L’invasione degli Aryani in India. Edizione 2022 – Parte 3

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Il fiume Sarasvati scoperto
Nel Rig Veda, l’onore del fiume più grande e più santo non viene conferito al Ganga ma al Sarasvati. Ora questo è apparentemente prosciugato, ma una volta era un grande fiume che partiva dalle Himalaya e attraversava il deserto del Rajasthan. Sempre nel Rig Veda, il Ganga è menzionato una volta solo, mentre il Sarasvati almeno 60 volte. Sembrava che le ricerche del Dr. Wakankar avessero mostrato che il prosciugamento del Sarasvati potesse essere fatto risalire al 1900 AC, ma gli ultimi dati del satellite Landsat hanno ritoccato questa datazione e l’hanno spostata al 3000 AC.

Paul-Henri Francfort del CNRS di Parigi ha recentemente osservato che
“…ora noi sappiamo, grazie alle ultime scoperte della spedizione indo-francese, che quando le popolazioni protostoriche si sono stabilite in quell’area, nessun grande fiume fluiva in quel luogo da molto tempo…”
Le popolazioni protostoriche a cui egli si riferisce sono gli Harappa del 3000 AC. Ma le foto del satellite mostrano che un grande fiume preistorico largo più di sette chilometri fluiva realmente in quell’area e che numerosissimi siti archeologici sono locati proprio lungo il corso di questo grande fiume. Ciò sta ad indicare che il Sarasvati esisteva 5000 anni orsono, tanto che gli indiani dell’epoca hanno costruito le loro città lungo il corso del fiume. Altrimenti, che senso avrebbe avuto costruire città lungo le rive di un fiume prosciugato? Questo significa anche che il Rig Veda descrive la geografia del Nord dell’India di un’epoca di molto anteriore al 3000 AC e che lo stesso è esistente da una data minima di 3500 anni AC .

La scoperta del Sarasvati e la datazione del suo prosciugamento ha avuto un impatto considerevole sul dibattito a cui noi stessi stiamo partecipando: infatti, se il Sarasvati è scomparso 3000 anni AC e se gli Aryani sono venuti in India in epoche successive, come avrebbero potuto conoscerlo e perché avrebbero dovuto tenerlo in così grande considerazione? E’ del tutto evidente che gli autori dei Veda parlavano di un fiume esistente di cui ne sfruttavano la presenza vivificante sia dal punto di vista materiale che spirituale.

Il Sarasvati nel Rig Veda
Il fiume Sarasvati è il più importante dei corsi d’acqua menzionati nel Rig Veda. L’immagine di questo “grande fiume divino” domina il testo. Non è solo il fiume più sacro, ma la Dea del Sapere stessa: è la madre dei Veda.
Siamo andati a cercare alcuni inni Vedici che parlano del Sarasvati:
ambitame naditame devitame sarasvati (II.41.16):
“La migliore delle madri, il migliore dei fiumi, la migliore dea, Sarasvati.”
maho arnah Sarasvati pra cetayati ketuna dhiyo visva virajati (I.3.12):
“Sarasvati, come un grande oceano, appare con i suoi raggi e domina tutte le ispirazioni.”
ni tva dadhe vara a prthivya ilayspade sudinatve ahnam drsadvatyam manuse apayayam sarasvatyam revad agne didhi (III.23.4):
“Ti attiviamo, o sacro fuoco, sul luogo più santo della terra… nel chiarore del giorno. Sui fiumi Drishadvati, Apaya e Sarasvati, brilla tu in modo radioso per tutti gli uomini.”
citra id raja rajaka id anyake sarasvatim anu; parjanya iva tatanadhi vrstya sahasram ayuta dadat (VIII.21.18):
“Lo splendore è il re, tutti gli altri sono principi, che dimorano lungo il Sarasvati. Come il dio della pioggia, egli accorda mille volte diecimila mucche.”
ayasi puh:
Sarasvati è come una città di bronzo;
visva apo mahina sindhur anyah:
sorpassa tutti gli altri fiumi e acque;
sucir yati girbhya a samudrat:
puro nel suo corso dalle montagne al mare (VII.95.1-2).

Tutto questo indica che i compositori della letteratura Vedica conoscevano molto bene il fiume Sarasvati ed erano così ispirati dalla sua bellezza che composero inni di preghiera, glorificandolo. Ciò indica che i Veda esistevano prima del periodo del Maha-bharata, che invece descrive il Sarasvati come un fiume morente.
Le datazioni che scaturiscono da tutto ciò sono nettamente contrarie a quelle imposte alla cultura occidentale da studiosi e scienziati con ovvi pregiudizi.

