La Filosofia del Bhakti Yoga – Bhakti (il metodo di realizzazione spirituale) – parte 2

posted in: Area9, Italiano 0

 

D:  Tutte queste proibizioni ci sembrano un gran limite alla libertà dell’individuo. E come si può avanzare senza libertà?

 

R:  Non costituiscono affatto un limitazione. Secondo i Veda questo mondo è una prigione, ed è questa che ci limita. I principi regolatori aiutano a toglierci le catene della schiavitù e ci conducono a una vera liberazione. Infatti:

 

“Colui che è libero da ogni attaccamento e da ogni avversione, ed è capace di controllare i sensi grazie ai principi regolatori della libertà, ottiene la completa misericordia del Signore.”

Bhagavad-gita 2.64

 

I principi della bhakti possono sembrare restrizioni, ma i realtà sono principi regolatori della libertà, come vengono chiamati nella Bhagavad-gita, in quanto ci conducono nel mondo della vera libertà, al di là della schiavitù della mente e dei sensi materiali.

 

D:  Quali sono i servizi devozionali che è possibile rendere al Signore?

 

R:  Prahlada Maharaja diceva che questi servizi possono essere raggruppati in nove classificazioni, che sono: l’ascolto (sravanam), il canto o la recitazione (kirtanam), il ricordo (smaranam), il servizio ai Suoi piedi di loto (pada-sevanam), l’adorazione delle Murti (arcanam), offrirgli preghiere (vandanam), il servizio (dasyam), considerarlo come proprio amico (sakhyam), e sottomettere tutto a Lui (atma-nivedanam).

Srimad-Bhagavatam 7.5.23

 

Questi vengono chiamati visuddha-vijnana-ghanah, vale a dire “modo di soddisfare il Signore attraverso una conoscenza realizzata che sia priva di elementi materiali”.

 

Stadio successivo: raga-bhakti

D:  Diciamo che riusciamo a concludere il periodo della pratica (sadhana-bhakti) e che otteniamo successo completo: dopo cosa accade?

 

R:  Torniamo a quella famosa lezione tenuta a Calcutta il 25 gennaio 1973. Prabhupada dice:

 

“Il periodo della pratica è chiamato sadhana-bhakti. All’inizio deve essere sadhana-bhakti; poi quando sviluppate attaccamento (spontaneo) per Krishna, questa fase è chiamata raga-bhakti… dobbiamo passare attraverso queste fasi una dopo l’altra, non imitare (chi ha già raggiunto stadi superiori). (prima) Sadhana-bhakti, poi raga-bhakti…”

 

Dopo aver praticato con costanza e serietà i principi del servizio devozionale, il candidato inizia a sviluppare le prime emozioni di attaccamento, che precedono l’amore spontaneo per Dio, chiamato raga-bhakti. Ma lasciamo parlare ancora Bhaktivedanta Svami Prabhupada.

 

“…Il Bhakti-rasamrta-sindhu (1.2.270) dice: il servizio devozionale corredato di attaccamento estatico per un servizio particolare (o specifico) che (poi) diventa naturale per il devoto, è chiamato raga, o attaccamento trascendentale.”

Teachings of Lord Caitanya, cap. 13

 

Qui troviamo una definizione chiara dello stadio di raga: quando il devoto ha compiuto un sensibile avanzamento spirituale, non avverte più l’attrazione per le cose della materia e prova gusto a praticare il servizio devozionale, diventa desideroso di servire Krishna e sente emozioni di estasi spirituale particolarmente forti. Questo servizio d’amore diviene così spontaneo che il devoto non si cura neanche più delle regole vediche.

 

“Il servizio devozionale con attaccamento può essere eseguito in due modi: esternamente e interiormente. Esternamente il devoto segue strettamente i principi regolatori, come il canto e l’ascolto di ogni cosa che riguarda Dio, mentre interiormente è rivolto (solo e soltanto) alla devozione che lo vincola a servire il Signore. Costui pensa sempre al suo servizio devozionale e all’attrazione che prova.”

