Tattva Sandarbha di Jiva Gosvami in Italiano – Argomento Ottavo – Gli strumenti migliori per raggiungere la Conoscenza

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Argomento Ottavo – Gli strumenti migliori per raggiungere la Conoscenza

Nella sezione nona verrà determinato qual è lo strumento di conoscenza più degno di fiducia per stabilire, senza timore di errori, cosa siano il Sambandha, l’Abhideya e il Prayojana. Srila Jiva Gosvami ha già accennato che questi sono gli argomenti principali di cui si occuperà l’opera che ha cominciato a comporre (il Bhagavata-sandarbha). Anche se tali argomenti verranno ripresi in continuazione durante il nostro studio sul Tattva-sandarbha, crediamo sia utile riassumere cosa s’intende per Sambandha, Abhidheya e Prayojana.

Queste tre parole possono essere prese come un riassunto della filosofia Gaudiya Vaisnava, categorie proposte da Sri Caitanya Mahaprabhu in persona, quando il Suo discepolo Sanatana Gosvami Gli chiese quale fosse la sua identità e la sua posizione all’interno del creato. Sri Caitanya rispose che tre erano gli scopi che i Veda si prefiggono:

il primo è far capire quali sono le relazioni che uniscono le anime a Krishna (Sambandha);
il secondo è di stabilire i modi corretti per agire in accordo a quelle relazioni (Abhidheya);
il terzo è il raggiungimento del fine ultimo (Prayojana), che è la realizzazione totale e la re-unione definitiva (yoga) con la nostra origine.

Ma evidentemente Sri Gauranga Mahaprabhu riteneva che tale argomento fosse di fondamentale importanza, poiché lo riprese in altre occasioni. Nella via per Vrindavana, passò per Varanasi (Benares), che all’epoca era il centro culturale del mayavadismo indiano. Vi andò appositamente, con l’intenzione di convincere i maestri del monismo spiritualistico dell’erroneità delle tesi impersonalistiche impartite secoli prima da Sankara Acarya, secondo cui Dio non è una persona distinta e secondo cui non lo siamo neanche noi.

La conseguenza primaria di tale dottrina è che l’amore per Dio (bhakti) perde di ogni significato, minando alla base la giusta via del ritorno a Krishna. Egli riuscì a convincere i sannyasi mayavadi, capeggiati da Prakasananda Sarasvati, che il Vedanta-sutra non nega affatto che l’Assoluto sia personale, che al contrario ne espone l’individualità, e che insegna i vari stadi del servizio devozionale. A una lettura attenta, infatti, risulterà chiaro che i primi due capitoli del Vedanta-sutra spiegano Sambandha, il terzo Abhidheya e il quarto Prayojana. Sri Caitanya non si rifece solo al celebre Vedanta-sutra, ma chiamò in causa anche lo Srimad-Bhagavatam, mostrando in modo inequivocabile che i catuh-sloki (i quattro versi originali del Bhagavatam) affermano la medesima cosa.

Lo stesso punto fu ripreso a Jagannath Puri, durante un acceso dibattito con lo stimato professore Sarvabhauma Bhattacarya, convinto assertore delle tesi monistiche di Sankara. Ancora una volta il Mahaprabhu stabilì che il servizio devozionale al Signore Supremo, Sri Krishna, è il mezzo e allo stesso tempo la meta somma e suprema. Egli provò che tutte le Scritture vediche affermano la stessa cosa e che quindi non può che essere la dottrina più elevata. Ogni altra deve essere considerata o un gradino per giungervi o una aperta e deliberata bestemmia nei confronti di Dio.

Dunque la scelta di Sri Jiva di fondare il suo trattato sulla divisione di Sambandha, Abhidheya e Prayojana non è una cosa inventata da lui, bensì è in perfetta sintonia con gli insegnamenti di Sri Caitanya.

Ma la sezione 9 del Tattva-sandarbha non affronta direttamente gli argomenti appena accennati, ma stabilisce i cosiddetti pramana, cioè i mezzi di conoscenza degni di fiducia.

Infatti, prima di procedere in qualsiasi inquisizione, è giusto verificare quali strumenti devono essere utilizzati e quali sono i loro rispettivi limiti. Fino ad ora abbiamo parlato senza aver prima stabilito basi certe. Quali sono le autorità che possono essere accettate? La nostra intelligenza è un’autorità, o no? I nostri sensi, che ci permettono di avere un contatto con l’esterno e che ci fanno vedere, ascoltare e toccare, sono affidabili? E se sì, in che misura? Oppure crediamo che sia giusto accettare un Dio ispiratore, o i messaggi degli uomini di sapienza del passato?

Nella sezione nona, Sri Jiva dice:
Dato che la gente è soggetta a quattro tipi di difetti… e ancor più grave, è incapace di afferrare la Realtà Trascendentale e Inconcepibile, la loro percezione dei sensi (e altre strumenti del genere) si proveranno inaffidabili.

Jiva Gosvami va subito al punto in modo diretto e senza girarvi tanto attorno e ricorda a tutti che l’anima condizionata è afflitta da tipi diversi di difetti che invariabilmente causano errori di valutazione gravissimi, per cui la loro conoscenza deve necessariamente essere imperfetta. Questi quattro difetti sono: bhrama, pramada, vipralipsa e karanapatava.

