegli stessi periodi, per cui si ritiene che anche l’India potesse essere stata investita dal fenomeno delle invasioni barbariche. Ma gli ultimi rinvenimenti archeologici bocciano questa ipotesi.
Lo studio di questi antichi popoli ci fornisce alcuni dati interessanti. Queste popolazioni non erano affatto barbariche, bensì parte della cultura Vedica stessa. I Cassiti, Aryani dell’antico medio-oriente, adoravano gli dei Vedici Surya e Marut, e anche uno chiamato Himalaya. Gli Ittiti e i Mittani, attorno al 1400 AC, firmarono un trattato con i nomi degli dei Vedici Indra, Mitra, Varuna e Nasatya. Troviamo nella letteratura Ittita un trattato sulla corsa dei carri scritto in un Sanscrito quasi puro. Gli Indo-Europei dell’antico medio-oriente parlavano lingue Indo-Aryane e non Indo-Iraniche, testimoniando la presenza della cultura Vedica anche in quella parte del mondo.
I punti salienti
Nonostante il ripensamento di Max Muller citato poc’anzi, nei circoli accademici viene accettato che
• per Aryano s’intende una razza. Avvalora questa ipotesi la citazione nella letteratura Vedica di conflitti tra popolazioni e i ritrovamenti di scheletri negli scavi di Mohenjo-daro e Harappa;
• gli Aryani erano un popolo nomade, dalla pelle chiara. Su questo non ci sono prove di alcun tipo: pure congetture e interpretazioni degli inni Vedici che in taluni casi sfiorano anche il ridicolo;
• che la cultura della valle dell’Indo non era Aryana perché veniva adorato Shiva, perché si usavano i carri, perché non ci sono tracce di esistenza di cavalli e perché adottavano discriminazioni di casta e di razza;
• la data dell’invasione – il 1500 AC – è arbitraria e speculativa. In Mesopotamia e in Iraq c’era gente che adorava Dei Vedici in data 1700 AC .
La conquista di Harappa e Mohenjo-daro: verità o falsità?
Gli invasionisti affermano che gli scavi di Harappa e di Mohenjo-daro, in cui sono stati ritrovati degli scheletri umani, hanno offerto una prova scientifica alla loro teoria. Ma è un altro tentativo di mistificazione.
Il Prof. G. F. Dales (già Capo del Dipartimento di Archeologia e Antropologia Asiatica dell’Università di Berkeley, USA), nel suo The Mythical Massacre at Mohenjo-daro, Expedition Vol VI, 3:1964, dice:
“Cosa c’è in quegli scheletri di così importante? Si tratta di una fama davvero immeritata. In nove anni di scavi capillari a Mohenjo-daro – una città di tre miglia di lunghezza – sono stati ritrovati solo 37 scheletri che possono essere fatti risalire al periodo della civiltà Hindu, e neanche tutti interi. Qualcuno di loro è stato ritrovato in posizioni tali che a tutto possono far pensare meno che a una sepoltura ordinata… Sono stati tutti ritrovati nell’area della Città Bassa, che probabilmente era il quartiere residenziale. Nell’area della cittadella fortificata non è stato trovato neanche un corpo che potesse suggerire una difesa strenua contro orde nemiche.”
Poi chiede:
“Dove sono le fortezze bruciate, le frecce, le altre armi, i pezzi di armature, i carri distrutti e i corpi di invasori e difensori? Nonostante lunghi scavi nei più grandi siti di Harappa, non è stata trovata una seppur piccola prova di una conquista armata delle popolazioni locali.”
Colin Renfrew, professore di Archeologia a Cambridge, nel suo famoso lavoro Archeology and Language: The Puzzle of Indo-European Origins , a riguardo del vero significato e dell’interpretazione degli inni del Rig Veda, dice:
“Molti hanno fatto notare che un nemico ricorrente era il Dasyu. Alcuni affermano che il Dasyu rappresentava la popolazione locale che non parlava il Vedico, espulsa dalle incursioni della guerra degli Aryani. Ma non c’è nulla negli inni del Rig Veda che dimostri questo fatto. Come si può affermare che le popolazioni che parlavano il Vedico erano gli stranieri e non i locali? Questo è solo un pregiudizio, un assunto storico accettato in modo dogmatico. E’ vero che gli Aryani invocassero l’assistenza degli dei per conquistare città e fortezze nemiche, ma non c’è nessuna prova che loro stessi non avessero città e fortezze. Il fatto che gli Aryani avessero i cavalli per trainare in modo veloce i carri da guerra non ci dice che gli Aryani fossero nomadi provenienti da altre terre; semmai dimostra il contrario. Il carro – specialmente quello da guerra – non è un mezzo usato dai nomadi. Come è possibile scalare montagne, attraversare deserti e guadare fiumi con quei carri? L’Aryana era una società chiaramente eroica, che viveva la guerra come un atto di nobile eroismo…”
“…Quando Wheeler propone l’idea dell’arrivo degli Aryani nella terra dei Sette Fiumi (il Punjab), per quanto mi riguarda lo fa senza certezze di alcun genere. Se vengono controllate le numerose citazioni nel Rig Veda a riguardo dei Sette Fiumi, non si trova nulla a riguardo di una qualsiasi invasione. La Terra dei Sette Fiumi è la terra del Rig Veda, la scena dell’azione. Nulla suggerisce che gli Aryani fossero stranieri, né che gli abitanti delle città fortificate (inclusi i Dasyu) fossero più aborigeni degli Aryani stessi. Molte delle citazioni a riguardo sono molto generiche, come ad esempio l’inizio dell’Inno a Indra :
“A te, o Potente, porgo questo poderoso Inno,
perché il tuo desiderio è stato gratificato dalla mia preghiera.
Grazie ad Indra, sempre vittorioso grazie alla sua forza,
gli dei hanno gioito di una festa e allora il Soma è scorso.
I Sette Fiumi portano la sua gloria ovunque
e i pianeti celesti, il cielo e la terra mostrano questa forma attraente.
Il Sole e la Luna alternano il loro corso
in modo che noi, o Indra, possiamo osservare e avere fede…”
Il Rig Veda non dice nulla che possa indurci a credere che gli Aryani fossero nomadi.
Studi recenti sul declino della civiltà della valle dell’Indo dimostrano che questo non ebbe una singola causa. Qualunque sia questa causa, non ci sono prove per attribuire questa dissoluzione di immani proporzioni a orde di invasori. L’impressione è che la causa sia da attribuire a un collasso sociale e che questo abbia provocato un grande esodo.
M.S. Elphinstone , nella sua opera magna sulla storia dell’India, scrive:
“In opposizione alle loro presunte origini straniere, né nei Codici (di Manu) né, credo, nei Veda, né in nessun altro testo ancora più antico dei Codici, ci sono allusioni al fatto che i redattori dei Veda fossero abitanti di nazioni al di fuori dall’India. Persino i racconti mitologici non vanno più al di là della catena delle Himalaya, nella quale è fissata la dimora degli Dei…”
“Inoltre (se così fosse), come mai questa civiltà di invasori non si diffuse a “macchia d’olio” bensì partendo dall’Est e dirigendosi verso l’Ovest? Come mai, poi, il loro linguaggio si è diffuso in tutta l’India, la Grecia e l’Italia e non si è invece diffuso in Caldea, in Siria e in Arabia?”
Il verdetto finale di Elphinstone è uguale al nostro: non c’è nessuna ragione per sospettare che gli Aryani abbiano mai abitato in alcuna altra nazione al di fuori di quella che noi conosciamo come India e che questa fosse la situazione prima che cominciassero a documentare la loro cultura sotto forma scritta.
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