Maha-bharata in Italiano, edizione 2022 – Parte 4

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Kunti e il figlio del sole
Il Re Sura, della stirpe dei Vrishni, aveva un figlio di nome Vasudeva e una figlia di nome Pritha. Suo cugino Kuntibhoja invece non era riuscito ad averne, così Sura pensò di concedergli la ragazza in adozione. Quando la fanciulla entrò nel palazzo dello zio, ricevette il nome di Kunti, essendo stata adottata per l’appunto da Kuntibhoja.
Quelli furono anni di felicità per lei, che con i suoi modi aggraziati ed amabili si era accattivata l’affetto dei genitori adottivi e di tutti i frequentatori della corte.

Un giorno arrivò in città, per una visita, il saggio Durvasa. Quest’ultimo aveva grandi poteri mistici, ma era anche particolarmente irascibile. Si raccontava che in momenti d’ira potesse pronunciare maledizioni terribili dai risultati devastanti.
Nei giorni in cui egli dimorò da loro, Kunti lo servì con grande impegno, riuscendo nella difficile impresa di soddisfarlo. Prima di ripartire Durvasa pensò di ricompensarla.
“Cara ragazza,” disse il Rishi, “tu mi hai servito con grande impegno e fedeltà, quindi io vorrei darti qualcosa che in futuro ti tornerà utile. Ti insegnerò un potentissimo mantra con il quale potrai chiamare al tuo cospetto qualsiasi Deva, che sarà costretto a soddisfare ogni tuo desiderio.”
A quel tempo Kunti era poco più di una bambina e non capì cosa il saggio intendesse dire con “ogni tuo desiderio”. In realtà si riferiva al desiderio di generare figli.

Erano passati diversi mesi dalla partenza del saggio, quando una mattina Kunti, nel veder sorgere il sole, rimase incantata dalla bellezza di quell’astro celeste. Si chiese quanto dovesse essere bello il Deva che governava un pianeta così caldo e affascinante, e provò un forte desiderio di vederlo personalmente. Fu allora che le venne in mente il mantra che Durvasa le aveva insegnato, e impulsivamente lo recitò, pensando a Vivasvan. Appena un attimo dopo la stanza fu inondata da una luce abbagliante e lì Kunti, protetta dal mantra stesso, si trovò di fronte al tanto adorato Deva. Ma subito la ragazza si rese conto di essersi comportata troppo superficialmente chiamando davanti a sé una divinità solo per un gioco infantile così, dopo avergli offerto delle preghiere, si scusò con lui.
“Non devi scusarti affatto,” rispose Surya sorridendo, “poiché la tua avvenenza è tale che può attrarre anche un abitante dei pianeti superiori. Ora io sono qui, pronto a soddisfare ogni tuo desiderio.”
Kunti impiegò del tempo prima di capire la verità, e quando la apprese si sentì disperata.
“Come posso io generare un figlio?” disse fra le lacrime. “Non sono ancora sposata, e se facessi una cosa del genere nessuno mi vorrebbe più.”
“Non preoccuparti per questo,” rispose il Deva, “poiché nostro figlio nascerà immediatamente dopo la nostra unione e tu non perderai la verginità.”

Così nacque Karna.
Al momento della nascita indossava un’armatura naturale e due meravigliosi orecchini, che erano un tutt’uno col corpo. Kunti, estasiata dalla straordinaria bellezza e grazia del bambino, sentì nascere in sé un grande amore materno; pure la ragione le impose di non lasciarsi trasportare dai sentimenti per cui, ponendolo in una cesta, lo abbandonò alla corrente del Gange, facendolo sorvegliare a distanza da una ragazza.
Non molte ore dopo la cesta venne raccolta da Atiratha, un guidatore di carro da guerra della casta dei Suta, e dalla moglie Radha i quali, non avendo avuto figli e desiderandone uno da tempo, lo adottarono.
Fino agli ultimi tragici giorni della battaglia di Kuruksetra, pochissimi sarebbero venuti a conoscenza della storia dell’unione di Kunti con Vivasvan.

