Maha-bharata in Italiano, edizione 2022 – (Adi Parva) Parte 7

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La notizia del torneo
Dopo quegli avvenimenti i Pandava rimasero graditi ospiti nella casa del Brahmana.
Erano passati alcuni mesi, quando un giorno un pellegrino che si trovava di passaggio nel paese, rimase a pranzo presso di loro: in quella occasione gli fu chiesto cosa stesse accadendo di importante in giro. Questi non si fece pregare e cominciò a raccontare di un importante svayamvara che stava per avere luogo nella capitale del regno di Panchala.
“Non so se siete a conoscenza della storia del Re Drupada,” disse, ignaro della vera identità dei suoi interlocutori, “e dell’odio che nutre per Drona. Dopo essere stato duramente umiliato, egli ha vagato nelle foreste per molti anni, rivolgendosi a numerosi asceti; voleva dedicarsi alle pratiche dello yoga e della rinunzia per acquisire il potere di compiere grandi sacrifici. Sapeva bene che il solo valore militare non avrebbe mai potuto fargli ottenere la vendetta su Drona il quale, grazie a Parasurama, è diventato praticamente invincibile. Drupada voleva guadagnarsi il potere brahmanico, che sgorga dalle pratiche della rinuncia. Dopo tanto tempo e innumerevoli austerità, Drupada è riuscito a celebrare un sacrificio del fuoco in collaborazione con dei monaci molto potenti, e grazie a loro ha avuto due figli, un maschio e una femmina, nati direttamente dal fuoco del sacrificio: Dhristadyumna e la seconda, la meravigliosa Draupadi. Sono personaggi celestiali discesi su questo mondo con una precisa missione: Dhristadyumna con lo scopo di uccidere Drona, e Draupadi con quello di causare indirettamente la morte di milioni di guerrieri.
“Da allora Drupada ha ritrovato la serenità, perché sa che per la sua vendetta deve soltanto aspettare. Quei due figli hanno sempre arrecato al Re grandi soddisfazioni. Ora per Draupadi è arrivato il momento di sposarsi, però il Re vuole darla solo a una persona che sia in possesso di qualità realmente straordinarie. Per questo ha indetto uno svayamvara, un torneo, e chi ne riuscirà vittorioso potrà sposare la fanciulla.”
Ci fu un momento di silenzio; poi il viandante continuò.
“Ma tutti dicono che esso sia costituito da una prova così difficile che solo Arjuna avrebbe potuto superarla, per cui dopo la sua morte sembra che praticamente nessuno potrà farcela.”
L’ospite poi parlò di Draupadi, descrivendola con toni talmente ammirati che i Pandava provarono una così forte attrazione per una simile bellezza che desiderarono andare a vederla.
La sera stessa ne parlarono con Kunti, la quale convenne che la cosa migliore sarebbe stata andare a Kampilya. Dicevano che erano solo curiosi di ammirare Draupadi, ma era chiaro che tutti speravano di averla in moglie.

Fu un viaggio che durò qualche giorno, non privo di avventure e situazioni particolari.
Una notte Arjuna si imbatté nel Gandharva Citraratha, con il quale ebbe dapprima un acceso alterco, e poi uno scontro armato. Il valoroso figlio di Pandu ebbe la meglio sull’abitante dei pianeti celesti ma, nonostante il duello, i due diventarono grandi amici. Fu Citraratha, in quell’occasione, che suggerì loro di accettare un maestro spirituale prima di arrivare a Kampilya.
In quei paraggi viveva il celebre Rishi Dhaumya, e i Pandava furono felici di ottenere l’iniziazione spirituale da quel grande saggio che, a sua volta, decise di seguirli durante i loro spostamenti.

Lo svayamvara di Draupadi
Dopo alcuni giorni i Pandava arrivarono a Kampilya, la stupenda capitale del regno di Panchala.
Dopo aver trovato ospitalità nella casa di un vasaio, i cinque fratelli cominciarono a vagare per la città, che trovarono pervasa da un’atmosfera di festività quasi frenetica, con fiumane di persone che arrivavano e le strade erano continuamente percorse, tanto che durante il giorno e la notte non erano vuote un solo istante. Da tutta Bharata-varsha arrivava in continuazione gente di ogni tipo. Rallegrata da festoni e bandiere, con gli ampi viali continuamente cosparsi di acqua di rose, pulita e opulenta come non mai, Kampilya sembrava davvero una città celeste. I Pandava, irriconoscibili nel loro travestimento, ad un certo punto si accostarono a uno dei numerosi gruppetti di persone che confabulavano per la strada per ascoltare quello che dicevano.
