Il sesto giorno
Di prima mattina la battaglia divenne subito intensa come il giorno precedente. Drona preferì evitare lo scontro con Bhima e si concentrò sulla decimazione dei soldati. Anche lui, come Bhishma, non poteva concepire di uccidere nessuno dei Pandava.
Ma approfittando di un momento di confusione il Pandava, forte al pari di diecimila elefanti, ordinò al suo auriga di puntare verso l’armata avversaria e di penetrarla; e allorchè i soldati lo videro sopraggiungere con il suo tipico cipiglio furibondo, ne furono terrorizzati. Si diffuse il panico.
“Bhima sta arrivando; fuggiamo, o questo sarà il nostro ultimo momento di vita,” gridavano.
Lasciando dietro di sè lo scompiglio generale, penetrò nelle file nemiche con la rapidità del vento. Ma calcolò che la velocità dei cavalli non gli era sufficiente per cui, afferrata la gigantesca mazza, continuò la sua corsa a piedi con la stessa violenza di un uragano. Nessuno riusciva neanche a vederlo: il suo passaggio poteva essere dedotto solo dalla scia di distruzione che si lasciava dietro. Quando Dhristadyumna seppe che Bhima era penetrato nelle file nemiche senza l’aiuto delle truppe, preoccupatosi volle seguirlo.
A un certo punto trovò Vishoka, l’auriga del Pandava.
“Dov’è Bhima, il mio più caro amico? dov’è andato? perchè non è più sul suo carro?” gridò.
“Egli non ha voluto la protezione del carro,” rispose questi. “E’ sceso con la sola mazza in mano ed è penetrato nelle fila nemiche a piedi. Io gli ho consigliato di non farlo, ma lui non ha voluto ascoltarmi.”
Dhristadyumna, che conosceva bene l’innata impulsività di Bhima, particolarmente in ansia, decise di continuare a cercarlo finchè non l’avesse trovato. E anch’egli si scagliò contro il nemico, incuneandosi sempre di più, e causando come già l’amico un’immane desolazione. Non andava alla cieca, aveva una traccia da seguire: ovunque vi fossero cadaveri di uomini e di animali ancora sanguinanti, il Pandava doveva essere passato di là da poco.
D’un tratto riuscì a scorgerlo mentre, fumante rabbia e terribile come il dio della morte, era attorniato da migliaia di nemici. Accortosi dell’arrivo di Dhristadyumna, Bhima gli lanciò uno sguardo compiaciuto. I due continuarono a combattere insieme con terribile efficacia. Alla vista dei due maharatha che fronteggiavano i suoi soldati, Duryodhana si preoccupò di quello che avrebbero potuto causare. Mandò un gruppo dei suoi fratelli più forti a proteggere le truppe.
Dopo aver messo in fuga Drupada, Drona s’accorse che molti fratelli del Re erano nelle vicinanze di Bhima: correvano perciò un pericolo mortale. E cercò di aiutarli. Ma quando, sulla scia dei Pandava, arrivò anche Abhimanyu, la carneficina che ne scaturì divenne inenarrabile. Terrorizzati da quel trio di indiavolati, i figli di Dhritarastra fuggirono precipitosamente; l’unico che rimase fu Vikarna, che ingaggiò un favoloso duello contro Abhimanyu, durante il quale fu impossibile determinare chi tra i due fosse il migliore.
Duryodhana vide i suoi fratelli scappare e si scagliò contro il figlio di Pandu, ma riuscì a malapena a mantenere salva la vita. Alla fuga del Re Kurava seguì un grande massacro.
Durante quei durissimi scontri, il sole tramontò. Subito dopo le milizie si ritirarono.
La sera Bhishma andò nella tenda di Duryodhana, che soffriva penosamente per le ferite inflittegli da Bhima e lo curò con degli infusi di erbe. Pure la pena causatagli dalle ferite era ben poca cosa in confronto al dolore che gli procurava il suo orgoglio deluso. Una giostra di immagini gli affollava in continuazione la mente ed ognuna riproduceva nitidamente il ghigno furioso di Bhima, l’abilità guerriera di Arjuna e di Abhimanyu, le sue truppe trucidate sul campo.
Il settimo giorno
Quando al sorgere del sole i guerrieri si riaffacciarono sul campo di Kuruksetra, realizzarono cosa erano stati capaci di fare il giorno prima. Le vittime erano state molte decine di migliaia.
Quella mattina ambedue gli eserciti si disposero in formazioni difficilissime da penetrare.
E l’inizio della giornata fu testimone di duelli fra i maharatha più celebri: Drona contro Virata e Drupada, Asvatthama contro Shikhandi, Duryodhana contro Dhristadyumna, Nakula e Sahadeva contro lo zio Salya; Vinda e Anuvinda tentarono di fronteggiare il figlio di Indra, e Bhima fu affrontato da Kritavarma; Abhimanyu si scontrò con Citrasena, Vikarna e Dusshasana, mentre Bhagadatta tentò di frenare l’irruenza di Ghatotkacha; Satyaki si ritrovò a lottare con il Rakshasa Alambusha.
Le prime battute furono davvero promettenti per quei guerrieri che non temevano la morte e che amavano ammirare ogni prodigio di arte marziale.
Non lontano da Arjuna c’era la grande armata dei Trigarta. Così quest’ultimo disse a Krishna:
“Amico mio, lì comincia il vasto esercito di Susharma, che è sempre stato un nostro nemico. Guida il carro in quella direzione, affinchè io possa annientarlo.”
Facendo sentire il suono di Gandiva, Arjuna invocò l’arma chiamata aindra e da una singola freccia ne scaturirono a migliaia; in pochi secondi una tempesta di frecce ruppe la barriera difensiva e diffuse il terrore. I soldati fuggirono da Bhishma per chiedere protezione.
Vedendo Susharma impotente contro Arjuna, il figlio di Santanu si precipitò in difesa dei Trigarta e il favoloso duello riprese. Ma Duryodhana, che temeva per la vita di Bhishma, non era affatto contento di quei duelli, e ordinò di portargli soccorso.
Virata, che aveva già perso due figli in quella battaglia, quel giorno ne pianse un terzo: mentre si trovava impegnato in un duello contro Drona, il suo carro era stato distrutto e il figlio Shankha era corso in suo aiuto. Ma proprio mentre Virata saliva sul veicolo da guerra, una formidabile freccia dell’Acarya aveva colpito il figlio in pieno petto, penetrandolo fino al cuore. Disperato per la perdita dei suoi tre figli, questi tentò di vendicarsi, ma nulla potè contro lo strapotere guerriero del Brahmana.
Gravemente ferito alla fronte da Shikhandi, Asvatthama reagì con furia, uccidendogli l’auriga e i cavalli, e tempestandolo di frecce. Il prode Panchala, a terra e senza alcuna protezione, si difendeva facendo roteare la spada, tagliando a mezz’aria le armi che gli venivano scagliate contro, mentre si avvicinava sempre di più al suo avversario. Schivando tutto con la leggerezza di un’aquila, Shikhandi sembrava la regina dell’aria mentre è sul punto di afferrare una preda. Ma d’un tratto fu messo in difficoltà; Satyaki, che aveva appena completato la distruzione dell’armata di Alambusha, accorse e lo prese nella protezione del suo carro.
Più in là Duryodhana non riusciva a contrastare Dhristadyumna, proprio mentre Kritavarma fuggiva dal cospetto di Bhima. Questi si era appena ritirato che Bhima si concentrò sulla sua attività preferita: il massacro dell’esercito degli elefanti.
Anche quel giorno gli alleati dei Kurava si prodigarono con tutte le loro forze al fine di fronteggiare valorosamente i Pandava, ma non c’era proprio nulla da fare. Così come il mare ingoia le acque del Gange e ne dissolve il sapore dolce, alla stessa maniera la bravura dei Pandava dissipava la forza Kurava. Non si poteva rimproverare niente a nessuno perchè ognuno si stava impegnando al massimo delle proprie capacità, senza pensare a mantenere la propria incolumità.
Ma Duryodhana continuava a essere ossessionato dalla stessa domanda: perchè stava perdendo? Eppure la risposta, per quanto fosse così semplice e logica, non riusciva a farsi strada nella sua mente.
Uno dei duelli più belli della giornata fu quello tra Bhagadatta che, sul suo elefante, splendeva come un secondo Indra e Ghatotkacha. Quella volta però fu il figlio di Bhima a doversi ritirare.
Intanto Sahadeva era riuscito a ferire gravemente Salya, che cadde svenuto sul suo carro.
Venne mezzogiorno, l’ora in cui il sole culmina.
Yudhisthira combatteva come un cobra infuriato contro Shrutayu, costringendo il celebre guerriero a ritirarsi. Il maggiore dei Pandava quel giorno fu irriconoscibile, non sembrava più la stessa persona gentile di sempre: quel giorno combattè come un ossesso.
Kripa fu sconfitto da Chekitana, mentre Abhimanyu risparmiò di proposito tre dei figli di Dhritarastra e fissò la sua attenzione su Bhishma. Arjuna, che si era accorto dei propositi del figlio, disse a Krishna:
“Oggi il nostro giovane leone darà del filo da torcere al figlio di Ganga; per un pò non dovremo stare in ansia a causa sua. Possiamo andare da un’altra parte.”
Così il Pandava perseguitò ancora i Trigarta che, spaventati e demoralizzati, cercarono rifugio della fuga.
E ad un certo momento la situazione volse in un modo tale che i cinque fratelli Pandava si ritrovarono uniti di fronte a Bhishma: fu una visione da favola, un combattimento come si sarebbe potuto ammirare solo sui pianeti celesti. Molti accorsero ad aiutare Bhishma il quale oltre a dover tenere testa ai fratelli aveva di fronte anche Shikhandi, e questo lo rendeva impacciato. Salya allora intercettò il Panchala e lo trascinò via dalla scena. Da ogni parte si accesero duelli furibondi, e le armi guizzarono con grande violenza.
Ma anche quel giorno terminò. I Pandava avevano ottenuto grandi successi, specialmente nei duelli personali, ma avevano anche perso molti soldati per opera di Bhishma.
Shikhandi era indignato: avrebbe voluto combattere contro l’anziano, ma ogni volta che provava a lanciargli la sfida, questi si girava di spalle e non reagiva.
L’ottavo giorno
E il sole sorse per l’ottava volta su quella distesa di uomini, animali e mezzi riuniti a Kuruksetra.
Dopo aver compiuto le sue devozioni mattutine, Bhishma si soffermò a riflettere su ciò che era successo il giorno precedente e credette giusto organizzare l’armata secondo la urmi, l’oceano. Tale formazione permetteva continui dilagamenti offensivi che si sarebbero potuti diffondere in ogni parte, proprio alla stregua delle onde del mare.
Yudhisthira, che aveva osservato attentamente il formidabile schieramento nemico, chiese ai suoi generali di rispondere con la sringataka. Praticamente si trattava di molteplici corni che avrebbero potuto penetrare facilmente la formazione nemica.
Le ostilità ebbero inizio.
Deciso a non permettere la solita carneficina giornaliera, Bhima si pose davanti al vecchio Bhishma e non si arrese finchè non gli ebbe ucciso l’auriga e distrutto il carro. Ma mentre continuava a combattere contro il nonno, proprio nelle vicinanze scorse con la coda dell’occhio otto figli di Dhritarastra abbastanza vicini l’uno all’altro. Ruggendo di gioia, li attaccò con furia tremenda e dopo aspri duelli li uccise tutti. Duryodhana, che era lì da presso, dovette assistere alla scena senza poter intervenire: come in un incubo gli tornò in mente la voce del Pandava che lontana negli anni giurava:
“Ucciderò te e tutti i tuoi fratelli. Che io possa perdere i miei meriti spirituali se non manterrò la promessa.”
Ora, a vederlo combattere con quell’ardore, si capiva che Bhima aveva tutta l’intenzione di mettere in atto i suoi propositi. E di nuovo Duryodhana ebbe paura per la propria vita e per quella dei suoi fratelli. Ma quando rivelò le sue preoccupazioni al maestro, questi gli rispose con gli ammonimenti di sempre. Così, con le immagini di quell’ennesima tragedia impresse nella mente, riprese a combattere con grande tristezza.
Giunse il mezzogiorno su quell’immensa carneficina.
Quella volta furono Nakula e Sahadeva a destare l’ammirazione di tutti, combattendo con le spade sguainate l’uno a fianco dell’altro. Quel giorno furono tremendi. Tale era la loro velocità che riusciva difficile a chiunque determinare dove fossero: talvolta li si vedeva correre sul terreno roteando le armi, altre volte in aria come se volassero, oppure sui tetti dei carri mentre con incredibile velocità decimavano i loro avversari. Ma bisogna riconoscere che Bhishma e Drona non furono da meno ai gemelli e a Bhima.
Purtroppo nelle prime ore del pomeriggio fu Arjuna a subire una grave perdita: il figlio Iravan, nato da Ulupi durante il suo tirtha-yatra, così valoroso da poter essere paragonato ad Abhimanyu, dopo aver messo Sakuni in fuga, cadde in un aspro combattimento per mano di Alambusha.
Trascinati dalle ali dell’entusiasmo per il successo ottenuto dal Rakshasa, i Kurava sferrarono un veemente attacco che travolse l’armata dei Pandava. Fu Ghatotkacha che, furibondo per la morte del cugino, salvò la situazione. Giocando con i nemici come un gatto fa col topo, dapprima sconfisse Duryodhana, poi causò al suo esercito enormi perdite e respinse l’offensiva. E ancora ebbe diversi figli di Dhritarastra sotto il suo potere e avrebbe potuto ucciderli, ma non lo fece per rispetto verso il giuramento del padre. Come sopracitato, Duryodhana si era ritrovato in balia del Rakshasa ed erano dovuti intervenire in forze per soccorrerlo. Ma quando Ghatotkacha aveva visto così tanti eroi davanti a sè non solo non si era spaventato, ma aveva sentito crescere dentro di sè l’eccitazione per il combattimento. Ora le sue grida rimbombavano ovunque: era come se milioni di spettri sanguinari avessero invaso il campo e stessero sterminando i Kurava.
Yudhisthira riuscì a distinguere la voce del nipote e fece chiamare Bhima.
“Fratello, ascolta, questo è Ghatotkacha. Non c’è dubbio che in questo momento è tutt’altro che in difficoltà. Sarà sicuramente impegnato a uccidere migliaia dei nostri nemici. Ma è meglio essere prudenti. Giacchè Arjuna è occupato a difendere i figli di Drupada da Bhishma, ora come ora nessun altro all’infuori di te può essergli veramente utile; va tu da lui, quindi, e sostienilo nel combattimento.
Bhima raggiunse il figlio con grande velocità.
Sotto i loro colpi possenti sembrava che l’intera armata Kurava fosse sul punto di essere schiacciata, tanto che anche i più coraggiosi dovevano cercare scampo nella fuga. Duryodhana, schiumante di rabbia, incitò il suo auriga a dirigersi verso Bhima, ma non ci mise molto a realizzare che il Pandava era troppo forte; così nel momento in cui lo vide precipitarsi contro di lui con la mazza sollevata e con tutta l’intenzione di schiacciarlo sotto i suoi colpi possenti, fuggì via precipitosamente.
Appena i soldati videro il Re scappare, lo imitarono. Da soli Bhima e Ghatotkacha erano riusciti a mettere in fuga una buona parte dell’esercito nemico.
Duryodhana corse da Bhishma.
“Bhima e il figlio stanno causando una vera devastazione; non si riesce a contenerli. Vai tu e proteggi le nostre truppe.”
“Kurava, purtroppo non posso venire personalmente, altrimenti Arjuna e Abhimanyu bruceranno le nostre armate in pochi minuti. Manderò Bhagadatta a fronteggiare il figlio di Vayu.”
E ancora l’anziano monarca e il suo elefante Supratika accorsero e riordinarono le truppe in fuga. Poi si scagliarono contro quei due nemici indiavolati.
Il monarca di Dasharna, che pure cavalcava un enorme e possente elefante, tentò di impedire loro l’avanzata, ma dovette battere in ritirata. Supratika, con centinaia di ferite e la testa inondata di sangue, non si curava del dolore, anzi più veniva bersagliato più la sua furia distruttrice aumentava. Sentendo i barriti furibondi dell’animale e il guizzo delle armi, Arjuna accorse e il putiferio aumentò. Fu allora che il figlio di Indra apprese la notizia della morte di Iravan.
“Così tanti morti solo a causa dell’invidia di Duryodhana,” disse con voce triste a Krishna, “Vidura lo aveva predetto, lui sapeva chiaramente cosa sarebbe successo. Per questo ha sempre cercato la maniera di evitare tutto ciò. In una settimana le nostre armate, che pure erano così imponenti, si sono assottigliate di molto. Quanti morti, quanto sangue.”
La notizia della morte del nipote Iravan arrivò anche a Bhima. La sua rabbia divampò. Cercò altri figli di Dhritarastra da immolare sull’altare della vendetta e soltanto quando nel pomeriggio riuscì ad ucciderne altri otto sembrò acquietarsi un pò. Sapendo ormai bene che il raptus di follia distruttiva che lo aveva preso in quel momento non si sarebbe del tutto placato fino a che non avesse sterminato qualsiasi uomo o oggetto gli fosse capitato a tiro, i Kurava persero ogni voglia di continuare la battaglia e si ritirarono.
Scese l’oscurità.
I Pandava avevano subito pesanti perdite, ma quelli che avevano avuto la peggio erano stati senz’altro i Kurava.
Nella tenda di Bhishma
Ciò che era successo durante la giornata era insostenibile per Duryodhana. L’arroganza dei primi giorni era scomparsa: sempre più stava constatando che non solo la battaglia non si sarebbe conclusa tanto velocemente, cosa di cui invece era sempre stato sicuro, ma al contrario i Pandava sembravano vicini a un’inesorabile vittoria. L’unico che potesse risollevarlo dal suo dolore, pensò, era Karna. Andò a trovarlo nella sua tenda e gli raccontò tutto.
“Le nostre armate sono guidate dai più grandi generali che esistano al mondo,” gli disse Duryodhana sconsolato, “ma essi, Drona, Bhishma, Salya e Kripa si rifiutano di uccidere i Pandava. E’ vero che ogni giorno fanno strage di soldati, ma a che serve? Bhishma assottiglia le loro file e Arjuna fa lo stesso con le nostre, così la situazione non si sblocca. Per vincere questa guerra dobbiamo uccidere i Pandava, non i loro soldati.”
“So come stanno andando le cose,” ribattè Karna, “e vorrei fare qualcosa per vederti vittorioso e felice, ma al momento non posso. Finchè Bhishma vivrà io non interverrò in questa guerra. Tuttavia, se non sei soddisfatto della sua condotta, chiedigli di ritirarsi, per permettere a me di scendere sul campo.”
Rincuorato da quel discorso, Duryodhana decise di andare a parlare con l’anziano. Ma questi, ferito dalle veementi parole del Re Kurava, controllò a fatica la rabbia.
“Io non potrei uccidere i Pandava neanche se lo volessi,” ribattè con tono forzatamente gentile. “Sono protetti da Krishna, e dunque neanche i Deva possono nulla contro di loro; ma non vedi cosa è in grado di fare Arjuna? Comunque domani vedrai cosa saprò fare io.”
Malgrado quella promessa, quando tornò nella tenda Duryodhana non si sentiva ancora soddisfatto. Solo Karna aveva la voglia e la capacità di battersi contro i Pandava. Ma questi non poteva combattere a causa di Bhishma. Sapeva già cosa sarebbe successo l’indomani: l’anziano guerriero avrebbe causato un’enorme carneficina ma i Pandava sarebbero rimasti in vita. Allora, a cosa sarebbe servito?
Ma se Duryodhana era triste, anche Karna lo era. Sentiva che si stava avvicinando il giorno in cui avrebbe dovuto combattere contro i fratelli. Mentre rifletteva gli tornò in mente la forma universale del Signore, così con quella visione davanti agli occhi riuscì un pò alla volta a calmare quel turbine di pensieri e si addormentò.
Il nono giorno
Quella mattina Duryodhana sembrava particolarmente eccitato.
“Questo è il giorno della nostra vittoria,” disse al fratello Dusshasana. “Il nostro Bhishma ieri notte mi ha assicurato che oggi avrebbe fatto meraviglie. Noi dobbiamo proteggerlo, specialmente da Shikhandi. Va, dunque, e disponi una massiccia protezione intorno a lui.”
Di prima mattina Bhishma organizzò l’esercito nella formazione chiamata sarvato-bhadra, impenetrabile da qualsiasi direzione. Dopo aver preso atto delle sue iniziative, i Pandava sistemarono le loro truppe.
E per la nona volta i combattimenti cominciarono.
Colui che sferrò il primo attacco fu Abhimanyu. Nonostante la formazione nemica fosse praticamente impenetrabile per chiunque, il ragazzo in pochi secondi vi si insinuò e seminò il panico. Abhimanyu era un grande devoto del Signore ed era talmente elevato in spiritualità che un’aureola di luce circondava costantemente il suo bel viso.
Drona e Kripa e Jayadratha e Asvatthama cercarono di fermarlo, ma non ci riuscirono.
Allora Bhishma gli mandò contro il potente Alambusha, ma i cinque figli di Draupadi accorsero e aiutarono il fratello. Quella volta le arti magiche Rakshasa non poterono dargli la vittoria, così dopo breve tempo anche Alambusha dovette ritirarsi.
Essendo stato spettatore di quegli incredibili prodigi, Bhishma stesso accorse, ma neanch’egli potè fermare quel giovane che sul campo di battaglia sembrava possedere una formidabile combinazione tra le capacità di Krishna e quelle di Arjuna. Abhimanyu era veramente inarrestabile.
Numerosissimi furono i duelli diretti che si combatterono su tutto il campo. Kripa e Asvatthama erano appena stati sconfitti da Satyaki, quando venne in loro soccorso Drona: l’impatto tra i due guerrieri ebbe lo stesso effetto di uno scontro fra due pianeti. L’arrivo di Arjuna non fece che rendere la mischia ancora più furibonda.
A Duryodhana però questi duelli diretti non piacevano. Aveva paura che Shikhandi incontrasse Bhishma, così come temeva Dhristadyumna che era nato con il compito di uccidere Drona.
Ma quella mattina fu Arjuna a incontrare il maestro. Poi il Pandava si scagliò contro i Trigarta, i quali dovettero abbandonare precipitosamente la scena. Al pari del fratello, anche Yudhisthira e Bhima ebbero la loro parte in quell’opera di distruzione.
Ma colui che provocò il maggiore sconquasso fu senz’altro Bhishma. I Trigarta avevano trascinato via il figlio di Indra e ora sembrava che Bhishma avesse deciso di porre fine alla guerra quel giorno stesso. Nel pomeriggio la sua azione si intensificò e nessuno poteva niente contro di lui: tutti stavano lì a guardare mentre i corpi si ammucchiavano sempre di più. D’un tratto Krishna sembrò non tollerare oltre quella scena.
“Arjuna, se non intervieni subito, oggi stesso Bhishma annienterà il nostro esercito.”
Ma la tiepida reazione del Pandava fece infuriare ancora una volta il divino figlio di Devaki che, con una smorfia, gettò via le redini e saltò in terra. Brandendo nella mano destra la ruota di un carro come arma, corse verso l’anziano. Vedendo il meraviglioso Krishna coi vestiti in disordine, i capelli al vento, il viso sfigurato dalla collera, tutti dissero:
“Bhishma è morto.”
Ma questi non sembrava per nulla preoccupato del pericolo imminente.
“Vieni, vieni, Signore Beato,” gridò infatti scendendo dal carro e giungendo le mani in preghiera, “Essere Supremo e Protettore dei Tuoi devoti, io non desidero altro che ricevere la morte dalle Tue mani benedette.”
Ma come era già accaduto qualche giorno addietro, Arjuna rincorse il Supremo Narayana incarnato e lo fermò, promettendogli la vita di Bhishma.
E il resto del pomeriggio fu tutto all’insegna delle gesta di Arjuna; la sua abilità si rivelò doppia di quella di Bhishma e i Kurava non riuscivano a contrastare i suoi attacchi. Poi scese la sera e il massacro fu sospeso.
Per i Pandava una cosa era chiara: finchè l’anziano guerriero fosse stato in vita, non avrebbero potuto vincere quella guerra. Come diceva Krishna, Bhishma doveva morire.
I Pandava da Bhishma
Quella sera Yudhisthira era senza parole. Aveva visto da vicino le terribili capacità distruttive di Bhishma e ora si sentiva più che mai costernato. Se il nonno avesse continuato a combattere in quel modo, per loro la vittoria finale sarebbe rimasta un sogno e niente più. Si rivolse a Krishna per avere consiglio.
“Bhishma non è affatto invincibile,” gli rispose il Signore, “ma i tuoi fratelli che lo amano e lo rispettano non hanno il coraggio di ucciderlo. D’altra parte non possiamo continuare in questo modo: se domani stesso Arjuna non lo attaccherà determinato ad ucciderlo, io prenderò le armi e farò giustizia. Dammi il tuo consenso e distruggerò tutti i tuoi nemici.”
“No, non farlo,” ribattè Yudhisthira. “Non voglio che il tuo nome rimanga macchiato dall’onta di aver trasgredito a una promessa così importante. Dobbiamo trovare un’altra soluzione.”
Per un pò il figlio di Pandu rimase in silenzio.
“Bhishma non è contento di dover combattere questa guerra,” riprese poi, “perchè Duryodhana è malvagio e non ha alcun riguardo per la moralità e la virtù. Io so che odia questa guerra, che non vuole viverla fino in fondo, e che vorrebbe morire. Ma è pur vero che, a meno che non sia egli stesso a decidere di lasciare il suo corpo, nessuno potrà mai sconfiggerlo. Una soluzione potrebbe essere questa: fare in modo che egli stesso scelga di abbandonare questa vita.”
A Krishna l’idea parve buona. Così i cinque Pandava e il Signore, protetti dal buio della notte, si recarono nella tenda dell’anziano e gli offrirono i loro rispettosi omaggi. Contento di poterli rivedere in una circostanza che non fosse il polveroso campo di battaglia, Bhishma sorrise a tutti.
“Cosa posso fare per voi?” chiese.
“Finchè tu sei sul campo di battaglia noi non abbiamo nessuna possibilità di vincere la guerra,” rispose Yudhisthira, “e d’altra parte non è destino che Duryodhana trionfi. In questo frangente cosa possiamo fare?”
“E’ vero: finchè io vivrò, non potrete battere i Kurava. Quindi dovrete uccidermi.”
“Ma noi ti amiamo e ti rispettiamo come un padre, e nessuno se la sentirebbe di affrontarti con lo scopo di darti la morte. Non esiste qualche altra soluzione?”
“No, non ce ne sono altre,” rispose Bhishma, “dovete farlo. Ma non dispiacetevi troppo perchè io ho vissuto su questa Terra a lungo e mi sento tremendamente stanco. Da tempo desidero soltanto ritornare nel mio mondo di provenienza. Inoltre il soggiorno qui, alla corte dei Kurava, mi è diventato intollerabile, specialmente per colpa di Duryodhana, il quale ha rigettato del tutto il senso della virtù. Dunque fatelo senza rattristarvi; in realtà mi renderete felice.
“Sarà Arjuna a dovermi togliere la vita. In questo mondo infatti ci sono solo due persone capaci di sconfiggermi: uno è Krishna, l’altro è Arjuna. Domani portate Shikhandi sul fronte e fatevi scudo di lui. Io non combatterò perchè, come si sa, è nato donna e anche perchè è giusto che Amba abbia la sua vendetta; dalle sue spalle scagliate contro il mio corpo migliaia di frecce e in questo modo risulterete vittoriosi.”
E ancora una volta Bhishma raccontò la tragica storia di Amba; poi i Pandava tornarono al loro accampamento.
Quella notte Krishna ebbe il suo da fare a convincere Arjuna che l’indomani avrebbe dovuto uccidere Bhishma.
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