Pandu viene maledetto
Qualche anno dopo Kunti sposò il virtuoso e prode Pandu. La vita del giovane, in compagnia delle sue due mogli, trascorreva in piena delizia, ma l’ombra della predizione di Vyasa si stava apprestando.

Un giorno di primavera, mentre era a caccia nella foresta accompagnato da Kunti e Madri, Pandu scorse due cervi che si accoppiavano vicino a degli alberi. In quel momento, dimentico delle regole scritturali che proibiscono l’uccisione di qualsiasi animale nell’atto dell’accoppiamento, questi scagliò un freccia che penetrò nel corpo del maschio. Con grande sorpresa del Re, l’animale ferito cominciò a parlare.
“Io non sono un cervo, ma un eremita che vive in questi boschi. Accecato dall’intossicazione della caccia, tu mi hai colpito mentre, sotto queste sembianze assunte grazie ai miei poteri mistici, mi accoppiavo con la mia legittima sposa. Hai commesso un grave errore. Io ti predico che morirai appena tenterai di avere un rapporto sessuale con le tue mogli.”
Il saggio morì pochi istanti dopo.
Affranto dai sensi di colpa per aver ucciso un Brahmana e per la maledizione che da quel momento gli avrebbe impedito di avere figli, Pandu, accompagnato dalle consorti, abbandonò il regno e si ritirò nella foresta.
Per i Bharata, che si ritrovarono ancora una volta senza Re, fu una grande disgrazia. Come già detto, essendo Dhritarastra condizionato dalla cecità, ancora una volta Bhishma si vide costretto a governare, in attesa della nascita dei figli di uno dei due nipoti.

La nascita dei Pandava
Passarono gli anni.
Nel frattempo per le spose di Pandu il desiderio di avere figli diveniva sempre più prepotente. Allora, pur sapendo della maledizione inflitta al marito, decisero di parlargliene per trovare una qualche soluzione.
“Gli anni si dissolvono come neve al sole,” disse Kunti, “e noi non abbiamo ancora avuto figli. Ogni donna si augura di averne e anche in noi l’esigenza della maternità è diventata molto forte. Come possiamo risolvere questo dilemma che oramai da parecchio disturba le nostre giornate?”
Pandu era desolato.
“Anch’io vorrei tanto avere dei figli, ma sapete bene che non posso, in quanto ciò mi costerebbe la vita. In una circostanza del genere non so proprio quale potrebbe essere la decisione migliore per tutti.”
In quei giorni Kunti aveva riflettuto molto sul problema e aveva deciso di rivelare l’avvenimento della benedizione di Durvasa al marito, ma non gliene aveva ancora parlato per timore che lui potesse non essere d’accordo. Invece quale fu la gioia di Pandu alla notizia di diventare il padre di una prole generata addirittura da esseri di pianeti superiori!
Nei giorni che seguirono, Kunti si preparò a chiamare i Deva.
“Io voglio che il mio primo figlio possegga innanzitutto le qualità della giustizia e della rettitudine,” pensò lei, “così chiamerò Yamaraja.”
Dall’unione del Deva che regola la giustizia e il passaggio delle anime da un corpo all’altro, nacque un maschio che fu chiamato Yudhisthira.
“Ora desidero un figlio che sia forte come mai nessuno lo è stato,” pensò poi Kunti, “così chiamerò a me Vayu.”
E nacque un secondo maschio che fu chiamato Bhima.
“Ora desidero un terzo figlio che sia il più valoroso in combattimento, e questo figlio lo avrò da Indra.”
E dalla loro unione nacque Arjuna.

A quel punto, sentendosi completamente soddisfatta, decise di non procreare più. Ma vedendo Madri avvilita, Kunti le sorrise e le disse:
“Cara amica, so che anche tu desideri dei figli. Ora ti insegnerò il mantra, cosicché tu stessa potrai generare.”
Volendo prole di bell’aspetto e dalla grande erudizione e saggezza, Madri si appellò ai gemelli Ashvini Kumara, medici dei Deva, e da loro ebbe due gemelli che chiamò Nakula e Sahadeva.
Pur non essendo figli diretti di Pandu, essi furono sempre conosciuti come i cinque Pandava, perché nati dalle sue mogli.

