Argomento Decimo – Lo Srimad-Bhagavatam è il supremo fra tutti i Purana
Dopo aver dato prova che i Purana e gli Itihasa in Kali-yuga sono superiori ai Veda, ben undici sezioni vengono destinate a stabilire il Bhagavatam come il supremo fra tutti i Purana. Sri Jiva esordisce dicendo:
anche dopo aver manifestato i Purana e aver composto il Brahma-sutra, Bhagavan Vyasa non era ancora soddisfatto e così dette forma a ciò che era il commento naturale al suo Brahma-sutra. (Il Bhagavatam) gli fu rivelato nel samadhi e può, da solo, illustrare la conclusione comune di tutte le Scritture, e lo si nota dal fatto che inizia riferendosi al Gayatri ed inoltre è caratterizzato da una concisa dichiarazione del significato di tutti i Veda.
La storia dell’insoddisfazione di Vyasa è ben nota: il compositore e ordinatore di tutti i Veda, dopo aver completato gran parte del suo lavoro, lo esaminò e non se ne sentì soddisfatto. L’arrivo del suo guru, Narada Muni, gli valse a capirne le ragioni: nelle sue opere non aveva esposto in modo sufficiente l’essenza di tutti gli insegnamenti, il servizio devozionale alla Suprema Personalità di Dio, Sri Krishna. Questo era il motivo della sua infelicità, e proprio per questo Narada lo incoraggiò a comporre il Bhagavata Purana, detto anche Srimad-Bhagavatam. La storia dell’incontro tra Narada e Vyasa e il dialogo scaturito da quest’incontro è narrata nel quinto capitolo del Primo Canto del Bhagavatam stesso.
Però la sua supremazia non è testimoniata solo dal Bhagavata Purana stesso: il Matsya Purana (53.20 fino al 22) lo definisce hemasimhasamanvitam, la Scrittura degna da essere posta su un trono d’oro. Sridhara Svami traduce il composto come “montato su un trono d’oro, in quanto è il re di tutti i Purana”.
Il riferimento al Gayatri è ovviamente diretto alla sacra parola dhimahi, che sopravviene sia nel mantra Gayatri che nel primo versetto del Bhagavatam. L’omissione di questa parola sarebbe stata inappropriata. Ma non è solo dhimahi a testimoniare che il Bhagavatam si rifà all’eterno mantra, ma anche altre sezioni del primo versetto, come janmady-asya yatah (“da cui proviene l’origine, il mantenimento e la distruzione dell’universo”) e tene brahma hrda (“che rivelò i Veda a Brahma attraverso il cuore”), frasi che formano un preciso e indiscutibile riferimento al Gayatri.
Il rapporto diretto fra il Bhagavata e il Gayatri è discusso e infine accettato non solo da Sri Jiva, ma anche da Madhva e dai suoi discendenti, da Sridhara Svami fino a Mahaprabhu in persona. Infatti, nel suo dialogo con Prakasananda Sarasvati, Sri Caitanya dice:
“All’inizio dello Srimad-Bhagavatam c’è una spiegazione del Brahma-gayatri mantra. La Verità Assoluta (satyam param) indica la relazione, e la frase ‘noi meditiamo su di Lui’ (dhimahi) indica l’esecuzione del servizio devozionale e il fine ultimo della vita.” (Caitanya Caritamrta, Madhyalila, 25.147)
Dunque Jiva Gosvami dimostra che le sue affermazioni sono perfettamente in linea con gli insegnamenti di Caitanya Mahaprabhu e che il Bhagavatam è certamente in linea con il più classico dei mantra vedici, il Gayatri.
Sri Jiva prende ora a trattare dell’eccellenza del Bhagavata. Lo Skanda e il Padma Purana affermano in modo chiaro la sua superiorità nei confronti di ogni altra Scrittura.