Altro dall’archeologia
Nella regione tra il Gange e lo Yamuna, sono state recentemente scoperte delle anfore di terracotta datate 1000 AB. La tendenza è di considerarle manufatti Aryani. Ma non c’è nulla che possa essere addotto come prova scientifica, se non si ritiene tale l’opinione di una persona.

Si è persino giunti ad affermare che la cultura della valle dell’Indo provenisse dal medio-oriente, probabilmente dalla Sumeria, in quanto nulla di antecedente alla cultura sumera era stato trovato. Recenti scavi francesi a Mehrgarh hanno mostrato reperti che risalgono a oltre 6000 AC.

La prospettiva religiosa: l’adorazione di Shiva
Gli invasionisti affermano che gli abitanti della valle dell’Indo erano adoratori di Shiva e, giacché il culto di Shiva è prevalente tra gli indiani Dravidici del Sud, gli abitanti della valle dell’Indo dovevano essere Dravidici. Questo dà l’esatta misura della profondità di conoscenza e di pensiero di questi studiosi. L’adorazione di Shiva non è affatto aliena alla cultura Vedica e non è per nulla confinata al Sud solamente. Inoltre le parole Shiva e Shambu non derivano dalle parole Tamil civa (diventare rosso, essere arrabbiato) e cembu (di rame, di metallo rosso), ma dalle radici Sanscrite si (che significa “auspicioso, grazioso, benevolente, gentile, di aiuto”) e sam (“essere o esistere per la felicità o il benessere altrui, accordare o generare felicità, ecc.). Da sempre le due parole sono state usate nell’accezione Sanscrita e non in quella Tamil .

Non solo, ma i luoghi sacri più importanti dello Shivaismo sono tutti locati nel Nord dell’India. Kashi (il posto più riverito e auspicioso dello Shivaismo) e il monte Kailasha (la tradizionale dimora santa di Shiva) si trovano al Nord. Inoltre Shiva (spesso chiamato Rudra) viene menzionato e venerato in molti importanti passaggi del Rig Veda, dove è considerato un’importante divinità Vedica . Perciò Shiva non è affatto un dio esclusivamente dravidiano ma una divinità Vedica.

E’ però vero che il Rig Veda sembra dare maggiore importanza ad altri Deva, come Indra, Agni e Soma, ma questo non significa nulla. In un libro di matematica troveremo sicuramente più matematica che letteratura, senza per questo voler dire che la matematica sia più importante della letteratura. Se si analizzano l’Atharva e lo Yajur Veda, così come le Brahmana , troveremo che Rudra domina la scena. Inoltre spesso Indra e Agni vengono identificati con Shiva e mostrano le sue caratteristiche tipiche (Indra il danzatore, il distruttore delle città, il Signore del potere, per fare degli esempi). Non c’è nulla che mostri una divisione tra tradizioni Vediche e Shivaite. Al contrario, Shiva è associato di frequente con riti Vedici e offerte sacrificali. Egli si adorna con le ceneri (bhasma) del fuoco Vedico.

I difensori della teoria dell’invasione Aryana presentano anche dei pezzi di terracotta trovati negli altari del fuoco ad Harappa e in altri siti archeologici, interpretandoli come Shiva-linga e adducendoli come prove che il culto di Shiva era prevalente tra le popolazioni della valle dell’Indo. Al di là del fatto che ciò non significherebbe nulla (perché, come abbiamo visto, Shiva non è una divinità privata di nessuno), è stato poi dimostrato che questi pezzi di terracotta non erano Shiva-linga ma pesi per misurare le merci. Infatti il loro peso è stato provato essere perfettamente bilanciato a scalare. Il loro peso era di 1 grammo, 2 grammi, 5 grammi, 10 grammi ecc. Non erano Shiva-linga, ma misure di peso.

I professori dominati dall’idea dell’invasione della razza Aryana hanno cercato di dividere gli dei Hindu in dei Dravidiani e Aryani, classificazione completamente fittizia, in quanto questa non esiste in nessuna sezione della letteratura Vedica. Questa teoria grottesca si basa su una interpretazione del colore fisico della divinità. Krishna è scuro, perciò è Dravidiano. Se proprio si ritiene che valga la pena discutere idee del genere, deve essere ricordato che la dinastia a cui appartiene Krishna è interamente Aryana, in quanto discende da Yadu il quale, in epoche antichissime, governava regni a nord dell’India.
Altri saggi menzionati nel Rig Veda (come Krishna Angira or Shaiva Atreya) sono chiamati con epiteti significanti il colore nero, senza per questo voler dire che erano di razza Dravidiana.
Ma torneremo su queste interpretazioni nel prossimo paragrafo.