“Pensate che il nostro Re,” sosteneva uno di loro, “ha fatto costruire un arco così pesante che in pochi riuscirebbero persino solo a sollevarlo, e così rigido che pochissimi potrebbero tenderlo. Che dire poi di porvi una freccia e farla partire! Inoltre nel suo anfiteatro appena costruito, è stata appesa a una volta una forma simile a un pesce con una ruota che le gira davanti in continuazione e che ha un solo orifizio dal quale si può individuare il bersaglio. E l’arciere dovrà colpire esattamente l’occhio del pesce. Ma non è tutto qui. Pensate che l’arciere non potrà neanche guardare direttamente in alto, ma dovrà mirare guardando il riflesso in una vasca di acqua mossa.”
“E’ una prova praticamente impossibile per chiunque,” diceva qualcuno.
“Forse Karna ce la potrebbe fare,” ribatteva qualche altro.
“Forse, ma potete essere sicuri che Draupadi non accetterebbe mai di sposare un uomo di casta inferiore. Piuttosto si getterebbe nelle fiamme.”
“Eh, Arjuna sicuramente ce l’avrebbe fatta, ma purtroppo è caduto vittima delle losche trame del malvagio figlio di Dhritarastra.”
“Il vile Duryodhana…”
“Sapete, in segreto il Re ha sempre desiderato dare sua figlia ad Arjuna, che ha ammirato quando tempo fa lo ha affrontato sul campo di battaglia…”

Nei giorni che seguirono i Pandava continuarono a visitare la stupenda e ricca capitale, e trascorrevano il tempo mendicando e studiando le scritture.
Poi giunse l’agognato giorno del torneo.
Arjuna si alzò di buon’ora e dopo aver svolto le sue pratiche spirituali mattutine, accompagnato da Bhima, uscì di casa e si diresse verso il gigantesco anfiteatro dove si sarebbe celebrato lo svayamvara. Già gremito di centinaia di migliaia di persone vocianti sugli spalti, questo costituiva una cornice davvero impressionante al torneo. I due fratelli si guardarono attorno e poterono constatare con meraviglia che erano affluiti a Kampilya quasi tutti i Re e i principi della terra. Nelle tribune riservate ai monarchi riconobbero i figli di Dhritarastra con a capo Duryodhana, poi Karna, Salya, e migliaia di altri.
Ma quando Arjuna volse lo sguardo in direzione del settore riservato ai Vrishni, notò una figura stupenda e ornata da ghirlande e gioielli di vario tipo; non lo aveva ancora incontrato, ma Drona gliene aveva parlato così tanto che non poté non riconoscere Krishna e suo fratello Balarama, accompagnati da amici e familiari. Guardò a lungo quel personaggio divino, colui che tutti dicevano fosse un’incarnazione della Suprema Personalità di Dio.
Bhima, invece, avendo scorto Duryodhana nel settore riservato ai Kurava, si sentì ribollire di un’ira insostenibile che solo a fatica riuscì a trattenere.
Poi si fece silenzio: fu annunciata la principessa Draupadi che nata dal fuoco sacrificale per volere dei Deva entrò, brillante come un sole. Tutti rimasero senza fiato, colpiti e in piena ammirazione per quella bellezza straordinaria; sulla terra mai si era vista una donna così incantevole e aggraziata. Camminando con portamento che rivelava grande modestia, Draupadi si sedette a fianco del padre. E, come tutti gli altri, in cuor suo Arjuna non desiderò altro che di averla come sposa.
Prima Drupada e poi il figlio Dhristadyumna fecero un breve discorso, spiegando le regole della gara; poi fu introdotto l’arco e la ruota che disturbava il passaggio delle frecce fu messa in moto.