Nel Padma Purana si dice: “O Ambarisa, se desideri porre fine al ciclo delle morti e delle rinascite, devi ascoltare quotidianamente il Bhagavata, così come fu insegnato da Sukadeva Gosvami, e poi devi recitarlo con le tue proprie labbra.” (Padma Purana, Uttara khanda sez. 22)
Lo Skanda Purana (Visnu Khanda 16.40.42.44.331) dice:
“Se in Kali-yuga una persona non ha nella propria casa un Bhagavatam, a che serve avere centinaia e migliaia di altre scritture? Come può, costui, essere considerato un Vaisnava se non ha uno Srimad-Bhagavatam in casa? Anche se è un brahmana, questi deve essere considerato un fuoricasta. O Narada, o saggio, in Kali-yuga dovunque sia il Bhagavata, lì Hari si reca insieme a tutti gli esseri celesti. O Muni, l’anima pia che giornalmente recita un verso dal Bhagavatam coglie i frutti dei diciotto Purana.”
Dunque, particolarmente in Kali-yuga, lo Srimad-Bhagavatam è un testo insostituibile e invitiamo tutti a studiarlo.
“Questo Purana è sorto come il sole per coloro che nell’era di Kali sono privi della vista.” (SB 1.3.43)
Sri Jiva aggiunge:
possiamo perciò concludere che, nella presente era, per comprendere la verità più alta è necessario solo lo studio del Bhagavata Purana.
Durante la sua requisitoria tendente a dimostrare la superiorità del Bhagavatam, l’autore dei Sandarbha tocca anche altri argomenti. Uno riguarda il celebre Sankara, detto anche Sankaracarya.
Sankara comunemente riconosciuto come un avatara di Siva, realizzò il significato finale del Bhagavatam, caratterizzato da affermazioni concernenti le gioie della bhakti, piaceri che sorpassano anche la felicità della liberazione. Egli capì che questa verità era superiore a quella che lui insegnava e temeva di disturbare i punti di vista esposti in questa spiegazione del Vedanta così divinamente composta. Come sarà spiegato in seguito, egli propagò la dottrina Advaita in conseguenza del comando di Bhagavan, perseguendo il fine di mantenere nascosta la Sua vera natura. A questo fine Sankara toccò il Bhagavata solo indirettamente, descrivendo in opere come il Govindastaka ed altri certi avvenimenti che si trovano solo nel Bhagavata, come lo stupore di madre Yasoda alla visione della forma universale (manifestata da Krishna), il furto dei vestiti delle gopi da parte di Krishna, ecc.
Sri Baladeva spiega questo paragrafo con le seguenti parole: Sankara rifletté, “io sono responsabile della dissoluzione dell’universo e sono un devoto di Hari. (Perciò) ho onorato il Suo comando, commentando le Upanisad e altre scritture in modo tale da distorcere il loro vero significato. Ma se dovessi disturbare anche il Suo amato Bhagavatam, il Signore si arrabbierà con me. Perciò è meglio non farlo. Tuttavia in questo modo io sarò privato della saggezza e della gioia (in quanto non avrebbe potuto recitare il Bhagavatam); in qualche modo devo venire a contatto con lo Srimad-Bhagavatam.”
Pensando in questo modo, egli incluse nella sua poesia certi avvenimenti riportati solo nel Bhagavata Purana, come la visione della forma universale e altri. Questo mostra che Sankara rispettava l’universalmente onorato Scritto Supremo.
Che Sankara sia un’incarnazione di Siva è risaputo e anche che la sua discesa come Acarya della filosofia Advaita sia un piano concertato col Signore Supremo. Nel Padma Purana (Uttara Khanda 62.31) Sri Krishna dice:
“Tu puoi pubblicizzare te stesso, ma non me. Trascina lontana da Me la gente, componendo le tue proprie Scritture. Celami alla loro vista, perché in questo modo la creazione continuerà senza interruzioni.”
In altre parole Krishna dice che, grazie alle falsità contenute nella Advaita-vada, i non devoti continueranno a rinascere in questo mondo. E sempre nello stesso Purana (Uttara Khanda 25.7), Siva dice a Parvati:
“Questa falsa dottrina del Mayavada è buddhismo nascosto. O Devi, durante il Kali-yuga io in persona diffonderò questa dottrina, assumendo la forma di un brahmana”.
Da queste parole (i verbi sono coniugati al tempo passato) osserviamo che anche l’incarnazione di Sankara è ciclica.