Nel frattempo ad Hastinapura era successo un fatto importante. Gandhari, che pure era rimasta incinta, aveva sperato di partorire prima di Kunti, cosicché suo figlio avrebbe avuto la prerogativa sul diritto al trono. Dunque si può ben immaginare la sua delusione quando le fu data la notizia della nascita di Yudhisthira. La collera le fece perdere completamente i lumi della ragione e, accecata dall’ira, si colpì il ventre e abortì. A corte erano tutti disperati, ma Vyasa venne e compose l’aborto, dividendolo in cento parti.

L’anno successivo, nello stesso giorno della nascita di Bhima, nacque il primogenito di Dhritarastra, che fu chiamato Duryodhana. Proprio nel momento della sua nascita, però, dei terribili segni premonitori apparvero, tali da far presagire gravissime disgrazie.
Vidura osservava quei presagi infausti e assorto in gravi riflessioni, andò a trovare Dhritarastra.
“Io so quanto tu sia felice della nascita del tuo primogenito, ma i segni che sono apparsi sopra la nostra città ci fanno capire che non è un’anima pia. Al contrario egli sembra destinato a causare danni enormi. Osserva quelle saette sopra i palazzi, e ascolta come ululano i nostri cani; avverti i tremori sui nostri corpi e guarda come le murti piangono. Fratello mio, tuo figlio porta con sé un destino di disgrazie e immani dolori che spartirà con tutti noi. Ascoltami: se vuoi salvare la nostra famiglia, il nostro regno e tutta la razza degli Kshatriya non lasciarlo vivere. Fallo uccidere immediatamente.”
A quelle parole Dhritarastra fremette.
“Anche se purtroppo non posso vedere, anch’io sento nel mio cuore presagi terribili apportatori di morte e capisco anche quanto giusti siano i tuoi consigli. Ma non riesco neanche a pensare di uccidere mio figlio: come potrei? Ho atteso tanto questo momento. Non ci riuscirei mai.”
Vidura insistette, e con lui anche Bhishma, ma i due non furono capaci di fargli accettare la cosa. E così Duryodhana visse.
Nel corso del tempo nacquero 100 figli e una figlia.

La morte di Pandu
I Pandava trascorsero la loro infanzia nella foresta, ricevendo i primi insegnamenti dai saggi che vivevano negli eremi.
Trascorsero quindici anni felici per Pandu, in compagnia dei figli e delle mogli, ma ciò che è scritto nel libro del karma di ognuno di noi è inevitabilmente destinato ad accadere. Ricorderete infatti ciò che Vyasa disse alla madre dopo l’incontro con Ambalika:
“Questo tuo nipote non è destinato a vivere a lungo…”
Così accadde che un giorno di primavera Pandu, mentre gli altri erano nella foresta, vide sua moglie Madri da sola, e un forte desiderio sessuale lo invase al punto da non sapervi resistere. Pertanto, nonostante quest’ultima tentasse di ricordargli la maledizione del Rishi, volle possederla; in quel preciso istante cadde al suolo senza più vita. Madri pianse e gridò aiuto, richiamando l’attenzione di Kunti e dei cinque ragazzi che, giunti sul posto, videro Pandu al suolo senza vita.
“Come hai potuto accettare di accoppiarti con lui,” gridò Kunti, “sapendo della maledizione che gravava su di lui? Dovevi rifiutarti, ricordargli cosa l’aspettava se lo avesse fatto…”
“Io ho cercato di resistergli, di ricordargli della maledizione del Brahmana,” pianse la regina affranta, “ma lui sembrava fuori di sé, come se fosse stato posseduto da un demone. Non ho avuto la forza fisica di resistergli.”
I saggi della foresta consolarono le due donne e i cinque ragazzi e pochi giorni dopo celebrarono i riti funebri durante i quali il corpo fu bruciato sulla pira. Madri pensò di non poter vivere con il rimorso di ciò che aveva causato, pur involontaria mente, e seguì Pandu nella morte. Kunti adottò i suoi figli.