Teachings of Lord Caitanya, cap. 13

 

In quella piattaforma di raga il Signore che siede nel nostro cuore, Paramatma, comincia a far sentire la sua voce,

Srimad-Bhagavatam 3.5.4

e l’aspirante alla liberazione la ode distintamente.

 

Stadio finale: prema-bhakti

D:  Qual è lo stadio che segue il servizio spontaneo?

 

R:  A questo punto è necessario dire che stiamo entrando in argomenti molto intimi, parecchio difficili da spiegare. I sentimenti d’amore sono sempre stati descritti dai poeti, ma tutti sanno che è impossibile comprenderli appieno fintanto che non se ne fa l’esperienza diretta. Non sono solo difficili da capire i lettori di queste pagine, ma anche da esporre per chi deve spiegarli quando non è ancora giunto a realizzazione completa. Diremo ciò che possiamo, riferendoci alle spiegazioni dei santi e dei maestri.

 

Torniamo al libro di Srila Prabhupada, Teachings of Lord Caitanya (Cap. 13).

 

“… Quando l’attaccamento per Krishna diventa molto profondo, si manifesta (nel cuore del praticante) la condizione chiamata amore per Dio. E’ questa per coloro che l’hanno raggiunta una condizione permanente. Nel Bhakti-rasamrta-sindhu (1.3.1) lo stato di innamoramento per Dio è comparato ai raggi che emanano dal sole; questi ultimi rendono il cuore del devoto sempre più bello, situato com’è in una posizione trascendentale…

 

“Coltivando con cura la nostra pianticina devozionale, riusciamo ad andare oltre l’attaccamento e giungiamo a uno stadio (di coscienza) chiamato bhava; è il momento preliminare dell’amore puro. A quel punto l’intimità con Dio comincia a manifestarsi e il cuore viene invaso da sensazioni di inenarrabile felicità. Allora di tutti i difetti nella pratica del servizio devozionale rimane solo un’ombra (e quindi diventa perfetto).

 

“Quando l’attaccamento diviene puro… è chiamato amore per Dio, il fine ultimo della vita umana…”

 

“In sanscrito questo stadio finale è chiamato prema, che può essere definito come amore per Dio “senza che ci si aspetti nulla in cambio (cioè privo di ogni senso di ego).”

 

Allorché cresce dentro di noi una tale qualità di sentimento, l’unica cosa che ci interessa è amare Dio.

 

Riprenderemo e approfondiremo questo punto in seguito. Per ora è necessario sapere che la devozione è stata analizzata da grandi santi ed eruditi, e numerosi sono stati i libri scritti a proposito, come ad esempio il Bhakti-rasamrta-sindhu di Rupa Gosvami. La bhakti non è una questione emotiva imprecisa e sentimentale, ma una scienza esatta, concepita in modo tale da non diventare terreno di conquista per i soliti sciacalli che intendano speculare sulle cose divine per trarne vantaggi personali.

 

I ciarlatani: prakrta-sahajiya

D:  Chi intende speculare sulla devozione? La storia Vaisnava registra casi di sfruttamento?

 

R:  Certamente sì. Uno degli esempi più eclatanti è il fenomeno chiamato “prakrta-sahajiya”, molto comune in oriente. All’infuori degli “addetti ai lavori” questo nome non dice granchè, però nella tradizione religiosa cristiana questa malattia spirituale è purtroppo diffusissima.