La sezione ventiquattro parla di Madhvacarya. La particella kila, usata da Jiva Gosvami nel primo verso della sezione in esame, vuole indicare che quanto segue è parte di antiche saggezze.
Fu dopo la lettura dello Srimad-Bhagavatam e dopo aver compreso che Sankara rispettava questo testo divino che il riverito Madhva accettò le conclusioni dei Vaisnava, anche se egli era un discepolo di Sankara.
Qualcuno afferma che Madhva era stato discepolo diretto di Sankara, ma ciò non trova riscontri. Egli era stato iniziato da un guru della sampradaya di Sankaracarya che avrebbe poi rigettato, prendendo iniziazione e istruzioni da Vyasadeva stesso. Prabhupada, parlando di Madhva, non aggiunge nulla di diverso: una cosa così importante non l’avrebbe taciuta. Inoltre tra i due Acarya ci sono dei secoli di differenza. Dunque, per discepolo deve intendersi discendente spirituale.
Avendo paura che altri Vaisnava potessero cadere sotto l’influenza dei commenti scritti dai discendenti di Sankara… scrisse un bhasya che indicava il sentiero corretto…
Per le ragioni appena espresse, Sankara non scrisse commenti sul Bhagavatam; ma alcuni dei suoi discepoli diretti e non diretti ne scrissero, come Punyaranya e altri. Avendo timore che la gente cadesse vittima dei falsi insegnamenti degli Advaita-vadi e che smarrisse la strada della devozione nei cunicoli dell’intossicazione dell’intelletto (stato tipico degli abhakta), scrisse un commento allo Srimad-Bhagavatam intitolato Bhagavata-tatparya. In quelle pagine Madhva sconfigge le teorie dei mayavadi e stabilisce la supremazia della Personalità di Dio, che è al di là del brahman privo di attributi (nirguna-brahman).
Sukadeva Gosvami apparve in questo mondo come figlio di Vyasadeva e nonostante fosse un’anima liberata fin dalla nascita, rifiutava di uscire dal ventre della madre per timore dell’energia materiale. Dovette venire Krishna in persona per convincere Sukadeva che non aveva ragioni di aver paura. Così, quando Vyasa recitò il Bhagavatam alla moglie, egli uscì dal ventre della madre e subito abbandonò la casa, errando per il mondo. Durante il suo peregrinare incontrò Pariksit, che aveva da poco saputo di essere stato maledetto da Sringi, il figlio del brahmana Samika, a morire in sette giorni. Fu in quell’occasione che Sukadeva Gosvami recitò pubblicamente il Bhagavata Purana. I due (il parlatore e l’ascoltatore) non erano soli; attorno a loro si assiepò un nutrito conclave di santi, tutti venuti per ascoltare, quali Atri, Vasistha, Cyavana, Saradvat, Brghu, Angira, Visvamitra, Rama, e anche Vyasa e Narada. La lista completa delle principali personalità che ascoltarono quella sacra recitazione è nel Bhagavatam stesso (1.19.9, 10 e 11). Tra questi c’era anche Suta Gosvami, il quale lo avrebbe ripetuto ai saggi di Naimisa. Il Bhagavatam inizia così, con Suta che recita fedelmente quanto appreso dal figlio di Vyasa.
Sukadeva Gosvami è un eterno componente delle lila di Sri Sri Radha e Krishna: la recitazione periodica dello Srimad-Bhagavatam è parte dei suoi “compiti” eterni. A Goloka Vrindavana egli è il pappagallo di Srimati Radharani (Suka significa proprio pappagallo). Quando un frutto è beccato da un pappagallo, divine ancora più dolce; allo stesso modo la conoscenza trascendentale, quando presentata da un devoto di quel grado, diviene ancora più gustosa.
La prova della genuinità della recitazione di Sukadeva è data dal fatto che lì presenti c’erano anche Vyasa e Narada, il guru e il “nonno-guru” di Sri Sukadeva. Un principio elementare dell’educazione non consente a un discepolo di parlare di fronte a dei superiori, ma lo Srimad-Bhagavatam è trascendentale, di origine divina, per cui ogni etichetta passa in secondo piano. In realtà Sukadeva Gosvami non faceva altro che trasmettere le parole della Suprema Personalità di Dio, Sri Krishna; pur facendo l’oratore, lui stesso era uno degli ascoltatori di quei suoni divini. Lui li rendeva ancora più gustosi grazie alla devozione a Srimati Radharani.