Che il dio Vedico Savitar abbia i capelli biondi non vuol dire che è un dio esclusivo di una razza bionda. Gli dei del Sole di molte altre culture sono raffigurati in quel modo, come quelli Egiziani, Maya e Inca. Del resto, un dio del sole può essere scuro di pelle? E poi, perché le dichiarazioni Vediche dovrebbero intendere una differenza razziale e altre no?

La prospettiva linguistica
Nel 1853, Max Muller introdusse la parola arya nel vocabolario Occidentale ed in particolar modo in quello europeo, intendendo che gli Aryani erano una razza storica.
Sfidato da storici e linguisti, nel 1888 fece marcia indietro e scrisse:
“Ho ripetutamente dichiarato che quando dico Arya, non sto parlando di sangue, di ossa, di capelli o di teschi: mi riferisco soltanto a coloro che parlano la lingua Aryana… per quanto mi riguarda, da etnologo, posso dire che chi parla di razza Aryana, di sangue Aryano, di occhi e capelli Aryani è un vero peccatore… ”

La precisazione è certamente utile, anche se tardiva. Va però detto che nella letteratura Vedica, la parola arya non è mai usata in riferimento a una razza ma neanche (come invece afferma Muller) a un gruppo linguistico . Piuttosto vuole indicare la qualità di una persona, un uomo retto, di buona natura, un uomo nobile. Spesso è anche usata come titolo onorifico, proprio come Signore, Sir o Shri. Nel Ramayana di Valmiki, Rama è descritto come un Arya e il termine viene definito come segue:
“colui che si cura dell’eguaglianza della gente ed è amato da tutti”.

Il Dr. SR Rao si è occupato di decifrare gli scritti ritrovati in molti siti archeologici. Per riassumere il suo metodo di decifrazione, ha assegnato a ciascuna lettera lo stesso valore sonoro di lettere di alfabeti asiatici che presentassero una qualche somiglianza, procedendo poi alla decifrazione. E’ emerso un linguaggio Aryano appartenente alla famiglia Sanscrita. Viene così ulteriormente confermato che i residenti di Harappa e di Mohenjodaro (così come di altri luoghi oggi oggetto di studio archeologico) erano di cultura Aryana. La civiltà di Harappa era parte di un’evoluzione continua della cultura Vedica che si è sviluppata sulle rive del fiume Sarasvati.
Tra le molte parole rivelate dalle decifrazioni del Dr. Rao ci sono i numerali eka, tra, chatus, panta, happta/sapta, dasa, dvadasa e sata (1,3,4,5,7,10,100) e i nomi di personalità Vediche come Atri, Kasyapa, Gara, Manu, Sara, Trita, Daksa, Druhu, Kasu, e molte altre parole Sanscrite comuni, come apa (acqua), gatha, tar (salvatore), trika, da, dyau (paradiso), dashada, anna (cibo), pa (protettore), para (supremo), maha, mahat, moksa, etc.

Una delle ragioni per cui veniva ipotizzata la data del 1500 AC era che nella cultura Vedica veniva usato il ferro e si ritiene che l’uso di questo metallo iniziasse in quel periodo. La “prova” di ciò è il termine Vedico ayas, che viene tradotto come ferro.
In altri linguaggi Indo-Europei (come il latino o il tedesco) ayas significa rame, bronzo o altri metalli; certamente non ferro. Non c’è ragione di ritenere che ayas si riferisca forzatamente al ferro. Nell’Atharva-Veda e nello Yajur-Veda si parla di ayas di differenti colori e fattezze. Da ciò possiamo capire che si tratta di un termine generico che vuole significare metallo e non specificatamente ferro. Inoltre nel Rig Veda troviamo che le popolazioni antiche dell’India usavano questo ayas persino per fare le città. Non si trova nulla nella cultura Vedica che ci suggerisca che le cosiddette orde Vediche usavano il ferro e i loro nemici no.

In precedenza la diretta connessione tra l’antico scritto detto Hindu (1600 AC) e lo scritto Brahmi non poteva essere dimostrata. Invece le ricerche archeologiche degli ultimi anni hanno riportato alla luce numerose iscrizioni, datate 1000 AC, 700 AC, offrendo la prova desiderata. Ora è evidente che lo scritto Brahmi è di diretta provenienza Hindu .

In numerose rovine della valle dell’Indo sono state trovate numerose iscrizioni che si ritenevano di origine non-Vedica e probabilmente Dravidiana. Ora è dimostrato che tra i due scritti (quello antico detto Hindu e il Brahmi) c’è stato uno sviluppo organico.