 

I prakrta-sahajiya sono quelle persone che mostrano grande piacere nell’ascolto dei discorsi filosofici, durante i quali sembrano rapiti in una estasi profonda e danno sintomi di grande comprensione dei principi che reggono la scienza della bhakti. Inoltre danno libero e pubblico sfogo ai loro sentimenti, proclamando che amano Dio come null’altro. Le loro manifestazioni di emozione cosiddette spirituali sono così violente da riuscire a fare presa sul pubblico sprovveduto, che di solito non sa riconoscere le vere caratteristiche di una persona avanzata nella coscienza spirituale. In realtà questi prakrta-sahajiya si fermano all’abc della conoscenza e non riescono né hanno alcuna intenzione di approfondire lo studio delle scritture; loro dicono che lo studio non va bene per la vita spirituale. Non servono Dio perché sostengono che l’Entità Suprema non è una persona specifica e quindi non è necessario servire nessuno. Costoro manifestano grossolani sentimenti di virtù senza sapere bene cosa sia realmente la virtù, ma in realtà il loro cuore è pieno di desideri materiali che intendono soddisfare celandosi dietro il paravento della spiritualità.

 

Si può ben comprendere come questi prakrta-sahajiya riescano ad attrarre a loro molta gente; tuttavia non riescono a guadagnare alcun vero beneficio spirituale, né per se stessi né per i loro ipocriti seguaci. Srila Prabhupada molto spesso ha sottolineato che i prakrta-sahajiya sono solo ciarlatani e un disturbo per la società.

 

In questa classe si riconoscono molti dei cosiddetti movimenti spirituali che proliferano ovunque. Secondo la tradizione Vaisnava, qualsiasi organizzazione che manchi di una solida base filosofica e si fondi solo sul sentimentalismo personale deve essere rigettato.

 

Una diversa prospettiva dei livelli di devozione

D:  Al di là di sadhana, raga e prema, ci sono descrizioni più particolareggiate degli stadi in cui ci si viene a trovare durante il cammino spirituale?

 

R:  Sì, abbiamo prospettive arricchite di maggiori particolari, che sono stadi progressivi e allo stesso tempo metodi per ottenerli. Questi nove gradi della devozione originalmente sono stati descritti da Srila Rupa Gosvami nel Bhakti-rasamrta-sindhu e in seguito riportati nella Bhagavad-gita da Srila Prabhupada.

4.10, commento

Sono:

 

  1. sraddha, fede
  2. sadhu-sanga, compagnia dei saggi
  3. bhajana-kriya, iniziazione
  4. anartha-nivrtti, liberazione dalle cose indesiderabili
  5. nistha, stabilità
  6. ruci, gusto
  7. asakti, attaccamento
  8. bhava, stadio preliminare di amore
  9. prema, amore per Dio

 

Questi stadi del progressivo avanzamento spirituale sono importanti da capire. Cominciamo dal primo.

 

Sraddha, la fede

D:  E’ un dato di fatto storico che tutte le religioni si fondano sulla fede, e che una qualsiasi realizzazione sia impossibile senza questo mezzo tanto opinabile. Ma cos’è sraddha? E’ lo stesso tipo di fede di cui parlano le scritture religiose occidentali?

 

R:  Sraddha è sicuramente qualcosa di diverso. Non è il sentimento che preclude l’esercizio della ragione, come s’intende nella religione cattolica.

 

D:  Cosa ne pensate della fede secondo l’idea cristiana?

 

R:  Nella consuetudine si è portati a considerare la fede come qualcosa di contrario alla ragione e alla scienza, cioè un sentimento che non ha bisogno di prove o di evidenze. Chi crede in Dio non necessita di ragioni per accettare: crede e basta.

 

Nella mia giovinezza mi fu persino detto dall’insegnante di religione che fare domande era contrario e dannoso e che a Dio non faceva piacere. Insomma, chi faceva domande era un peccatore. Ma per fortuna in seguito ho scoperto che le cose non stavano proprio così, che la nostra religione di stato non era così malandata. Nella tradizione cristiana la fede è “una delle tre virtù teologali, mediante la quale si aderisce con l’intelligenza, aiutata dalla grazia, ad una verità rivelata non per la sua intrinseca evidenza, ma per l’autorità di Dio rivelatore”.

Dizionario Garzanti

In altre parole, mediante l’intelligenza si arriva a capire che è necessario avere fede, e da quel punto in poi diventa doveroso credere anche senza avere “intrinseche evidenze”, ma sulla base di un “Dio rivelatore”.