Nella sezione ventisette, il Gosvami Maharaja dice:
Noi esamineremo, perciò, solo il Bhagavata Purana al fine di determinare il bene supremo. La nostra interpretazione delle parole del Bhagavatam rappresentano un tipo di bhasya.
Dunque il Bhagavata-sandarbha, del quale il Tattva-sandarbha è il primo libro, è una spiegazione conclusiva della filosofia Vaisnava che utilizza principalmente i versetti dello Srimad-Bhagavatam, la suprema fra tutte le Scritture.
… sarà redatto in accordo ai punti di vista del grande Vaisnava, il riverito Sridhara Svami, ma solo quando questi saranno conformi alle severe prospettive Vaisnava, giacché i suoi scritti sono permeati di idee monistiche; (Sridhara Svami ha fatto ciò) per generare (nei cuori dei mayavadi) un apprezzamento per la grandezza del Signore…
Qui è svelata la strategia divina. Talvolta un devoto può scendere dal mondo spirituale e insegnare una dottrina che sia contraria alla Verità Assoluta, oppure che ne presenti solo una parte, spacciandola per completa. La storia del mondo è piena di questi esempi. Basta ricordare il Buddha, Sankara, ma anche molti saggi vedici. Questo sistema serve ad elevare gradualmente la coscienza della gente in modo che l’atmosfera diventi sempre più adatta ad assimilare livelli di Verità sempre superiori. La filosofia più alta e completa, il siddhanta scevro da ogni compromesso storico, è stato presentato da Sri Caitanya e dai Suoi discendenti spirituali, come i sei Gosvami di Vrindavana, fra cui troviamo Jiva Gosvami. Noi siamo fortunati ad essere discepoli di Bhaktivedanta Svami Prabhupada, l’ottavo discendente di Sri Jiva.
Quest’ultimo aveva un compito diverso da quello di Sridhara Svami, non aveva la necessità di mediare con le convinzioni mayavada. Per questo afferma che prenderà dallo Svami solo ciò che corrisponde alla pura filosofia Vaisnava.
In altri punti la nostra interpretazione si baserà sulle dottrine del venerabile Ramanuja… in altri differiranno da entrambi (Sridhara Svami e Ramanuja), volendo seguire il senso naturale del Bhagavata.
L’intenzione di presentare la dottrina Vaisnava senza veli di nessun tipo è qui apertamente dichiarata. Mentre gli altri hanno dovuto compromettere in modo da poter avere successo nella loro legittima missione, Jiva Gosvami non farà patti di alcun genere col relativo. Inoltre aggiunge che, siccome le dottrine Advaita sono ben conosciute, non verranno affrontate in questo testo.
Ma nei commenti di Baladeva alcuni punti verranno trattati, per cui noi non ci esimeremo dal discuterne.
Nella sezione ventinove, l’autore riprende alcuni argomenti di cui abbiamo brevemente trattato in precedenza. Uno di questi è la dichiarazione di appartenenza dello stesso alla Brahma-Madhva-sampradaya. Gosvami Maharaja è un Gaudiya-Vaisnava e alcuni tra i discendenti di Madhva (i Tattvavadi) ancora oggi non intendono accettare i Gaudiya come ramo autentico della tradizione. D’altra parte il dibattito è sempre stato aperto anche fra i Gaudiya stessi, un dibattito vivace tra coloro che si considerano parte della Sampradaya di Madhva e chi invece sostiene che il Mahaprabhu ne ha iniziata una nuova, indipendente da qualsiasi altra.
