Argomento Quindicesimo – Né la materia né le jiva sono un tutt’uno con il Supremo
tatra jivasya tradrsacidrupatve ‘pi
paramesvarato vailaksanyam iti yaya
sammohita iti ca darsayati
Qui le frasi “Maya è all’esterno di Lui” (SB 1.7.4) e “illusa da Maya” (SB 1.7.5) indicano che la jiva, nonostante sia anche lei essenzialmente pura coscienza, è distinta da Paramesvara.
Questo versetto, che vi abbiamo riportato con la traduzione, comprende la sezione trentaquattro, che non a caso è una delle più brevi. Contiene infatti una riflessione di importanza capitale, per cui Sri Jiva vuole darci spazio di riflessione.
Se Maya è all’esterno ed è sempre sotto il Suo controllo, come può arrivare a sconfiggere il Signore Supremo (Paramesvara), costringendolo a una vita di miserie? Tale concetto suona come una bestemmia, un insulto all’onnipotenza di Dio: nulla e nessuno può mai sopraffarlo. E se fosse più debole di qualcos’altro, non potrebbe essere Dio. Le jiva possono cadere vittime dell’illusione perché esse non sono Lui, ma solamente una porzione della Sua energia.
La conclusione dei Veda (vedanta) a riguardo è chiarissima: Paramesvara e le jiva non sono affatto la stessa cosa, ma due entità distinte, unite solo dalla medesima natura spirituale. Paramesvara è il controllore di Maya, la quale a sua volta controlla quelle jiva che non intendono accettare la loro posizione naturale di subordinazione a Krishna. Se le parti di un corpo rifiutassero di accettare le loro funzioni naturali e di agire per il nutrimento dello stomaco, le prime a soffrirne sarebbero le parti stesse.
Nel 1973, durante una lezione sulla Bhagavad-gita, Prabhupada raccontò una storia che troviamo istruttiva: “Colui che gode è lo stomaco e non nessun’altra parte del corpo. C’è una storia nella Hitopanisad, Hitopadesa, dal quale la favola di Esopo è tradotta. C’è una storia, udarendriyanam… Udara significa lo stomaco e indriya significa i sensi… tutti i sensi si incontrarono insieme per una riunione, dicendo… “Noi lavoriamo tutto il giorno.” Le gambe dissero: “Sì, io cammino tutto il giorno.” Le mani dissero: “Anche noi lavoriamo tutto il giorno. Qualsiasi cosa il corpo ci comanda, noi lo facciamo: andate là e prendete il cibo. E poi cuciniamo anche.” E gli occhi dissero: “Noi guardiamo tutto il giorno.” Così tutte le parti del corpo… fecero uno sciopero, dicendo: “Noi non lavoreremo più per lo stomaco che mangia soltanto. Noi lavoriamo sempre e lui non fa altro che mangiare e godere del cibo.” Fecero uno sciopero… Dopo due o tre giorni si incontrarono di nuovo e dissero: “Ci sentiamo deboli, non riusciamo più a lavorare. Perché sta succedendo questo?” Allora lo stomaco disse: “Vi sentite male perché io non sto mangiando. Se volete sentirvi bene dovete darmi da mangiare, altrimenti… Io sono il goditore. Voi non siete i goditori. Voi dovete arrangiare situazioni per il mio godimento. Questa è la vostra posizione costituzionale.” Così essi compresero: “Sì non possiamo godere direttamente. Non è possibile.” Il godimento deve passare attraverso lo stomaco. Se prendete un rasagulla, voi, le dita, non potete goderne direttamente. Dovete portarlo alla bocca e quando arriva allo stomaco immediatamente c’è l’energia. E non solo le dita ne gioiscono, ma anche gli occhi: tutto il corpo ne sente soddisfazione. Srila Prabhupada continua: così, il vero goditore è Krsna. Krsna dice: bhoktaram yajna tapasam sarva loka mahesvaram e se noi collaboriamo con Krsna, attraverso la sua felicità noi diventeremo felici. Questa è la nostra posizione (naturale). Questa è vera conoscenza.suhrdam sarva bhutanam jnatva mam santim rcchati… Krsna è il goditore naturale.