Dopo la tragedia, i Pandava decisero di tornare ad Hastinapura, il regno del padre, per approfondire gli studi. Inoltre Yudhisthira era il principe ereditario al trono, per cui appena il periodo scolastico fosse terminato avrebbe dovuto governare sul vasto regno dei Bharata.
Così i cinque giovani, accompagnati dalla madre e da molti saggi, si incamminarono verso la capitale.
Kunti e i cinque Pandava furono ricevuti dai parenti con calore.

Predizioni funeste
Non molto tempo dopo l’arrivo dei figli di Pandu, ricevuto con tutti gli onori, nella città dei Kuru arrivò Vyasa.
Il giorno seguente il saggio volle parlare alla madre.
“Tempi tenebrosi si avvicinano,” disse, “tempi in cui la verità verrà momentaneamente coperta dall’empietà e dalla falsità. Molto sangue e lacrime di madri, mogli, figli, amici e parenti scorreranno su queste terre. Non passerà molto tempo e su questo mondo non ci sarà nessuno che non avrà qualcuno da piangere.”
Satyavati era allarmata dalle parole del figlio.
“Cosa dici? Cosa avverrà e chi dovrà piangere i propri cari?”
“I figli di Dhritarastra sono dei malvagi, e per colpa della loro empietà l’intera stirpe degli Kshatriya della terra perirà in una terribile guerra. Non c’è nulla che possa essere fatto per evitarla, visto che Dhritarastra non ha voluto seguire i consigli di Vidura al momento della nascita di Duryodhana. Questa guerra è voluta dai Deva e dallo stesso Signore Supremo. Presto molto dolore scorrerà come una maledizione su tutta Bharata-varsha.”
Satyavati sapeva che le parole di Vyasa non avrebbero potuto rivelarsi erronee, per cui, non volendo assistere a quegli avvenimenti catastrofici, annunciò di volersi ritirare per una vita meditativa nella foresta.
Ambika e Ambalika vollero seguirla.

Il primo attentato
Per i cinque giovani iniziò una vita completamente diversa. I tempi piacevoli ma austeri della foresta erano andati, e per la prima volta provarono le gioie del mondo regale, fatta di sfarzi e opulenze di ogni tipo.
Fra i giochi di gioventù, il tempo trascorreva piacevolmente, ma i ragazzi non prestavano minore attenzione all’apprendimento. Insieme a molti altri principi, i Pandava approfondirono gli studi a cui erano stati iniziati dai saggi della foresta. Essi erano ragazzi ingegnosi e per apprendere le cose non dovevano fare sforzi particolari. E più i giorni passavano e più risultava chiaro che i cinque figli di Pandu avessero doti straordinarie che permettevano loro di eccellere sopra tutti gli altri: Yudhisthira era il più saggio e virtuoso di tutti, Bhima il più forte, Arjuna il più abile con le armi, Nakula e Sahadeva erano i più bravi nel trattare con i cavalli.
Duryodhana, il primogenito di Dhritarastra, che cresceva in costante compagnia dei cugini, cominciava a sentirsi irritato da quella supremazia che gli rovinava i suoi giochi giovanili; non c’era sport in cui il migliore fra di loro non fosse uno dei Pandava.
Dall’irritazione sorse a poco a poco l’invidia e poi il rancore. Non bisogna dimenticare che se Yudhisthira fosse nato un anno dopo o se i Pandava non fossero più tornati ad Hastinapura, egli avrebbe ereditato il trono dei Bharata. La prospettiva di non poter mai diventare Re infastidiva sempre più il giovane che a quell’età cominciava già a dare importanza al proprio futuro.
L’invidia divenne bruciante, in special modo nei confronti di Bhima il quale, nella sua giovanile innocenza, non si lasciava sfuggire nessuna occasione per umiliarlo davanti a tutti. In special modo nella lotta, grazie alla sua forza sovrumana, Bhima lo sconfiggeva regolarmente. Duryodhana non poteva fare a meno di ricordare i tempi passati, quando non erano ancora giunti i cugini ed egli era oggetto delle attenzioni di tutti gli abitanti a corte, ma ora tutti parlavano solo di loro, tutti elogiavano in continuazione solo loro.
In quel periodo il giovane soffrì molto.

