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Bhakti (il metodo di realizzazione spirituale)
Introduzione al tema
D: Nelle ultime parole del capitolo precedente si era cominciato a parlare del bhakti-yoga come del più importante ed efficace processo di liberazione dalla prigionia del mondo materiale. A questo punto è opportuno iniziare a precisare di cosa si tratta.
R: Secondo il Vedanta, il massimo raggiungimento della vita umana è possibile attraverso la bhakti. Vedremo cosa s’intende per bhakti e la posizione che occupano gli altri metodi in rapporto ad essa.
Quando la jiva giunge a desiderare fortemente di districarsi dalle sabbie mobili della sofferenza causata dall’ignoranza, Paramatma, che mai l’ha abbandonata e che è sempre fermamente situato nel cuore di ogni essere vivente, inizia a fornire suggerimenti opportuni in questo senso e a provvedere al modo per ottenere la liberazione. Certamente, qualsiasi cosa esse abbiano potuto fare, Dio ama sempre tutte le entità spirituali, le quali non cessano mai di essere Suoi figli.
Il mezzo, che è contemporaneamente anche il fine, è chiamato bhakti, servizio di amore e devozione reso alla Suprema Personalità di Dio, Krishna, e la parola yoga significa unione. Dunque il bhakti-yoga costituisce il tramite mediante il quale l’anima può ricongiungersi a Dio.
Bhakti significa religione?
D: Il concetto della bhakti equivale al concetto cristiano di religione?
R: Nei capitoli precedenti abbiamo già precisato la differenza esistente fra le due idee.
La bhakti è una conseguenza del dharma, in quanto il dharma della jiva è proprio la bhakti. Ma chiariamo: dharma si riferisce alla costituzione naturale dell’anima, come è fatta nel suo intimo, e tale costituzione intima si esplica proprio nell’amore per Dio, nel compiere tutta una serie di azioni di servizio e di affetto, proprio come fra due persone. Su questa definizione tutte le religioni classiche si trovano d’accordo.
Dunque, se per religione s’intende il riunirsi a Dio e il metodo per far sì che ciò avvenga, allora bhakti e religione si equivalgono; se però pensiamo che religione significhi un insieme di riti e dogmi, quali caratteristiche di base, per esempio, della religione cristiana odierna, allora dobbiamo dire che fra la bhakti e la religione ci sono differenze ragguardevoli. La bhakti è uno stato interiore che diventa quasi di “ordine pratico”: in altre parole, se noi amiamo Dio vogliamo servirlo e venerarlo, ma i riti, in se stessi, senza amore, non hanno valore. Ciò che assume maggior rilievo è il sentimento di devozione e amore per Dio.
Il confronto con gli altri sistemi di yoga
D: Sappiamo che esistono molti sistemi che si definiscono yoga; si afferma che attraverso tali sistemi è possibile l’unione con l’Assoluto. Come si pone la bhakti nei loro confronti?
R: Tutti i sistemi classici dello yoga che non abbiano risentito dell’intervento devastatore dell’uomo sono parti del bhakti-yoga. Facciamo alcuni esempi:
Il karma-yoga è quella sezione della bhakti che si occupa dell’azione devozionale, il buddhi-yoga (o jnana-yoga) si interessa del controllo della facoltà intellettiva, il sankhya-yoga dello studio analitico delle energie del Signore, l’astanga-yoga (di cui il famoso hatha-yoga è una parte) del controllo delle funzioni del corpo e della mente, mentre il raja-yoga è uno dei tanti nomi della bhakti. Sono come le membra di un unico sistema. Ma il corpo completo si chiama bhakti-yoga.
Ci sono poi le forme degenerate dello yoga, come il famigerato hatha-yoga, tanto conosciuto in occidente, il quale non ha nulla a che vedere con lo yoga originale e non conferisce altro che benefici materiali. Lo yoga non serve a dimagrire, o ad aumentare la propria potenza sessuale. Certamente nessuna ginnastica corporea può dare “unione” col Supremo.
L’evoluzione graduale della bhakti
D: Per sviluppare la bhakti è necessario un procedimento che implichi pratiche, regole, discipline oppure, come avete affermato prima, si tratta esclusivamente di una questione interiore, di sentimenti, di pensieri per la nascita dei quali non vi è la necessità di regolamentazioni?
R: Se fossimo anime realizzate, in noi i sentimenti d’amore sorgerebbero senza bisogno di alcuna disciplina e regola, in quanto la vera natura della jiva si manifesterebbe in modo completamente spontaneo.
Sfortunatamente questa non è la nostra situazione presente. Siamo immersi in un pozzo scuro di ignoranza e occorre prima riguadagnare la nostra natura originale. Per questo compito necessitiamo in modo assoluto di una pratica costante. Questo momento della nostra vita viene chiamato sadhana-bhakti, lo stadio in cui la bhakti deve essere praticata in maniera disciplinata, anche contro il nostro stesso piacere. In altre parole, determinate attività devono essere praticate perché capiamo che ciò è giusto, e non perché le sentiamo naturali. Come per una medicina, che non piace a nessuno ma che bisogna assumere se si vuole guarire.
Srila Prabhupada afferma che la bhakti si divide in tre stadi che vengono l’uno dopo l’altro, chiamati sadhana-bhakti, raga-bhakti e prema-bhakti. In una lezione tenuta a Calcutta il 25 gennaio 1973, il maestro ha spiegato tutto ciò con grande chiarezza.