E’ erroneo, perciò, credere che l’Uno… Brahman (la coscienza incontaminata e trascendentale), sia simultaneamente l’essenza stessa della conoscenza (in quanto alla base dell’esistenza stessa di Maya) e allo stesso tempo possa essere coperta dall’ignoranza, cadendo vittima di quella Maya. E’ in quest’ottica che si può capire la differenza tra Isvara e jiva. Ne consegue che, a causa delle rispettive differenze nelle loro capacità naturali, i due (Isvara e jiva) sono essenzialmente distinti.
Questo passaggio è così chiaro che non necessiterebbe ulteriori spiegazioni.
Tuttavia Sri Baladeva, nel commento a questo verso, dice alcune cose interessanti che meritano attenzione.
Rifacendosi alla dottrina di Sankara, l’Acarya dice: Sankara si basa su mantra vedici come “Uno senza un Secondo”, “Brahman è Coscienza e Felicità”, “non ammette diversità”, e altri, secondo cui la Realtà Assoluta viene suggerita come non-duale, pura coscienza e non altro, brahman privo di qualità. Sankara suggerisce che Brahman possiede in Sé le due funzioni di vidya ed avidya… Quando si associa con vidya viene a nascere la coscienza di Isvara e quando si pone in contatto con avidya viene ad essere quella della jiva. In altre parole, il Brahman privo di attributi possiede in sé tutti gli opposti, dai quali provengono isvara e jiva. Quando, però, ajnana (sia che si presenti come Conoscenza o come Ignoranza) è rimossa (grazie alla conoscenza vera della propria natura), isvara e jiva cessano di esistere e rimane solo la pura coscienza priva di attributi e non-duale. Sri Baladeva conclude la sua spiegazione con un frase in cui intravediamo anche del sarcasmo: Che peccato deve aver commesso Brahman per dover soffrire ogni tipo di confusione e pena? Nessun Acarya Vaisnava accetterebbe mai una teoria che preveda la caduta del Signore Supremo. Questa dottrina ha il solo compito di confondere chi vuole rimanere confuso.
Inoltre, a noi sembra che il Brahman degli Advaita-vadi, per essere nirguna, cioè privo di qualità, possegga fin troppi attributi.
Sri Jiva conclude il verso facendo notare che le differenze e le capacità naturali di Isvara e delle jiva sono così diverse tra loro che i due non potrebbero mai essere la stessa cosa. L’idea è condannata dalla stessa logica. Infatti il primo controlla Maya, il secondo ne è controllato. Le Scritture dicono che solo se prendiamo rifugio ai piedi di loto del Signore sarà possibile vincere la nostra battaglia contro l’illusione. Se jiva fosse quel Signore, non si capisce perché dovrebbe sottomettersi a qualcun altro, né a chi dovrebbe arrendersi.
Nella sezione trentasei, l’autore del Tattva-sandarbha dice che le distinzioni tra le due entità non possono essere spiegate con le teorie dette Pariccheda-vada e Pratibimba-vada.
Il “na”, negazione sanscrita, che troviamo all’inizio della frase è perentorio, intendendo che non c’è alcuna possibilità che queste due teorie mayavada possano trovare spazi nel mondo Gaudiya-Vaisnava.
La Pariccheda-vada è stata già menzionata in precedenza. La riproponiamo: lo spazio contenuto in un’anfora in realtà è un tutt’uno con lo spazio totale; sono le pareti dell’anfora stessa che gli faranno credere di essere qualcos’altro. Rompendo l’anfora tornerà a essere quello che in realtà è sempre stato, cioè un tutt’uno con lo spazio.
La Pratibimba-vada, ovvero la teoria del riflesso, sostiene che come il sole sembra essere plurale quando riflesso in vari corpi d’acqua e sembra muoversi quando l’acqua si muove, così Brahman sembra essere molteplice quando riflesso nelle menti delle jiva e quando sembra assumere le caratteristiche della jiva.