Baladeva Vidyabhusana ha dimostrato, a nome di tutti gli autentici Gaudiya, che Sri Caitanya si considerava appartenente alla Madhva Sampradaya. Srila Prabhupada sembra più che d’accordo. Nella Caitanya Caritamrta (Adilila 1.19) dice:
“Sri Caitanya accettò la catena di successione (che proveniva) da Madhva Acarya, ma i Vaisnava nella Sua linea non accettano i Tattva-vadi, che sostengono di appartenere alla stessa Sampradaya. Per distinguersi dal ramo tattvavada, i Vaisnava del Bengala preferiscono chiamarsi Gaudiya Vaisnava. Uno dei nomi di Sri Madhva è Sri Gauda-purnananda, per cui il nome Madhva-Gaudiya-sampradaya è adatto alla successione disciplica dei Vaisnava Gaudiya. Il nostro maestro spirituale, Om Visnupada Srimad Bhaktisiddhanta Sarasvati Gosvami Maharaja, accettò l’iniziazione nella Madhva Gaudiya Sampradaya.”
Dunque, la polemica pare spostarsi: non sono i Tattva-vadi a non accettare i Gaudiya come legittimi appartenenti alla nobile tradizione, bensì è esattamente il contrario. I discendenti di Caitanya non rifiutano Madhva e la sua linea, bensì la sua ramificazione eretica.
Qualcuno potrebbe chiedersi: non avrebbe potuto Gauranga Mahaprabhu iniziare una nuova sampradaya, essendo Egli nientemeno che la Suprema Personalità di Dio?
Tecnicamente avrebbe potuto farlo benissimo. Le sampradaya sono sempre iniziate da Sri Krishna o da una delle Sue emanazioni; nessun uomo comune può avviare una tradizione di conoscenza trascendentale. Solo l’uomo di Dio, colui che viene investito di potere spirituale, è in grado di farlo. Le quattro sampradaya autentiche di Kali-yuga hanno tutte una origine divina. Brahma ricevette conoscenza da Visnu, così come Laksmi, che poi la affidò a Ramanuja. Visnusvami fu istruito da Siva e i Kumara furono allievi di Hamsa, uno degli avatara di Visnu. Questi ultimi (i Kumara) a loro volta insegnarono a Nimbarka. Sri Caitanya, perciò, avrebbe benissimo potuto iniziare una nuova Sampradaya, in quanto egli è Krishna stesso, ma non lo fece perché Egli era nel sentimento del devoto (bhakta-rupa) e un devoto non è nella mentalità del maestro, ma in quella di servizio e di subordinazione (trinad api sunicena taror api sahisnuna). Perciò non ci sono dubbi che Sri Caitanya volesse essere parte della Madhva Sampradaya. Le altre considerazioni (quelle, cioè, per cui i Gaudiya dichiararono di esserne parte solo per questioni di opportunismo) sono opinioni partorite da menti prive di visione spirituale.
E’ vero, però, che Sri Caitanya ha introdotto della Sampradaya di Madhva elementi teologici nuovi. Dopo qualche secolo la scomparsa di quest’ultimo, molti dei suoi discendenti avevano deviato dal sentiero della bhakti e si erano incamminati su quello della logica, del rituale e della fredda disciplina. Una riforma era perciò necessaria.
Ma al di là delle deviazioni storiche, è anche vero che l’insegnamento di Madhva non aveva gli stessi contenuti di quelli di Sri Caitanya: la sua missione non lo prevedeva. Non è una cosa nuova nella storia del Vaisnavismo. Ogni tanto un Acarya apporta modifiche o perfeziona il tracciato dei suoi predecessori, secondo il sacro principio del kala, desa, patra (tempo, luogo e circostanza). Non entra in contrasto, ma corregge alcune linee generali. Basti vedere come Sri Jiva si rivolge nei confronti di Sridhara Svami: lo chiama venerabile Vaisnava, sebbene avesse promosso diversi punti di vista monistici. A proposito del rapporto che intercorre tra i Gaudiya-Vaisnava e Sridhara Svami, i lettori del Caitanya-Caritamrta non mancheranno di ricordare come Sri Caitanya castigò il celebre Vallabhacarya, avendo questi mancato di rispetto a Sridhara Svami.
Per entrare nei piani e nelle logiche del Signore c’è bisogno di purezza: solo allora si diventa capaci di partecipare ai Suoi lila e di capire i rapporti che intercorrono tra i grandi Vaisnava. Senza questa pulizia del cuore e della mente, si entra nel reame della gretta speculazione mentale e si finisce per commettere disastrose aparadha.
Post view 352 times
Leave a Reply