A turno potenti Re, generali di eserciti e celebri guerrieri si susseguirono l’uno dopo l’altro nel tentativo di colpire il bersaglio: Duryodhana e i suoi cento fratelli, Sakuni, Asvatthama, Bhoja, Virata e i suoi figli, Bhagadatta, Salya, Somadatta, Jayadratha, Jarasandha e centinaia di altri tentarono di colpire il bersaglio, ma tutti fallirono. Furenti e umiliati, tornarono a sedere, guardando con rimpianto la meravigliosa principessa che aveva irrimediabilmente rubato i loro cuori.
Ad un certo punto ogni rumore cessò e uno strano silenzio, quasi di paura, invase gli spalti: alzatosi dal suo seggio d’oro, Karna, con la sua figura alta e imponente, si faceva avanti con incedere regale. Creduto morto Arjuna, tutti pensavano che egli fosse l’unico arciere al mondo capace di colpire il bersaglio.
Il figlio di Surya impugnò l’enorme arco, lo sollevò senza alcuno sforzo apparente e vi fissò una freccia: poi con la stessa facilità tirò la corda verso di sé. Drupada sentì un tuffo al cuore, aveva paura che Karna riuscisse nell’impresa; non voleva che sua figlia andasse in sposa a lui, in quanto, nel suo intimo, sperava che fossero fondate certe voci di strada che circolavano ultimamente, le quali volevano ancora vivi i figli di Pandu. E anche Draupadi avrebbe voluto sposare Arjuna, del quale aveva tanto sentito parlare come di un uomo favoloso e guerriero invincibile.
D’un tratto si udì echeggiare nell’anfiteatro la voce della principessa, forte e decisa.
“Tutti possono provare a colpire il bersaglio,” proclamò, “ma in quanto a sposare il vincitore voglio che si sappia che non accetterò mai un marito appartenente alla classe dei suta.”
Karna rimase esterrefatto. Ancora quella maledizione che lo perseguitava! Ancora lo chiamavano figlio di auriga! A quelle parole, dette con lo scopo di scoraggiare Karna, un forte mormorio si levò dalle gradinate e lui, umiliato e deconcentrato, scagliò la freccia con precipitazione, mancando il bersaglio solo per pochi millimetri. Allora, furibondo, gettò l’arco in terra e tornò a sedersi, con il viso sconvolto dalla rabbia. Nel vedere fallire l’arciere migliore del mondo, qualcuno dei monarchi presenti cominciò a innervosirsi.
“Drupada, non capiamo cosa tu abbia avuto in mente mettendoci di fronte a una prova impossibile. Hai visto? Persino Karna non ce l’ha fatta, anche se bisogna ammettere che le parole taglienti di tua figlia lo hanno disturbato. Sembra quasi che tu non voglia darla a nessuno. E se ciò è vero, perché ci hai fatto venire qui?”
“Forse tu volevi solo umiliarci e divertirti alle nostre spalle vedendoci fallire,” disse un altro con cipiglio furioso.
“Se così è, meriti sicuramente una punizione.”
“Pagherai la tua impudenza con la vita,” gridarono altri.
Il nervosismo cresceva sempre di più, tanto che il settore riservato ai Re si agitava come un mare in tempesta e si udivano proferire parole furibonde. La piega che la situazione aveva preso fece temere il peggio a Drupada. Qualcuno già metteva mano alle armi.
Ma d’un tratto una voce proveniente dal palco riservato ai Brahmana si levò così forte che tutti tacquero; era Arjuna, che chiedeva il permesso di parlare.
“Le leggi che osserviamo da millenni non vietano alle classi superiori di provare a cimentarsi anche in dimostrazioni che non sono pertinenti ai propri ruoli,” affermò lui. “Dunque chiedo il permesso di provare anch’io a colpire il bersaglio.”
Drupada osservò quello strano Brahmana: per appartenere a una classe per la quale lo studio delle scritture e la pratica delle austerità e delle penitenze sono le regole fondamentali, si presentava singolarmente robusto e il suo portamento era fiero e nobile: qualità queste che normalmente si riscontrano negli Kshatriya. Le parole pronunciate da Arjuna erano giuste: nessuna legge impediva ai Brahmana di cimentarsi in prove di destrezza militare.
“Sei libero di provare, se lo desideri,” rispose Maharaja Drupada.