E’ il Gosvami di Vrindavana stesso che, con queste parole, risponde alla Pariccheda-vada:
Se le sovrastrutture limitanti (upadhi) fossero oggettivamente reali e non il risultato dell’ignoranza, allora Brahman, che è al di là del reame oggettivo, non potrebbe essere soggetto ad alcun sezionamento.
In altre parole, usando lo stesso esempio degli Advaita-vadi, se le anfore fossero reali, allora la teoria per cui solo Brahman esiste verrebbe ad essere nullificata. Se invece le anfore fossero irreali, Brahman non potrebbe esserne limitato.
Alla Pratibimba-vada Jiva Gosvami risponde in questo modo:
…ciò che è privo di attributi, onnipervadente e senza parti, non può riflettersi da nessuna parte; ciò che è privo di attributi non può avere connessioni con appendici superflue; se Brahman è onnipervadente, non ci possono essere distinzione tra l’oggetto e il suo riflesso; e ciò che è senza parti non può essere percepito.
Sri Jiva sta utilizzando gli stessi argomenti mayavadi per far notare quante incongruenze esistono nelle loro teorie. Il sole che si riflette nell’acqua è un corpo limitato, che possiede attributi e che è composto di sezioni. Altrimenti non potrebbe riflettersi nell’acqua, anche perché, essendo onnipervadente (come predicano i mayavadi), non ci dovrebbe essere distinzioni di alcun tipo tra il sole e l’acqua. Baladeva Vidyabhusana aggiunge che “non può essere che Isvara e jiva siano porzioni separate di Brahman, divise da aggiunti reali (come i pezzi di una pietra tagliati da uno scalpello), in quanto Brahman è indivisibile e privo di parti”.
Nella sezione trentotto, Jiva Gosvami polemizza con gli Advaita-vadi dicendo che anche se le dottrine della “divisione” e del “riflesso” rispondessero a realtà, questi non potrebbero certamente essere negati con la semplice convinzione che i termini tat e tvam (che indicano rispettivamente Isvara e jiva) si riferiscano alla stessa realtà, cioè a Brahman. In altre parole, per controbattere qualcosa di reale ci vuole ben più della convinzione. Sri Baladeva ironizza: “nessuno galeotto è mai diventato re semplicemente pensando, io sono il re.” Con queste parole i professori Vaisnava destituiscono di validità il procedimento che si basa sulla accumulazione della conoscenza (jnana-marga) tanto caro agli Advaita-vadi.
Inoltre, se si sostenesse che è grazie al potere straordinario dell’essere a cui ci si rivolge col termine tat che gli aggiunti superflui (upadhi) possono essere rimossi, allora la loro opinione concorderebbe con la nostra.
Però in questo caso i mayavadi cadrebbero in una contraddizione irrisolvibile, in quanto chi è in grado di accordare la liberazione non può cadere vittima della prigionia. Brahman è certamente colui che accorda la liberazione; perciò è chiamato Mukunda. Nessun prigioniero (neanche uno allo stato potenziale) può concedere la liberazione dall’energia materiale.
Anche la teoria del sogno non trova Sri Jiva d’accordo. Secondo questa, porzioni dell’illimitato Brahman sognano di essere qualcosa che non sono. Il risveglio alla Conoscenza trascendentale fa sì che esse comprendano di essere null’altro che Brahman stesso. Ma queste idee non potrebbero sostenere un contenzioso, per cui l’Acarya le definisce sciocche diversioni che allontanano dalla verità, in quanto questa e altre teorie mayavada non sono in grado di provare nulla.
Chi cerca di ridurre tutto alla combinazione di Brahman e Avidya, cade in una serie di contraddizioni irrisolvibili: infatti alla più elementare delle logiche il puro Brahman non potrebbe che rimanere per sempre incontaminato, a causa della perfetta assenza di contatto con Avidya. E visto che le jiva (che altro non sono che porzioni di Brahman) sono evidentemente venute a contatto con Avidya, ne consegue che jiva e Brahman non possono essere la stessa cosa.