 

Sicuramente parlare di fede ai tempi moderni è difficile. Il metodo scientifico razionale sembra a tutti il migliore, ma se ci si pensa bene neanche quest’ultimo è esente da un difetto comune: né la fede cieca né il procedimento empirico possono, infatti, dare conoscenza perfetta perché ambedue sono di “origine umana” e dunque soggetti all’errore.

 

Siamo onesti: il metodo osservativo-scientifico non ci mette affatto al sicuro: anche lì siamo costretti, in ultima analisi, ad “avere fede” in qualcosa, nella fattispecie nei sensi e nella ragione. E le conclusioni che trarremo sono altrettanto limitate e soggette all’errore. E’ un dato di fatto che diamo per scontato l’esistenza di cose che vanno al di là della percezione dei nostri sensi. Prendiamo come punto di riferimento il passato: quanti di noi credono che sono veramente esistiti, ad esempio, il Cristo e il cristianesimo solo in base a ciò che viene tramandato dalle scritture? Non ci sono, infatti, prove che possano essere ritenute indubitabili. Tra quelle che leggiamo nei libri di storia, sono innumerevoli le cose che dobbiamo accettare senza avere la minima prova della loro veridicità.

 

Non è sbagliato avere fede; piuttosto diciamo che dipende da diversi fattori. Ce ne sono di differenti tipi: una è la fede ragionevole, che esercitiamo quando è più sensato accettare che rigettare. Se uno va a New York e vede la grandezza della città, sebbene non sia stato diretto testimone della sua costruzione non avrà problemi a comprendere che ci sono voluti molti architetti e manovali. E’ fede anche quella, ma fondata sulla ragione.

 

Vediamo poi un altro genere di fede. Mettiamo che un aborigeno delle foreste amazzoniche arrivi a New York e veda la città: non potrà credere che sia stata fatta dagli uomini, ma crederà che ci sia voluto l’intervento di qualche potente Dio oppure che sia sempre esistita, come le montagne del suo ambiente naturale. In questo caso la sua fede sarà irragionevole, priva cioè di fondamento razionale. Ciò che vogliamo dire è che “fede” e “ragione” non sono due concetti in perenne contrasto, ma possono coesistere in armonia. Quanto è più facile, infatti, avere fede in qualcosa che si conosce!

 

L’analisi etimologica del termine ci conforta: secondo alcuni, il termine fede deriva dal greco peith, che significa persuadersi, convincersi; secondo altri risale dal sanscrito budh-yate, che significa osservare, conoscere, sapere. Dunque, accettare qualcosa sì, ma non senza averlo prima conosciuto. Nella Bhagavad-gita Krishna non dice ad Arjuna di credere in Lui, non gli dice di chiudere gli occhi e l’intelligenza e di accettarLo come Persona Divina, ma gli spiega i principi fondamentali della scienza spirituale. Nel cammino della bhakti quel tipo di fede, quella irrazionale, non riveste un ruolo importante. Chi riesce a credere senza sentire il bisogno di capire potrebbe sembrare facilitato, ma poi si accorgerà che senza una solida comprensione quel sentimento può vacillare e crollare facilmente. In realtà chi approfondisce la filosofia è avvantaggiato.

 

Ma Prabhupada ci offre un’altra interpretazione del termine sraddha, che non è fede. Dice:

 

“all’inizio si deve avere un desiderio preliminare per la realizzazione del sé…”

Bhagavad-gita 4.10 commento

 

Per sraddha egli intende dunque accettare l’esistenza di Dio grazie all’ausilio della ragione, ma anche desiderio preliminare per la realizzazione.

 

D:  All’inizio cosa spinge una persona a rivolgersi a Dio?

 

R:  Allo stadio neofita le ragioni del desiderio non possono essere perfettamente spirituali, in quanto la natura originale è coperta. Possono esserci diverse motivazioni.

 

D:  E quali sono? Che tipo di persone si avvicinano alla trascendenza? E quali invece la rifiutano?