E’ vero che i linguaggi degli Indo-Europei, prevalenti al Nord e quelli Dravidiani, prevalenti al Sud, differiscono tra di loro, ma questo non significa che si tratti di razze differenti. Gli Ungheresi e i Finlandesi hanno un linguaggio ben diverso dalle altri nazioni Europee, ma non ci sogneremmo mai di dire “la razza finnica” o “la razza ungherese”, né di classificarli in altri gruppi razziali perché hanno religioni diverse.
Anche se i linguaggi Dravidiani sono basati su modelli diversi dal Sanscrito, nelle lingue Telugu e Tamil c’è il 70 percento di parole Sanscrite. In più la loro costruzione e fraseologia sono molto simili, a differenza dei linguaggi europei che spesso differiscono in modo rilevante.

Se noi esaminiamo il Sanscrito Vedico più antico, troviamo suoni che si accostano molto ai suoni dei linguaggi Dravidiani (le lettere cerebrali, per fare un esempio), che non sono invece presenti in altri linguaggi Indo-Europei. Questo potrebbe significare due cose:

• che i Dravidiani vivevano nelle stesse regioni occupate dalle popolazioni Vediche e ne condividevano la stessa cultura,
• che i linguaggi Dravidici sono derivati del Sanscrito, come è opinione di studiosi moderni.

Inoltre la tradizione accredita l’invenzione dei linguaggi Dravidiani nientemeno che ad Agastya, uno dei più importanti Rishi del Rig Veda.

Il tentativo di dimostrare l’indimostrabile giunge spesso a toccare il ridicolo. Alcuni versetti Vedici parlano di demoni come “privi di naso” (a-nasa), ed è stato interpretato come un discredito razziale contro i Dravidiani che avrebbero il naso camuso. Esaminando le caratteristiche facciali degli indiani del sud vedremo che non hanno affatto il naso camuso. Inoltre talvolta i demoni Vedici vengono descritti come “privi di piedi” (a-pada). Dove esiste questa razza priva di piedi e col naso camuso? Inoltre gli dei Vedici come Agni sono detti privi di piedi e di testa. Gli Aryani erano forse senza testa e senza piedi?
Ci sembra ovvio che tali descrizioni volessero esprimere un qualche concetto filosofico e non debbano essere intesi letteralmente.

Tornando alla interpretazione del colore come spiegazione della dell’origine etnica del personaggio in questione, si sa che la parola Krishna significa “scuro” e che Shiva viene descritto come scuro di carnagione. Ciò è sufficiente per classificarli come dei Dravidici, in quanto questi non avrebbero mai adorato divinità dallo stesso colore di pelle degli invasori. Prima di tutto dobbiamo dire che Krishna e Shiva non sono neri ma blu scuro. Esiste forse una razza dal colore blu scuro? Inoltre gli dei Hindu hanno colori diversi, che corrispondo alle loro qualità: Lakshmi è descritta come rosa, Saraswati è bianca, Kali è blu-scuro, Yama, il dio della Morte e Ramacandra sono verdi. Se il colore fisico di queste divinità volesse riferirsi a una razza, ci dovrebbero essere razze dalla pelle rosa, blu-scura o verde.

Gli invasionisti hanno argutamente sottolineato il fatto che la casta in India era originalmente definita sulla base del colore fisico. I Brahmana erano bianchi, gli Kshatriya erano rossi, Vaishya erano gialli e i Shudra neri. Da qui l’erudita conclusione secondo cui i Brahmana erano i bianchi aryani e i Dravidiani gli Shudra scuri. Tuttavia questi colori si riferiscono ai guna della casta e non a una divisione razziale. Il bianco è il colore della purezza (sattvaguna), lo scuro quello dell’impurità (tamoguna), il rosso il colore dell’azione (rajoguna), e il giallo quello del commercio (anche questo rajoguna). Trasformare un principio filosofico in una distinzione razziale è semplicismo infantile. Eppoi, quando mai gli Kshatriyas sono stati una razza rossa e i Vaishyas una razza gialla?

Conferme dalla matematica indiana
I Sulba-sutra (detti anche i Sulba) sono un antichissimo testo di matematica, che veniva utilizzato per la costruzioni di altari sacrificali e nella costruzione di Templi.
Secondo lo storico e matematico americano A. Seidenberg, professore all’Università di Berkeley (California), la comparazione della matematica Vedica come quella dell’antica Babilonia (1700 AC) e quella Egiziana (2000 al 1800 AC) rivela che questi Sulba-sutra sono stati fonte di ispirazione per gli scienziati di quelle antiche civiltà. Infatti sono stati ritrovati a Lothal e a Kalibagan altari costruiti esattamente in base ai calcoli suggeriti nei Sulba-sutra, databili 2500 AC. Il prof. Seidenberg sottolinea quasi con entusiasmo che il Mastaba, la piramide egiziana dalla parte superiore piatta, altro non è che la versione invertita dello Smashana-cit, l’altare sacrificale descritto nel Baudhayana Sulba-sutra.