Duryodhana aveva uno zio materno che si chiamava Sakuni. Particolarmente affezionato al nipote, egli avvertì che qualcosa non lo faceva essere del suo solito umore e si chiese cosa potesse essergli successo. Così, in un momento in cui lo trovò solo, gli parlò.
“E’ parecchio tempo che ti vedo adombrato e lo trovo strano. Solitamente sei sempre gioviale e pronto allo scherzo con tutti. Hai forse qualche problema? Qualche pensiero che ti preoccupa particolarmente? Apriti dunque con me, Duryodhana, dimmi cos’è che ti rende così triste.”
“Cosa mi preoccupa?” ribatté il principe. “E’ così difficile da capire? Prima che arrivassero i Pandava io ero destinato a diventare il Re dei Bharata e sicuramente l’imperatore del mondo intero. Tutte le attenzioni erano per me e tutti mi coprivate di affetto. Inoltre io ero sempre il migliore e nessuno mi vinceva nei giochi di guerra.
“Ma da quando sono arrivati loro, i figli di Pandu, ogni cosa è cambiata. Io non diventerò Re a causa della cecità di mio padre, e Yudhisthira, che è nato un anno prima di me, presto salirà al trono. E come se non bastasse, la loro superiorità è reale, lui è veramente migliore di me sotto tanti aspetti e dove non riesce i suoi fedelissimi fratelli gli danno sempre il massimo appoggio. Immagina se un giorno ci dovesse essere un serio litigio fra me e Yudhisthira: hai mai visto combattere Bhima? La sua forza fisica non è umana, così finché ci sarà lui Yudhisthira può dormire sonni tranquilli. E poi Arjuna. La sua istruzione militare è appena iniziata, eppure usa le armi come se non avesse mai fatto altro fin dai primi anni della sua vita. Guarda Nakula… hai mai visto un ragazzo più bello? Le sue fattezze fisiche sono tanto perfette quanto quelle dei Deva dei pianeti più alti e si batte con l’agilità di un Gandharva. Le fanciulle non hanno occhi che per lui. E Sahadeva? Pensa che riesce persino a dialogare con i cavalli e li cavalca in maniera perfetta.
“Tutti e cinque sono virtuosi, gentili, intelligenti e nessuno può fare a meno di amarli incondizionatamente. Il nostro Bhishma stravede per loro, il maestro Kripa riserva per loro le sue gentilezze più particolari, i visi dei Brahmana di corte si illuminano quando li vedono, e persino mio padre non nasconde il suo apprezzamento nei loro confronti. Insomma, da quando sono arrivati, io e i miei fratelli non esistiamo più e non abbiamo le stesse prospettive che avevamo prima. Considerando questa situazione, non dovrei sentirmi amareggiato?”
La sfuriata di Duryodhana fu lunga e amara; forse non aspettava altro che di sfogarsi con qualcuno, ma di sicuro aveva scelto la persona sbagliata. Ci sarebbero state molte cose che Sakuni avrebbe potuto dire per lenire il dolore del nipote, però fra le tante scelse le meno opportune. D’altra parte non tutte quelle lamentele avevano reale fondamento; era fuori dubbio che gli anziani di corte amassero i Pandava e che li riservassero di speciali premure, ma non era affatto vero che Duryodhana fosse stato accantonato. I cinque ragazzi inoltre erano vissuti nella foresta, senza nessun agio, e avevano dovuto sopportare la sofferenza di vedere il padre morto, per cui era naturale che gli anziani Kurava cercassero di farli sentire amati e protetti. Ma anche lui, Duryodhana, era al centro di manifestazioni d’affetto, anche se ovviamente non era proprio come prima della venuta dei Pandava. Un ragazzo normale della sua età si sarebbe sentito appagato da quelle attenzioni, ma egli purtroppo non era una persona normale: aveva un problema grande, intrinseco alla sua natura: era invidioso, non sopportava nessuno che avesse qualcosa più di lui. La sua gelosia era proporzionale alla forza di Bhima e all’abilità di Arjuna.