 

R:  La Bhagavad-gita dice che ci sono due tipi di persone: quelle che non nutrono interesse per la trascendenza e quelle che invece si avvicinano e la studiano.

 

Quattro sono i tipi di persone che rifiutano la trascendenza, e sono: i mudha, i naradhama, i mayayapahrta-jnanah e gli asuram bhavam asritah.

Bhagavad-gita 7.15

 

D:  Vediamoli uno per uno.

 

R:  I mudha sono gli sciocchi, gli stupidi, coloro che sono paragonabili agli asini da soma. L’unico interesse che nutrono è godere dei frutti del loro duro lavoro. Nient’altro. Faticano giorno e notte solo per mangiare e fare un po’ di sesso.

 

Il termine naradhama significa “il più basso dell’umanità”. Come ho già avuto modo di dire, ci sono 400.000 specie umane al mondo e qualcuna è civilizzata, altre no. Quelle popolazioni materialmente sviluppate ma prive di principi religiosi devono essere considerate naradhama. I mayayapahrta-jnanah sono gli intellettuali che credono di avere una grande cultura e conoscenza delle cose, ma in realtà sono succubi dell’influenza di maya. Famosi scienziati, filosofi, politici, poeti, letterati, che sanno tante cose ma ignorano la prima, la più importante di tutte, che esiste, cioè, un Dio e si deve tornare a una piena coscienza della sua esistenza, sono in realtà ignoranti. I mayayapahrta-jnanah devono essere evitati perché estremamente pericolosi. Infine gli asuram bhavam asritah (coloro la cui natura è apertamente demoniaca) sono atei dichiarati, nemici di Dio che non sopportano neanche di sentirne parlare.

 

E’ difficile che queste persone possano accostarsi a discorsi o a problematiche che trattano della trascendenza se non per tentare di confutarne la realtà.

 

D:  E per quanto riguarda coloro che invece desiderano avvicinarsi alla spiritualità?

 

R:  Possono essere suddivisi in quattro ulteriori classificazioni, che sono: gli arta, i jijnasu, gli artha-arthi e i jnani.

Bhagavad-gita 7.16

 

Gli arta sono coloro che soffrono e per questo sono stanchi dell’esistenza materiale. Per intensa frustrazione, si rivolgono a Krishna per ottenere sollievo dalle loro pene. I jijnasu sono i curiosi, quelli che vogliono conoscere. Non per un desiderio sincero di amare e servire Dio, ma perché hanno sete di conoscenza. Gli artha-arthi sono coloro che a Dio chiedono ricchezza e di realizzarsi in questo mondo, ben consapevoli che le attività spirituali talvolta possono essere straordinariamente remunerative. I jnani ambiscono invece alla conoscenza dell’Assoluto, spesso con l’ambizione nascosta di diventare tutt’uno con esso.

 

Tra questi, nessuno all’inizio ha un vero e sincero desiderio di amare Dio, ma nel corso del tempo e a contatto con una sorgente di energia spirituale, la purificazione diviene possibile e l’elemento che contamina il desiderio svanisce e si purifica. Tutti possono diventare puri devoti del Signore.

 

Chi si avvicina a Dio lo fa per sraddha, desiderio preliminare della realizzazione del sé. Come abbiamo visto, possono essere diverse le ragioni per cui ci si accosta alla trascendenza, ma il punto in questione è che se si è abbastanza fortunati a trovare la sorgente giusta di informazioni spirituali, gli elementi di disturbo che ci allontanano dalla pura coscienza gradualmente si purificano, proprio come accade al gelido acciaio quando rimane a lungo contatto con il fuoco.

 

La spiegazione vedica per sraddha dunque è la spinta iniziale per avviarsi nel cammino. La fede, quella che generalmente intendiamo in Occidente, è solo una conseguenza e non un elemento pregiudiziale. Man mano che lo yogi va avanti nella strada sente la fede aumentare, in proporzione alla crescita della propria conoscenza e realizzazione. Proprio come una reazione a catena: più si conosce, più si ha fede; e più si ha fede, più la serietà e l’entusiasmo di perfezionare le pratiche devozionali aumenta.