Esiste una razza Aryana?
Secondo Max Muller, la parola Arya deriverebbe da ar, che significa “arare, coltivare”; perciò Arya significherebbe “coltivatore, agricoltore, proprietario terriero”; l’opposto di nomade e cacciatore. Ma non possiamo essere d’accordo. Bhaktivedanta Svami Prabhupada dice :
“Tali impurità non appartengono alla classe di uomini civilizzati conosciuti come Aryani. La parola Aryano è applicabile a coloro che conoscono i valori della vita e fondano la loro civiltà sulla realizzazione spirituale. Coloro che sono guidati dal concetto materialistico della vita non sanno che lo scopo della vita è la realizzazione della Verità Assoluta, Vishnu, o Bhagavan, e sono attratti dagli aspetti esterni del mondo materiale e perciò non sanno cosa sia la liberazione. Coloro che non hanno conoscenza della liberazione dalla prigionia della materia sono chiamati non-Aryani.”

Nel Sanskrit-English Dictionary di Apte, la parola Arya viene fatta risalire alla radice r, alla quale è stato aggiunto un prefisso per dare un significato negativo; per cui il significato di Arya diventa “eccellente, il migliore”, e nella sua forma sostantiva assume il significato di “rispettabile, maestro, signore, degno, onorabile, sostenitore di valori spirituali”. Inoltre può anche intendere “padrone, suocero, amico, buddha, o sapiente”. Questi sono i significati naturali che si possono dedurre dal contesto in cui quasi sempre viene a trovarsi il termine.

Se si analizzano tutte le scritture religiose o quelle che ci informano delle antiche tradizioni, ci si accorgerà che mai, una sola volta, la parola Arya vuole indicare una razza o un linguaggio. Imporre tale significato su queste epiteto è una prova di disonestà intellettuale assoluta, una falsificazione dei fatti deliberata e ingannevole.

In accordo alla etnologia corrente, le razze primarie sono solo quattro: la Caucasica, la Mongola, l’Australiana e la Negroide. Sia l’Aryana che la Dravidica (se tale diversificazione può essere proposta) sono branche derivate della Caucasica, anzi poste nella medesima sotto-classificazione della Mediterranea. Che si sia d’accordo o no su questa classificazione, nessuno – prima di Muller e dei suoi sostenitori – si era mai sognato di proporre che l’Aryana fosse una razza a se stante. Se esiste una differenza tra i due gruppi, non è certamente di tipo razziale. Biologicamente sono tutte del tipo Caucasico, solo che quando i soggetti si avvicinano all’equatore, per l’influenza del calore costante la pelle tende a scurirsi e il corpo a perdere di altezza. Queste differenze sono così trascurabili che non giustificano l’elezione di un nuovo gruppo razziale.

Troviamo differenze simili, e anche ben più consistenti, tra le popolazioni di razza bianca europea, la Caucasica. La pelle del Caucasico può essere bianca pura, fino ad arrivare a un nero quasi totale o con qualche ombra di marrone. In modo analogo, la razza mongola non è necessariamente gialla. Molti cinesi hanno la pelle più bianca di molti cosiddetti Caucasici.
Inoltre, un importante studio globale nella genetica della popolazione condotto da un gruppo di scienziati di fama internazionale durato 50 anni , rivela che la gente ha abitato il subcontinente indiano e l’Europa da millenni e che tutti appartengono alla medesima razza Caucasica. In accordo a questo studio non c’è e non c’è mai stata nessuna differenza di razza tra gli indiani del Nord e i cosiddetti Dravidiani del Sud. La composizione etnologica è rimasta la stessa per millenni. Se noi prendiamo una persona media del Punjab, un’altra del Maharashtra e una terza dal Tamil Nadu troveremo che quella del Maharashtra va a cadere nel mezzo delle altre due in termini di costituzione fisica e colore della pelle. Man mano che scendiamo al Sud, rileviamo una graduale trasformazione, ma non una sostanziale differenziazione di razza. Tra gli Aryani e i Dravidiani non c’è una differenza maggiore di quella che esiste tra i biondi Svedesi e gli scuri del Sud-Italia.

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