Quando Arjuna scese gli scalini, gli Kshatriya presenti bisbigliavano tra loro, irritati: come poteva un debole Brahmana riuscire dove i guerrieri più possenti del mondo avevano fallito? Ma quando lo videro afferrare con sicurezza e senza nessuno sforzo l’arco e porvi una freccia, i rumori cessarono d’un colpo, tanto che sembrava che tutti stessero trattenendo il respiro. La freccia partì e, saettando nell’aria, andò a colpire in pieno il bersaglio. E non contento, con una velocità impressionante, il figlio di Indra spedì ben altre sette frecce nello stesso punto, dividendo a metà quella scagliata precedentemente.
Draupadi era stata vinta.
Dopo un momento di silenzio incredulo, dagli spalti si levarono clamori di stupore e indignazione. Guardandosi attorno, Bhima capì che la situazione si stava scaldando, così si preparò all’azione.
Draupadi, intanto, guardava quel giovane Brahmana tanto forte e abile e qualcosa le suggeriva che quello poteva essere Arjuna, e che i suoi sogni potevano essersi avverati. Si alzò, scese nell’arena e gli pose la ghirlanda al collo: era il segno che lo aveva accettato come marito.
A quel punto i mormorii si fecero altissimi: quel gesto aveva scatenato il nervosismo fin troppo represso di tutti. Salya, Somadatta, Jayadratha e mille altri, sentendosi feriti nel loro orgoglio di guerrieri, inveirono violentemente contro il Brahmana, e contro Drupada, che gli aveva permesso di tentare. A decine si alzarono dai seggi e, con le armi in pugno, si riversarono nell’arena come un fiume in piena, vogliosi di combattere. Arjuna e Bhima proteggevano il Re e, scontrandosi con i monarchi infuriati, ingaggiavano spettacolari duelli contro Duryodhana e Salya, e Karna e tutti gli altri.
Trascendentale alle passioni del mondo, libero dalla schiavitù del desiderio e della collera, con gli occhi tanto simili ai petali del fiore di loto, Krishna osservava la scena. Sembrava quasi divertito, e sorrideva: sapeva bene chi fossero quei Brahmana in realtà.
La situazione degenerò e gli Kshatriya presero a combattersi tra di loro, rispolverando vecchi rancori, rendendo generale la confusione.
Approfittando del momento in cui sembrava che la conquista di Draupadi fosse diventata una questione secondaria, i due Pandava, presa l’avvenente donna con loro, uscirono precipitosamente dall’arena e si diressero verso la casa dove erano ospiti.
Arrivati sulla soglia di casa, allegri per la vittoria ottenuta, chiamarono la madre e dissero in tono scherzoso:
“Madre, abbiamo portato un dono!”
“Qualsiasi cosa sia,” rispose Kunti dall’interno, “il vostro solenne impegno deve essere di dividerlo in cinque.”
A quei tempi la veridicità di parola era uno dei principi fondamentali e uno dei valori a cui si dava maggiore importanza; in quel modo si imparava a controllare la lingua. Perciò, sebbene Kunti non fosse a conoscenza del dono che i figli avevano portato, questi ultimi avrebbero dovuto dividere Draupadi tra loro.
I Pandava erano costernati: come potevano fare?
Ne discussero a lungo, e l’unica soluzione sembrava quella di sposarla tutti e cinque; ma era giusto? Rispondeva alle leggi della moralità e del Signore Supremo? Decisero di fare in quel modo; ma il dubbio rimaneva. Comunque quando Draupadi seppe che i suoi cinque mariti sarebbero stati i Pandava provò una gioia immensa. Il suo desiderio era stato esaudito.

L’incontro dei Pandava con Krishna
Sicuri che quei valorosi guerrieri non potevano essere altri che i Pandava, Krishna e Balarama li avevano seguiti ed erano arrivati alla casa del vasaio proprio nel momento in cui i fratelli stavano ancora discutendo del problema del loro matrimonio.
I due entrarono e dissero:
“Siamo Krishna e Balarama, vostri cugini…”
I cinque fratelli per un attimo li guardarono smarriti, poi si alzarono e li abbracciarono con grande trasporto.
Si ricorderà che Kunti era la figlia di Sura e aveva un fratello di nome Vasudeva, il padre di Krishna e Balarama. Kunti rispose con gioia agli slanci dei nipoti e chiese loro notizie del padre. Si sedettero e parlarono per tutto il giorno. In special modo tra Krishna e Arjuna nacque subito un’amicizia molto solida.