 

Sadhu-sanga, la compagnia dei saggi

D:  Parliamo ora del secondo stadio, quello chiamato sadhu-sanga.

 

R:  Appena l’anima manifesta il seppur minimo desiderio sincero, Krishna, Paramatma, ci accorda l’opportunità unica di avere sadhu-sanga, la compagnia dei devoti, che sono quelle persone avanzate nella coscienza e nella conoscenza spirituale. Nella Bhagavad-gita Prabhupada dice:

 

“… ciò (sraddha, i primi sinceri aneliti di conoscenza) porterà al punto di cercare di associarsi con persone che sono spiritualmente avanzate…”

 

Ricevute tali benedizioni, possiamo incontrare i devoti, i Vaisnava, che ci istruiscono nei principi fondamentali della trascendenza.

 

Uno di loro sarà il guru, il nostro maestro spirituale,

 

D:  Che differenza intercorre tra i Vaisnava e il guru?

 

R:  Il Vaisnava è un devoto, uno spiritualista e può dare istruzioni. Il guru è il maestro spirituale ufficiale, quello che abbiamo accettato come guida personale eterna. Naturalmente il guru deve essere un devoto: è la sua prima qualifica. In caso contrario non lo si deve accettare come maestro.

 

Esistono diversi tipi di maestri, tra cui lo siksa-guru e il diksa-guru. Il primo (lo siksa-guru) è un insegnante che può offrire preziosi suggerimenti e linee di condotta da seguire per un corretto svolgimento delle attività devozionali. Non ci sono limiti a quanti ne possiamo avere: chiunque conosca la scienza della bhakti può esercitare il diritto-dovere all’insegnamento. Invece il secondo (il diksa-guru) è il maestro spirituale che conferisce diksa, l’iniziazione. Come vedremo fra poco, l’iniziazione spirituale è uno dei momenti cruciali nella vita di un aspirante alla liberazione: è realmente “l’inizio” di una nuova vita, una rinascita. Non si può avere più di un diksa-guru. Se non in casi assolutamente straordinari, infatti, non si può prendere due volte la stessa iniziazione.

 

L’incontro tra l’anima dispersa e una grande anima è veramente di fondamentale importanza. Non si può avanzare nella vita spirituale se non si ha la fortuna di incontrare un puro devoto.

 

“A meno che la società umana non accetti la polvere dei piedi di loto di un mahatma – che è uno di quei devoti che nulla più hanno a che spartire con le proprietà materiali – nessuno può volgere la propria attenzione in direzione dei piedi di loto di Krishna…”

Srimad-Bhagavatam 7.5.32

 

“Il verdetto di tutte le scritture rivelate è che grazie a un solo momento di associazione con un puro devoto si può ottenere il massimo successo.”

Caitanya-Caritamrta Madhya 22.54

 

“Per la misericordia del maestro spirituale le persone ricevono la benedizione di Krishna; e senza la sua grazia, nessun avanzamento è possibile…”

Sri-Sri-gurv-astaka, di Srila Visva­nath Cakravarti Thakur

 

I testi vedici su questo punto sono chiarissimi: non si può progredire se non si accetta un maestro spirituale autentico.

 

“Cerca di imparare la verità avvicinando un maestro spirituale. Ponigli domande con sottomissione e rendigli servizi. L’anima realizzata nel sé ti può impartire la conoscenza perché ha visto la verità.”

Bhagavad-gita 4.34

 

Nel commento a quest’ultimo verso, Prabhupada scrive:

 

“Il sentiero della realizzazione spirituale è indubbiamente difficile da percorrere. Perciò il Signore ci consiglia di trovare un maestro spirituale autorevole in una linea di successione che provenga dal Signore stesso…”

Post view 340 times

Share/Cuota/Condividi:

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *