Maha-bharata in Italiano, edizione 2022 – (Adi Parva) Parte 8

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Arjuna in pellegrinaggio
Trascorsero anni.
Ormai sembrava che nulla potesse disturbare il divino dominio dei cinque fratelli, che regnavano sui loro sudditi con tale rettitudine e giustizia che mai nessuno trovava niente da lamentarsi neanche per le cose più insignificanti.
Un giorno Narada, il figlio diretto di Brahma, celebre saggio celestiale, giunse in visita a Indra-prastha e chiese a Yudhisthira di poter parlare con tutti i Pandava.
Dopo il puja, i sei si appartarono.
“Ciò che voglio dirvi è che questa pace con i vostri cugini è solo apparente. Essi non vi hanno ancora perdonato il fatto di essere superiori a loro in qualsiasi cosa, né lo faranno mai. Duryodhana è colmo di invida e di odio. Non riesce a spiegarsi da dove prendiate le capacità di fare le cose più impossibili. Non potrà mai capire che l’origine della vostra forza è la purezza di cuore e la devozione al Signore Supremo che ora è presente in questo mondo. Duryodhana tutto il giorno soffre di una rabbia senza limiti, ancor più ora che avete saputo trasformare Khandava-prastha in un florido regno. Anche se tace e non complotta apertamente contro di voi, non dovete illudervi perché lo farà appena ne avrà l’opportunità. In questi giorni state assaporando un momento di felicità, ma è una cosa temporanea; dovrete ancora sopportare dolori e disagi.”
“Ma come possono danneggiarci, ora?” chiese Yudhisthira. “Abbiamo un florido regno, un esercito forte e ben addestrato, degli alleati fedeli. Cosa potrebbero ideare?”
“Loro sanno bene che nel passato non sono riusciti a distruggervi perché siete sempre stati uniti, ed ora che siete diventati più potenti risulterà ancora più difficile. La strategia di Duryodhana sarà questa: cercherà di creare ragioni di dissenso per farvi litigare e rompere questa vostra unione.”
“Ma noi in tutta la nostra vita non siamo mai stati l’uno contro l’altro,” disse il figlio maggiore di Kunti, “non abbiamo mai litigato. Come sperano di riuscirci loro?”
“Draupadi è l’unica ragione per cui potrebbero sorgere dissensi,” rispose Narada, “per quanto grande sia l’amore che nutrono l’uno per l’altro, gli uomini che hanno in comune l’attaccamento per la stessa donna rischiano ad ogni attimo di litigare e distruggersi fra di loro. Ricordate come Sunda e Upasunda si uccisero per il possesso di Tilottama? Perciò prendete precauzioni e non fidatevi ciecamente dell’amore fraterno che vi unisce.”
Un consiglio dato da un personaggio come Narada non poteva certo essere minimizzato.
Anche dopo che fu partito, i Pandava continuarono a discutere della cosa per trovare una soluzione. Bisognava evitare che qualcuno di loro, vedendo il fratello in compagnia di Draupadi, diventasse geloso e cominciasse a covare pensieri e sentimenti foschi.
“Una soluzione,” concluse Yudhisthira, “potrebbe essere questa: nessuno di noi dovrà più vedere Draupadi in compagnia di un altro. Ogni settimana starà con uno di noi a turno, e se qualcuno trasgredirà questa regola andrà in esilio per dodici anni a visitare i luoghi santi.”
A tutti sembrò una buona idea e da quel giorno quella regola fu osservata con rigore.
Ma evidentemente le cose non dovevano andare così lisce per i Pandava neanche in quel periodo alquanto sereno. Un giorno, infatti, mentre Draupadi era con Yudhisthira, un Brahmana arrivò alla reggia e chiese di parlare urgentemente ad Arjuna, che lo ricevette immediatamente.
“Sono stato derubato delle mie mucche,” si lamentò, “che sono la mia unica ricchezza. Per favore, fai presto, corri a recuperarle e punisci i criminali.”
Sollecitato fortemente dal Brahmana, Arjuna decise di inseguire all’istante i ladri, ma si ricordò che aveva lasciato le armi nella sala dove Yudhisthira era in compagnia di Draupadi. Il virtuoso Pandava era incerto su quale fosse la cosa giusta da farsi.
“Se non recupero le mucche del Brahmana, il Re ed io stesso saremo aspramente criticati per non aver assolto ai nostri doveri. Se invece entro nelle stanze di Yudhisthira potrò restituire la refurtiva ma dovrò andare in esilio. Devo farlo, non c’è alcun dubbio che fra i due mali il primo è sicuramente il peggiore.”
Riprese le armi, Arjuna inseguì i ladri e recuperò con facilità la refurtiva. Poi tornò a corte.
“Cari fratelli,” disse, “ricorderete senz’altro il nostro accordo che era più di un voto. Oggi non sarei dovuto entrare nelle stanze di Yudhisthira, per cui andrò via per dodici anni. Impiegherò bene questo periodo: viaggerò per i luoghi più santi di Bharata-varsha e starò insieme con grandi saggi dai quali imparerò molte cose.”
I suoi fratelli erano costernati.
“Ma non hai l’obbligo di partire,” disse Yudhisthira. “Tu sei entrato nella sala per prendere le armi. Dovevi proteggere le proprietà del Brahmana, che è il primo dovere di uno Kshatriya. Non sei entrato per motivi di gelosia o altro.”
“Voi sapete bene quanto sia importante per uno Kshatriya dire sempre la verità e non mancare mai alla parola data,” ribatté Arjuna. “Se ciò accadesse anche una sola volta la sua reputazione sarebbe rovinata e nessuno lo rispetterebbe più. E se il popolo non stima i suoi governanti ogni cosa si degrada e la pace è distrutta. Noi abbiamo promesso: se per affetto familiare non manteniamo il nostro patto la gente dirà che siamo deboli, che siamo troppo attaccati ai piaceri della famiglia e ci criticherà. Non possiamo permetterci un simile rischio. Non preoccupatevi. Questi anni non saranno gettati via, imparerò cose che poi ci torneranno utili.”
Il figlio di Indra partì per quel lungo viaggio.

Sebbene facesse soste solo di rado, ebbe modo di incontrare tante persone e conoscere nuovi usi e costumi.
Pochi mesi dopo la partenza da Indra-prastha, infatti, Arjuna incontrò Ulupi, la figlia del Re dei Naga, con la quale si sposò ed ebbe un figlio di nome Iravan. E in seguito, dopo che ebbe ripreso il cammino, dirigendosi verso nord-est, nel versante orientale delle Himalaya entrò nella città di Manalur, dove conobbe Citrangada, la figlia del Re Citrasena. I due si innamorarono e si sposarono. Dalla loro unione nacque un bambino che chiamarono Babruvahana. Dopo qualche mese trascorso in compagnia della principessa di Manalur, Arjuna riprese il suo pellegrinaggio.
Da allora erano passati alcuni mesi quando Arjuna arrivò a Dvaraka, la città del suo grande amico Krishna.

Arjuna e Subhadra
Arjuna non ando’ a Dvaraka per caso. Aveva dei motivi. Quello principale era certamente il forte desiderio di rivedere il suo più caro amico, ma si sentiva anche mosso da un’enorme curiosità: sia ad Indra-prastha che durante il tirtha-yatra, infatti, aveva sentito parlare da molti della sorella minore di Krishna, della quale tutti dicevano essere bellissima e di magnifico carattere. Egli voleva approfittare del suo arrivo a Dvaraka per vederla. Proprio per questo suo desiderio preferì non farsi riconoscere e si travestì da yati.
Così camuffato entrò a Dvaraka, dove passò inosservato. Ma Krishna, che è l’onnisciente Signore Supremo, sapeva dell’arrivo dell’amico e anche della sua intenzione di conoscere Subhadra, per cui andò a trovarlo nella modesta dimora dove aveva preso alloggio. Quando Arjuna lo vide entrare si alzò per abbracciarlo, felice di rivederlo dopo tanto tempo di lontananza.
I due parlarono a lungo, di tante cose, e anche di Subhadra.
“Sì, io sapevo che volevi conoscere mia sorella,” disse Krishna, “e credo di non sbagliare se ti dico che anche a lei farebbe piacere. Da parte mia non ho niente in contrario, ma credo che dovremo risolvere un problema serio: Balarama ha già promesso Subhadra al suo discepolo Duryodhana, e ciò non ha fatto piacere né a me né a lei. Non sarà facile convincerlo a ritirare la parola data.”
“L’unica cosa da fare,” continuò Krishna, “è che domani stesso tu la rapisca e la porti via con te. Io stesso mi occuperò poi di placare le ire del mio focoso fratello. Anche se all’inizio lo considererà un atto irrispettoso, sii sicuro che poi ti perdonerà e che riotterrai la sua stima e amicizia.”

E così accadde.
Arjuna rapì la bellissima Subhadra e Krishna convinse Balarama e gli altri Vrishni a perdonare il Pandava e a rinunciare alle loro intenzioni di vendetta.
Il matrimonio fu celebrato e i due vissero a Dvaraka per il rimanente periodo di esilio di Arjuna. Quando questo fu terminato, una lunga processione di Vrishni accompagnò gli sposi a Indra-prastha.
Appena le fu presentata Subhadra, Draupadi ebbe un impeto di gelosia, ma ben presto le due principesse finirono col diventare buone amiche. Tutti festeggiarono il ritorno di Arjuna.
Dopo un po’ Subhadra diede alla luce Abhimanyu.
Nello stesso periodo Draupadi partorì un figlio per ogni marito: da Yudhisthira nacque Prativindhya, da Bhima Sutasoma, da Arjuna Shrutakarma, da Nakula Satanika e da Sahadeva Shrutasena.

Il rogo della foresta di Khandava
La nascita dei ragazzi portò una ventata di grande felicità nel regno dei Pandava. Tutti erano contenti e in ogni città e villaggio di Indra-prastha si festeggiò per giorni l’avvenimento.
I Vrishni erano ripartiti, ma Krishna era rimasto. La sua presenza conferiva alla corte un’atmosfera di spiritualità e di gioia, e specialmente Arjuna, con il quale trascorreva la maggior parte del tempo, era felice della sua presenza.
Un giorno i due amici stavano passeggiando lungo le rive dello Yamuna, nella vicinanze della foresta di Khandava e stavano parlando dell’infanzia di Krishna, dei suoi genitori adottivi Yashoda e Nanda, dei suoi amici e familiari, delle gopi, prima fra tutte Radharani, quando un Brahmana dallo splendore simile a quello del sole si avvicinò a loro. Il suo portamento era così solenne, la sua figura così alta e maestosa che i due si alzarono in piedi e lo salutarono con rispetto.
“O Brahmana che splendi come un Deva,” lo salutò Krishna, “dicci cosa possiamo fare per te.”
“Sono malato,” rispose lui. “Da tanto tempo soffro di un grave male e i medici mi hanno assegnato una dieta per ritrovare la salute; ma non trovo nessuno che sia in grado di fornirmi gli alimenti di cui ho bisogno. Voi siete guerrieri famosi in tutto il mondo e il primo dovere della vostra classe sociale è di sostenere e aiutare i Brahmana. Vorreste aiutarmi a trovare gli alimenti di cui necessito?”
“Certamente, siamo disposti a fare qualsiasi cosa per te,” dissero i due. “Cosa dobbiamo fare?”
Lo strano personaggio decise di rivelare la sua vera identità.
“Cari amici, io non sono un Brahmana, ma Agni, il Deva del fuoco, colui al quale i Brahmana offrono tutti i sacrifici vedici. Vi racconterò come è accaduto che mi sono ammalato.
“Molto tempo fa il Re Svetaki celebrò cinque sacrifici del fuoco che durarono dodici anni, e fece versare nelle fiamme una tale quantità di ghi che gradualmente le mie condizioni di salute si sono rovinate. Da quel giorno smisi di ardere negli hotra vedici, per cui i Brahmana si allarmarono al punto da spaventarsi: non ardendo il fuoco sacro l’intera società soffriva per mancanza di virtù e di necessità materiali. Allora Brahma intervenne e mi disse:
“Devi ricominciare a bruciare!”
“Io gli risposi che ero malato e che non potevo. E lui ribatté:
“Per ritrovare la salute devi divorare con le tue fiamme la foresta di Khandava”.
“Così sono venuto subito in questo luogo e ho cominciato a causare incendi. Ma sfortunatamente qui vive con tutta la sua famiglia il serpente Takshaka, che è un grande amico di Indra, per cui ogni volta che tento di bruciare Khandava lui fa cadere fiumi di acqua che spengono le mie fiamme e io sono costretto a ritirarmi. Da allora la mia salute è andata peggiorando sempre più e devo assolutamente guarire. Io ho bisogno di due potenti guerrieri che sappiano tenere lontano Indra dalla foresta: solo così avrò la possibilità di divorarla. Aiutatemi, e ve ne sarò riconoscente.”
Senza indugio, i due amici accettarono di aiutare Agni.
“Però se dovremo combattere contro i Deva,” dissero, “avremo bisogno di armi. Con queste che abbiamo non riusciremmo ad affrontare una simile battaglia. Procura delle armi adatte, dunque.”
Agni fu d’accordo e chiamò Varuna; i due Deva consegnarono agli amici trascendentali armi celestiali con le quali avrebbero potuto affrontare qualsiasi nemico. Ad Arjuna offrirono l’arco Gandiva e una faretra miracolosa che non esauriva mai le sue scorte di frecce, nonché uno strabiliante carro da guerra, mentre Krishna ricevette da Agni il disco Sudarshana.
Ottenute queste ed altre armi, i due si sentirono pronti per la difficile impresa. A quel punto Agni si sentì già vittorioso e si gettò nei boschi di Khandava, espandendo le sue furiose fiamme. In pochi minuti la foresta divenne un inferno di grida di uomini e animali, che si mischiavano al crepitio delle fiamme e al fragore degli alberi che cadevano; il rumore era addirittura assordante.
E mentre il fumo saliva altissimo, nel cielo cominciarono ad addensarsi pesanti nubi nere, che aumentarono sempre di più con il passare dei minuti; poi i primi lampi, le prime gocce. Indra stava arrivando.
Krishna e Arjuna si prepararono al combattimento e quando la pioggia cominciò a cadere, i due inondarono il cielo di armi infuocate, prosciugando le nuvole. Poi la battaglia si fece feroce: i Deva contrattaccarono, fino a che il duello divenne diretto.
Dopo una violenta battaglia Indra fu sconfitto.
Egli, che durante il combattimento aveva ammirato il magnifico valore del figlio, si ritirò lasciando ardere la foresta. Del resto Takshaka era altrove e non correva alcun pericolo.
Khandava bruciò per giorni e giorni, ridando la salute ad Agni.
Quando il furore delle fiamme si placò, Krishna e Arjuna si rinfrescarono con soddisfazione nelle acque chiare dello Yamuna.

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