“Immaginavo qualcosa del genere,” gli rispose Sakuni, “e anch’io stavo considerando con serietà la situazione. Io so che i Pandava hanno qualità eccezionali, che sembrano quasi di origine divina. In tutto il mondo non si trovano giovani come loro. Quando saranno cresciuti prenderanno il comando di questo vasto regno per diritto di nascita, e sicuramente governeranno con forza. Allora cosa rimarrà a te e ai tuoi fratelli? Al massimo il comando di qualche provincia, e sarete per sempre assoggettati ai presuntuosi cugini. Qualcuno potrebbe dire che essi sono così buoni d’animo che non faranno mai pesare il fatto di essere i governanti supremi, ma noi lo sappiamo che il potere dà alla testa e fa perdere ogni virtù. Nipote mio, sono d’accordo con te: tutto fa credere che un giorno, ritenendoti un potenziale nemico, i figli di Pandu marceranno contro di te e i tuoi fratelli allo scopo di eliminarvi. Io non ho dubbi che accadrà proprio questo.”
Perché Sakuni aveva detto quelle parole al nipote? Probabilmente riteneva proprio che le cose sarebbe dovute inevitabilmente andare in quel modo, ma c’erano anche altre ragioni. Non dimentichiamo che egli era lo zio diretto di Duryodhana e che logicamente preferiva avere lui come Re dei Bharata piuttosto che Yudhisthira, del quale temeva la potenza. Un giorno che lui, il giovane figlio di Gandhari, fosse diventato Re, il suo regno, quello dei Gandhara, ne avrebbe tratto grandi profitti. Sicuramente non poteva prevedere quali pieghe avrebbe preso il futuro.
“Ma del resto cosa si può fare?” riprese Duryodhana. “Yudhisthira è l’erede di diritto e noi non possiamo convincere mio padre, Bhishma e tutti gli anziani ad andare contro le ordinanze scritturali che sono sempre state osservate da ogni famiglia nobile. Per noi non c’è nulla da fare.”
“Un principe come te, che appartiene a una stirpe celebre in tutto il mondo per valore e intelligenza,” ribatté in tono combattivo lo zio, “non deve mai sentirsi inerte davanti alle difficoltà, ma ha sempre il dovere di agire con grande vigore; ne va di mezzo il futuro tuo e dei tuoi familiari, me stesso compreso. Agisci con forza. Non è vero che non si può fare niente per risolvere questa situazione. Per ogni problema esiste una soluzione; basta saperla trovare.”
Duryodhana fu colpito da quelle parole. Fino ad allora aveva considerato la cosa come una maledizione alla quale era impossibile sottrarsi, per cui ci era vissuto accanto con rassegnazione, ma ora, ascoltate le parole dello zio, una luce di speranza si accese nel suo cuore e le prime idee diaboliche cominciarono velocemente a scorrergli nell’intimo corroso dall’invidia.
“Bisogna al più presto togliere il potere ai Pandava,” incalzava Sakuni, “perché col tempo essi stringeranno nuove amicizie e alleanze, e la loro potenza aumenterà, fino a che arriveremo al punto in cui essi saranno realmente diventati invincibili.”
Convinto da Sakuni, Duryodhana liberò la propria invidia di qualsiasi inibizione.
“E’ vero, dobbiamo agire contro quella che è la fonte prima della loro forza e io so qual è: Bhima. Lo possiamo vedere persino quando giochiamo. Chiunque attacca Yudhisthira, immediatamente Bhima interviene con la sua forza sovrumana e lo libera da ogni pericolo. E più il tempo passa, più diventa forte. Se vogliamo liberarci dei Pandava dobbiamo prima eliminare Bhima.”
Così, messo al corrente anche Dusshasana, il fratello minore, concertarono il piano di avvelenare e gettare Bhima nel fiume.
La cosa non riuscì loro difficile perché nessuno avrebbe mai sospettato che Duryodhana fosse arrivato a tal punto. La sua gelosia nei confronti dei cugini era risaputa, ma sembrava più che altro una cosa da ragazzi.
I tre cospiratori mischiarono del veleno nel cibo del Pandava, il quale, dopo averlo mangiato, cadde al suolo apparentemente senza vita. A quel punto lo legarono e lo gettarono nel Gange.
Convinti di essere riusciti ad ucciderlo e, pienamente soddisfatti della loro nefandezza, ritornarono al palazzo.

Intanto il corpo di Bhima era stato inghiottito dalle acque del fiume e sprofondava inesorabilmente verso gli abissi.
Nelle profondità del Gange vivevano molti serpenti velenosi che, scorta quella presenza umana, temettero di essere in pericolo per cui la attaccarono, mordendola ripetutamente. Il veleno dei Naga, mischiatosi a quello che Bhima aveva ingerito, causò una reazione chimica tale da agire come antidoto. Vedendo quel corpo muoversi nonostante il loro potentissimo veleno, essi se ne stupirono e corsero ad informare il loro sovrano Vasuki dello strano avvenimento. Questi volle recarsi di persona sul posto per accertarsi dell’accaduto e immediatamente riconobbe in quella persona priva di sensi Bhima.
“Senza saperlo avete salvato la vita al prode figlio di Pandu,” proclamò Vasuki, “che ci aiuterà a liberare il mondo dalla indesiderata potenza degli Asura. Sorvegliatelo e curatelo. E appena starà sul punto di svegliarsi, correte ad avvertirmi .”

Bhima dormì profondamente per qualche giorno. Poi cominciò a sentire la coscienza tornare. Ma nel momento in cui riaprì gli occhi quale fu il suo stupore nel vedersi circondato di serpenti. I Naga, infatti, appena si erano resi conto che il loro ospite si stava risvegliando, si erano affrettati a chiamare Vasuki. Così in quel momento erano tutti lì, al suo capezzale.
“Dove mi trovo? E chi siete voi? Perché sono in queste acque?”
“Io sono Vasuki, il figlio maggiore di Maharshi Kashyapa. Tu sei affondato in queste acque e stavi per morire a causa di un potente veleno che avevi ingerito, ma loro, mordendoti, ti hanno salvato. Devi sapere che tu sei protetto dal Brahman Supremo, la Persona Divina stessa, che veglia su di te e sui tuoi fratelli. Sappi che si avvicinano tempi molto difficili e che le vostre vite saranno costantemente in pericolo. Non fidatevi dei vostri cugini: essi sono anime malefiche, specialmente Duryodhana, il quale è invidioso di voi. E’ stato lui a mettere il veleno nel cibo, e se non fosse stato per la tua nascita divina e per la protezione di cui godi insieme ai tuoi fratelli, saresti morto. Torna da loro, e d’ora in poi vigilate attentamente.”
Vasuki diede da bere a Bhima una pozione divina che moltiplicò la sua già considerevole forza fisica. Per effetto di quell’elisir, egli sprofondò di nuovo in un sonno profondo, e dormì per otto giorni. E dopo averne trascorso altri due in compagnia di Vasuki, il Pandava tornò sulla terra.

Ai fratelli, che nel frattempo avevano vissuto momenti di profonda angoscia, raccontò tutto ciò che era successo.
“Da oggi in poi dovremo stare molto attenti, poiché sembra che Duryodhana abbia ormai messo fine al periodo della fanciullezza e abbia intenzione di commettere azioni diaboliche,” concluse Yudhisthira.
Kunti, Vidura e Bhishma, venuti a conoscenza di quel terribile avvenimento, cominciarono seriamente a preoccuparsi.
Quando Duryodhana seppe che Bhima era ancora vivo, si riunì con Sakuni e Dusshasana per progettare altri piani su come sbarazzarsi degli invadenti cugini.

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