Ma i due fratelli trascendentali non erano stati i soli a capire che quei due Brahmana non potevano essere ciò che sembravano. Infatti anche Drupada e Dhristadyumna decisero di indagare. E non vi sono parole per descrivere la loro felicità quando scoprirono chi veramente era quel Brahmana che aveva centrato il bersaglio e aveva sconfitto Karna in duello! Tuttavia tali sentimenti di esultanza si raggelarono e lasciarono il posto allo stupore e allo sdegno non appena costoro seppero che Draupadi avrebbe sposato tutti e cinque i fratelli. A quei tempi era normale che un uomo prendesse più mogli, ma non lo era altrettanto per una donna unirsi a più mariti; dunque la forte perplessità mostrata da Drupada nell’accettare la cosa era più che giustificata .
Allo scopo di discutere dell’intricata questione che coinvolgeva numerose problematiche etiche e religiose, il giorno dopo i Pandava si recarono a corte. Tuttavia la situazione si risolse più facilmente del previsto grazie all’arrivo di Vyasa, il quale raccontò episodi della vita precedente dei Pandava e di Draupadi. Alla fine del racconto il monarca di Panchala acconsentì alle insolite nozze, che furono celebrate pochi giorni dopo.
Ora i Pandava erano usciti dalla situazione di pericolo, non avevano più bisogno di nascondersi; avevano validi alleati, come Drupada e i suoi figli, Krishna e tutti i Vrishni. Con amici di questo calibro potevano tranquillamente mirare a riprendersi il regno che spettava loro di diritto.

L’apparente riconciliazione
La notizia che i figli di Pandu erano vivi e che il Brahmana che aveva vinto Draupadi altri non era che Arjuna si diffuse velocemente.
Ad Hastinapura ci furono momenti di autentico panico; Duryodhana, terrorizzato, cominciò subito a fare piani per annientarli, ma questa volta Vidura, Bhishma e Drona non solo lo smascherarono pubblicamente insieme ai suoi amici, ma riuscirono anche a portare solidi argomenti per convincere Dhritarastra a fare la pace con coloro che, in fin dei conti, erano i figli di suo fratello minore che egli aveva tanto amato.
Tuttavia Duryodhana fu molto chiaro nello specificare che fra loro non avrebbe mai potuto esserci un rapporto di fratellanza o di amicizia. Dunque il problema era di accontentare entrambi. Non era facile.
Dhritarastra allora indisse un consiglio generale per tentare di trovare una soluzione alla crisi che sarebbe potuto diventare gravissima. Tutti i personaggi più importanti e rispettati della corte Kurava vi parteciparono ed esposero le loro opinioni.
Duryodhana diede inizio al simposio sostenendo:
“I Pandava sono i nostri nemici, lo sono sempre stati. E ora che hanno trovato alleati come i Vrishni e i Panchala si scateneranno contro di noi e tenteranno di distruggerci. Noi dobbiamo capire che costituiscono una continua minaccia, per cui dobbiamo utilizzare tutte le armi a nostra disposizione al fine di renderli più deboli. Io propongo di corrompere i loro alleati e tentare di seminare dissensi fra i Pandava stessi; solo così li avremo in pugno.”
Karna disse:
“Io sono d’accordo con Duryodhana quando dice che i Pandava sono i nostri nemici giurati e che vanno combattuti; tuttavia non convengo con i metodi che egli suggerisce. Un guerriero veramente valoroso non ha bisogno di corruzione né di seminare dissensi tra i suoi nemici, anche perché noi siamo militarmente più forti. Dunque comportiamoci da valorosi, scendiamo sul campo di battaglia e distruggiamoli. Solo così nei secoli futuri il nostro nome non sarà macchiato dall’infamia.”
Bhishma, Vidura e Drona dissero:
“Sbagliate quando sostenete che i figli di Pandu sono nostri nemici; essi fanno parte della nostra stessa famiglia. E’ vero che essi sanno che più di una volta avete attentato alle loro vite, ma è anche vero che sono molto virtuosi; e se noi cominceremo ad agire secondo giustizia, pur di non versare sangue fraterno sono disposti a dimenticare i torti subiti. Dobbiamo fare pace, e restituire ciò che spetta loro di diritto.”
Asvatthama disse:
“I Pandava sono tra i miei amici più cari, e quindi non condivido le intenzioni bellicose di Duryodhana e di Karna. Non dimentichiamo la lealtà e la giustizia, i valori sui quali si poggia la nostra vita. Non scendiamo al livello più basso; ricordiamoci dei principi della verità.”
E così come Bhishma, Drona, Vidura e Asvatthama, tutti i monarchi e i saggi giusti e virtuosi si pronunciarono contro i vili propositi del malvagio principe. E Duryodhana capì di essere sorretto solo da Karna, da Sakuni e dai suoi fratelli; in realtà neanche questi ultimi erano veramente d’accordo, davano ragione a lui solo perché gli erano affezionati. Duryodhana era isolato.
“Non importa cosa si deciderà qui,” disse a voce bassa a Karna. “In caso di guerra tutti saranno costretti a combattere per me, anche se a loro non farà piacere.”
Alla fine Dhritarastra convenne:
“Avendo ascoltato tutti voi, io credo che la pace con i Pandava sia la migliore e la più giusta delle soluzioni. Vidura stesso andrà a Panchala per parlare ai nostri nipoti e per invitarli qui, ad Hastinapura, per avere un colloquio chiarificatore.”
Duryodhana non replicò: aveva realizzato che in quel momento gli sarebbe convenuto maggiormente nascondere le proprie intenzioni bellicose; anche se fosse stato costretto a una tregua, pensò che in tempo di pace avrebbe potuto trovare meglio la maniera di distruggerli senza correre rischi.

Vidura partì il giorno stesso e fu ricevuto da tutti con grande affettuosità e rispetto. Appena arrivato aveva trovato gli eserciti Vrishni e Panchala in stato di allarme, pronti a cominciare una guerra nel giro di pochi giorni. Anche Krishna era lì, con tutti i suoi familiari.
“Ho un messaggio da parte di vostro zio Dhritarastra,” disse il saggio Vidura dopo i saluti. “Dice:
“Sono contento che siete ancora vivi, ma ho saputo che covate desideri di vendetta, tanto che addirittura volete combattere contro di noi. Sono stupito: come possono uomini retti come voi giungere a simili propositi? Venite ad Hastinapura e cerchiamo di risolvere i problemi che sono sorti tra voi e mio figlio Duryodhana.”
Quel messaggio irritò i Pandava: lo zio parlava di pace ora, ma non aveva mai fatto niente per impedire al figlio di attentare alle loro vite, né per frenare il suo odio. E ora che avevano ottenuto degli alleati forti parlava di pace, auspicava una soluzione pacifica. Ciò nonostante Yudhisthira non voleva inutili spargimenti di sangue, per cui decise di accettare l’invito.

Pochi giorni dopo i Pandava partirono alla volta di Hastinapura.
Nell’antica città capitale dei Kuru vennero ricevuti con tutti gli onori e con grande affetto. Soprattutto, i Pandava apprezzarono le manifestazioni di simpatia da parte dei cittadini che ancora li amavano incondizionatamente e non avevano mai accettato i sentimenti e le vili strategie di Duryodhana.

La divisione del regno
Quando però Dhritarastra introdusse con modi paterni il suo discorso di benvenuto, Yudhisthira non poté fare a meno di scorgervi espressioni false. Tuttavia egli rispose senza astio, nascondendo la sua preoccupazione circa le proposte che in seguito lo zio avrebbe avanzato; per lui la cosa più importante era di porre fine a una contesa che oramai durava da troppo tempo, per cui in quel momento avrebbe accettato qualsiasi cosa a patto che lui e suoi fratelli non fossero esclusi dai loro diritti di nascita.
L’orazione di Dhritarastra fu lunga e piena di parole cortesi, finché non si arrivò al punto cruciale della questione: il possesso dei territori.
“Tu, Yudhisthira, sei il più anziano dei figli miei e di Pandu, e dunque ti spetterebbe di diritto l’intero territorio che è sempre stato dei nostri avi. Ma come desiderate governare voi fratelli, anche Duryodhana lo vuole e non sono riuscito a trovare argomenti validi per convincerlo diversamente. D’altra parte lui ha paura che voi vogliate privarlo di questa prospettiva tanto che questo sentimento nel corso degli anni si è tramutato in astio. Io credo sia saggio accontentare tutti dividendo il regno, cosicché da una parte regnerete voi, e dall’altra Duryodhana. Questa è la mia proposta; meditateci sopra e poi ditemi cosa ne pensate.”