Isvara è Brahman, il quale è l’origine di Maya, la quale copre la jiva quando questa è ottenebrata dall’ignoranza; alla luce di esperienze dirette e sulla base delle Scritture, questa Maya appartiene a Isvara. Dunque, logicamente, Isvara e jiva non possono essere la medesima cosa.
Come può Avidya esistere all’interno di colui che è pura e perfetta Vidya? La cosa è impossibile: le due essenze si annullerebbero a vicenda.
Se la Abheda-vada (la dottrina della non differenziazione) corrispondesse alla realtà, i saggi realizzati lo avrebbero testimoniato. Invece negli insegnamenti e nelle esperienze di Vyasa, di Sukadeva e di Suta Gosvami troviamo la descrizione del contrario. Vyasa infatti vide distintamente che il Purna-purusa, l’energia illusoria (Maya) e la jiva che cade vittima dell’illusione erano tre entità diverse. Se così non fosse stato, Sukadeva non si sarebbe mai sentito attratto alle lila di Krishna e Suta Gosvami non avrebbe parlato 18.000 versi che attestano la superiorità del servizio devozionale rispetto a qualsiasi altro grado di realizzazione. Caitanya Mahaprabhu dice:
krishna name ye ananda-sindhu-asvadana
brahmananda tara age khatodaka-sama
“Comparato all’oceano di felicità trascendentale che si gusta cantando il mantra Hare Krishna, il piacere derivato dalla realizzazione del Brahman (brahmananda) è come la poca acqua contenuta in un canale.” (Caitanya Caritamrta Adilila 7.97).
Il Signore continua citando un verso dall’Hari-bhakti-sudhodaya (14.36). E nel suo Bhakti-rasamrita-sindhu (1.1.38), Rupa Gosvami dice:
“Anche se il brahmananda venisse moltiplicato per un milione, non potrebbe essere comparato neanche a una porzione atomica del piacere che è possibile gustare nel puro servizio devozionale.”
Dunque sia le Scritture che i grandi santi e studiosi sono d’accordo nel considerare che Isvara (Sri Krishna) e le jiva sono essenzialmente diverse in identità.
Anche il Brahma-sutra di Krishna Dvaipayana Vyasa concorda nel contestare le dottrine appena discusse. Le due teorie mayavada che abbiamo appena discusso possono essere utilizzate positivamente solo in senso secondario.
Jiva Gosvami chiarisce cosa s’intende per “possono essere utilizzate positivamente solo in senso secondario”.
… quelle scritture che propongono la non-differenza possono essere utilizzate per giungere alla stessa conclusione a cui giunge Vyasa durante il samadhi… evitando la contraddizione (presente nell’affermazione per cui) isvara e jiva siano identici e separati; poiché…, a causa della inconcepibile potenza che è propria di Isvara, essi sono contemporaneamente identici e separati, come gli innumerevoli raggi e il sole.
Il concetto sembra più difficile di quanto lo sia effettivamente. Baladeva Vidyabhusana lo spiega con un’analogia: ci sono due ragazzi brahmana, uno scuro di pelle e l’altro chiaro; entrambi sono brahmana, ma sono anche due persone distinte. Così Isvara e la jiva sono tutti e due di natura spirituale, ma Krishna è Isvara e l’anima individuale (noi) è infinitesimale, ognuno con una propria eterna individualità. Il Gosvami Maharaja mostra così la sua totale aderenza agli insegnamenti del Mahaprabhu, proponendo e spiegando con parole semplici la celebre acintya-bhedabheda-tattva, la simultanea uguaglianza e differenza.
Abbiamo così provato che Isvara e jiva sono distinti. Il primo è alla base (dell’esistenza) di Maya e il secondo è invece la vittima di Maya. In definitiva solo l’adorazione di Isvara (da parte della jiva) può essere il giusto abhideya.
Sri Jiva giunge alle seguenti conclusioni:
a) avendo stabilito che Isvara e jiva sono distinti,
b) e che il primo è supremo e che il secondo gli è subordinato,
c) ne conseguiamo che il mezzo di realizzazione supremo è l’adorazione e la venerazione di Isvara.
Questa conclusione ci conduce al prossimo argomento, soggetto di virtuosa discussione.
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