Bhrama significa commettere errori. Sri Vidyabhusana dice che bhrama è quando uno crede di vedere una cosa che in realtà non c’è. In altre parole sensi, l’imperfezione dei sensi. Se ci perdiamo nel deserto, il nostro desiderio di bere si proietterà all’esterno, facendoci vedere un miraggio di acqua fresca che mai potrà dissetarci. Così i sensi ci fanno vedere cose meravigliose che mai potranno soddisfarci, in quanto sono proiezioni mentali e prive di sostanza.

Pramada significa illusione, o inavvertenza: non riuscire a percepire una cosa che esiste. Il fatto di non essere mai stati in India non significa che l’India non esiste. Questo difetto è causato dalla limitatezza delle capacità dei nostri sensi.

Vipralipsa è la tendenza a ingannare gli altri e se stessi, sulle basi di convinzioni provocate da motivazioni materiali.

Karanapatava è l’incapacità di riconoscere una data cosa nonostante ci si impegni ad analizzarla.

Vittima di queste e di altre imperfezioni l’uomo, specialmente quello degenerato di Kali-yuga, non ha le possibilità di trovare la via che conduce alla Verità. Deve allora necessariamente rivolgersi alle parole della Suprema Personalità di Dio e a quella dei santi realizzati. Queste sono contenute nei Veda e negli insegnamenti dei Guru viventi, che contengono indicazioni precise e complete per trascendere le tragiche vicende del mondo in cui viviamo.

Perciò ragioniamo, con l’aiuto di guru, sastra e sadhu, su quali possano essere gli strumenti adatti ad acquisire la Conoscenza. Le diverse Scritture e i diversi filosofi danno liste e quantità varianti di pramana. I vedantisti ne accettano sei; Jiva Gosvami, nel Sarva-sanvadini, ci fornisce una lista di dieci; Baladeva Vidyabhusana ne accenna solo otto. Tutti sono d’accordo, però, che i principali sono tre, gli stessi che Srila Prabhupada ha spesso menzionato nei suoi scritti e nelle sue letture: pratyaksa-pramana, anumana-pramana e sabda-pramana.

Il primo, pratyaksa-pramana, è la conoscenza che si può ottenere dalla percezione dei sensi e di cui abbiamo già parlato; in parole povere, una cosa è vera se e nella misura in cui riusciamo a percepirla con i nostri sensi. Questa prova ha una sua utilità ma, a causa della limitazione e della imperfezione dei sensi stessi, i saggi non le conferiscono una grande importanza.

Il secondo, anumana-pramana è la conoscenza ottenibile dall’azione della nostra intelligenza, cioè la deduzione. Anche questa ha una sua utilità, ma limitata. La nostra intelligenza possiede gli stessi difetti dei sensi, anche perché il nostro intelletto è fondamentalmente costituito dal risultato della elaborazione delle esperienze sensoriali.

Il terzo, sabda-pramana, detta anche aitiya-pramana, è la conoscenza proveniente dalle Scritture o dai santi realizzati: in altre parole, informazioni di origini divine. Tutti i saggi vedici accettano questa sabda-pramana come la prova conclusiva e perfetta ed anche gli altri pramana trovano la loro perfezione nel contesto di sabda-pramana. Ciò non vuole dire che i sensi o l’intelligenza dovrebbero essere accantonati, ma che questi sono subordinati alla forza della testimonianza divina.

Perciò in quest’opera troverete una serie di discussioni che si basano sull’autorità delle Scritture perfette, come i Veda, le Upanisad, i Purana ecc. Il Tattva-sandarbha è un testo filosofico che si base principalmente su sabda-pramana.

Nella sezione decima, il Gosvami Maharaja afferma proprio questo e raccomanda a tutti di studiare i testi vedici, aggiungendo un elemento di importanza fondamentale, cioè che i Veda sono stati tramandati da tempo immemorabile attraverso una linea ininterrotta di successione spirituale.
Si riferisce al ben noto “sistema parampara”. Di principio, la conoscenza divina di solito non può essere frutto dell’illuminazione di una singola persona. Se accettassimo le parole di uno qualsiasi che ci informa di aver avuto una visione spirituale, è molto probabile che cadremo vittima di un imbroglione. La rivelazione della Verità avviene per insegnamento ricevuto, rivolgendosi a un maestro autentico che a sua volta l’abbia appresa da un Guru altrettanto autentico. In questo modo la Verità può discendere intatta fino ai giorni nostri. Nessuna persona di cultura accetterà un maestro o una filosofia che non provenga da una parampara riconosciuta. E’ la prima (anche se certamente non l’unica) qualità richiesta a un Maestro spirituale, dal quale si desidera ricevere la conoscenza di Krishna. Sri Jiva appartiene a tale parampara autentica e, quindi, possiamo serenamente quanto attivamente attingere conoscenza da lui.

Nella sezione dodicesima, Jiva Gosvami presenta cinque riferimenti dal Brahma-sutra (o Vedanta-sutra), dal Bhagavata Purana e dal Maha-bharata sull’importanza della conoscenza vedica intesa come sorgente di conoscenza perfetta. Ma naturalmente queste sono solo alcune tra le numerosissime testimonianze.

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