Accettare tale suggerimento avrebbe significato per Yudhisthira privarsi di parte del suo impero, ma egli fu entusiasta dell’idea. Tutti gli uomini giusti presenti all’assemblea applaudirono.
“Noi accettiamo la tua proposta come se fosse un ordine proveniente dal nostro stesso padre,” disse Yudhisthira. “L’unica cosa che desideriamo è di espletare in pace i nostri naturali doveri di regnanti. Se la divisione del regno può assicurare ciò ed evitare un conflitto armato, noi siamo felici di prenderne solo metà.”
Dhritarastra disse:
“Tutto il territorio che si estende a sud-ovest di Hastinapura sarà vostro, mentre tutto il resto rimarrà a Duryodhana.”
A queste parole nessuno riuscì a frenare un tremito di rabbia; non era un mistero per nessuno che la regione affidata ai Pandava fosse praticamente un deserto, senza grandi città, né acqua, né vegetazione, mentre la zona destinata a Duryodhana era quella più florida e sviluppata.
Dhritarastra cercava di imbrogliarli, ma stranamente né Yudhisthira né Krishna dissero nulla, e anche gli altri tacquero. Il figlio di Dharma accettò con parole gentili, ringraziando di cuore.
Quel giorno stesso, alla presenza santa di Vyasa, Yudhisthira fu incoronato Re, e pochi giorni dopo i Pandava partirono alla volta del loro territorio.

La capitale del regno era Khandava-prastha, una piccola città che nel passato era stata la capitale dei Kuru. Una volta era stata così opulenta e florida che era ancora comune il detto “ricca come Khandava-prastha”, sennonché un giorno un Rishi le aveva scagliato contro una disastrosa maledizione che l’aveva fatta deperire al punto da ridurla in un piccolo paese circondato da uno sterile deserto. Allo stato attuale, tutt’intorno non si vedeva altro che desolazione; da secoli niente cresceva più in quel luogo maledetto.
Ma i Pandava non si sentirono scoraggiati e si misero al lavoro. Il principe di Dvaraka, Krishna, che aveva gli occhi tanto simili ai petali del fiore di loto, in meditazione chiamò Indra e gli chiese di far cadere grandi piogge allo scopo di rendere fertile il terreno; e in effetti in pochi giorni l’intero territorio di Khandava fu inondato da continue piogge. In onore e ringraziamento al Deva, la capitale sarebbe poi stata chiamata Indra-prastha. Poi Krishna chiamò Vishvakarma, al quale chiese di costruire meravigliose città, con stupendi palazzi, fontane e prati.
La notizia che a Khandava qualcosa di incredibile stava accadendo cominciò a richiamare tanta gente e persino numerosi Deva, tutti desiderosi di contribuire alla realizzazione del fantastico regno dei Pandava.
Non passò molto tempo che dove prima si estendevano aridi territori, ora si poteva ammirare un luogo pieno di verde, di fiumi, laghi e fantastiche città.
Le incredibile notizie che riguardavano il nuovo impero dei Pandava si diffusero velocemente e fiumane di persone, provenienti da ogni parte del mondo, vennero, sicure che nel regno dei virtuosi fratelli avrebbero potuto vivere senza privazioni materiali né spirituali. Presto Khandava-prastha pullulò di cittadini.
Arrivò il giorno dell’inaugurazione.
Vyasa stesso e molti altri saggi dal cuore privo di ogni attaccamento a questo mondo vennero personalmente a dirigere la cerimonia e a recitare auspiciosi mantra vedici.

Quando tutto fu terminato, Krishna e i Vrishni si congedarono e tornarono a Dvaraka. A Indra-prastha molti sapevano chi era Krishna e l’amavano con tutto il loro essere, così al momento della partenza si sentirono come abbandonati. Ma nelle loro menti egli restava sempre presente. Per i Pandava cominciò un nuova vita di serenità, i tempi terribili di Varanavata parevano trascorsi da millenni.

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