“Prima di tutto dobbiamo accettare sadhana-bhakti. Significa pratica…”
Srila Prabhupada dice che in teoria il servizio devozionale dovrebbe essere spontaneo. Ma per noi, vittime delle influenze delle illusioni, non lo è, per cui sussiste la necessità di un processo che aiuti a sviluppare con gradualità i sentimenti spirituali. Le numerosi parti che compongono la disciplina spirituale si chiamano sadhana-bhakti.
“…chiunque può intraprendere il servizio devozionale (sadhana-bhakti), sempre che si sia d’accordo nell’accettare un maestro spirituale…”
Prabhupada afferma che chiunque, cioè qualsiasi tipo di persona, può praticare il bhakti-yoga ma, come vedremo fra poco, l’accettazione di un maestro spirituale è fondamentale. Senza una guida autentica il progresso nel sentiero della spiritualità di fatto è impossibile. Poi Srila Prabhupada prosegue sottolineando con enfasi come chiunque, anche le persone meno acculturate possono praticare sadhana-bhakti. Non solo possono, tutti devono farlo.
Sadhana significa disciplina: il sentimento, la spontaneità viene dopo. Anzi, all’inizio è chiaramente consigliato di non agire secondo la propria emotività, ma sempre in ottemperanza delle istruzioni di un maestro spirituale autentico.
Prime discipline e regole: sadhana-bhakti
D: Parliamo più dettagliatamente delle pratiche della sadhana-bhakti.
R: E’ opportuno premettere che tali pratiche variano secondo la tradizione spirituale di appartenenza, però nei punti fondamentali si somigliano. Noi spiegheremo le regole del sadhana-bhakti secondo la Brahma-madhva-gaudiya sampradaya, una delle più importanti linee di maestri.
Il giorno deve iniziare presto, prima dell’inizio dell’ora di brahma-muhurta, circa un’ora e mezza prima del sorgere del sole: dunque verso le quattro, quattro e mezza di mattina. Prendere il massimo profitto delle vibrazioni particolarmente auspiciose di questo momento è importante. Nessuno yogi dorme fino a tardi.
“Di prima mattina, un’ora e mezza prima del sorgere del sole, giunge l’ora della giornata chiamata brahma-muhurta, durante la quale le attività spirituali sono particolarmente raccomandate. Queste, svolte durante quel periodo, danno un risultato maggiore che in altre ore della giornata.”
Srimad-Bhagavatam 3.20.46
Di solito, sei ore di sonno al giorno sono sufficienti. Appena alzato, il praticante si deve pulire accuratamente con una doccia, indossare abiti lindi (non quelli usati il giorno precedente), marcarsi con il tilaka e recarsi al tempio, dove si svolge il mangala-aratrika.
D: Cos’è il tilaka?
R: E’ il segno divino che generalmente si dipinge in diversi punti del corpo utilizzando la creta del Gange. Il più visibile è sulla fronte. Durante questa operazione si recitano dei mantra.
D: E il mangala-aratrika?
R: La bhakti non è un metodo arido di esercizi fisici o intellettuali. E’ fondamentale imparare ad amare Dio, Krishna. Proprio per questa ragione Egli si manifesta su questa Terra con la forma delle Murti, le “statue” divine che sono poste sugli altari dei Suoi templi. La loro funzione è quella di essere presenti davanti ai devoti per permettere loro l’adorazione personale, tanto importante per sviluppare un sentimento d’amore.
Il mangala-aratrika consiste propriamente in una cerimonia di adorazione delle Murti, durante la quale i bhakta meditano con dei canti in lingua sanscrita che descrivono le qualità del maestro spirituale e del Signore. Di solito si accompagnano con strumenti musicali, quali i karatala e la mrdanga. L’effetto purificatore del mangala-aratrika, considerato uno dei momenti più importanti del sadhana-bhakti, è notevole.
Subito dopo la japa. Japa significa recitazione a voce bassa. Utilizzando una corona chiamata mala, il devoto recita un mantra particolare, chiamato maha-mantra. Ce ne sono di vari tipi, ma quello ritenuto più efficace è il mantra Hare Krishna:
Hare Krishna, Hare Krishna
Krishna Krishna, Hare Hare
Hare Rama, Hare Rama
Rama Rama, Hare Hare.
Hara, Krishna e Rama sono tutti nomi di Dio. Krishna significa l'”Infinitamente Affascinante”, Rama “Fonte di Forza” e Hare è il vocativo di Hara, l’energia devozionale, la bhakti personificata. Con il termine Hara ci rivolgiamo al Signore pregandolo di darci amore e devozione. Ma in questo mantra la cosa più importante non è la richiesta, quanto la meditazione stessa sui suoni trascendentali dei nomi Krishna, Rama e Hara.
Dobbiamo ripeterci: nella pratica del servizio devozionale nulla è tanto importante quanto la japa, la recitazione di questo mantra. Nella Bhagavad-gita è confermato:
“Colui che medita su di Me, che sono la Suprema Personalità di Dio, la sua mente costantemente impegnata nel ricordarMi, senza mai deviare dal sentiero,… è certo di giungere a Me.”
Bhagavad-gita 8.8
“In questo verso il Signore Krishna sottolinea l’importanza di ricordarLo. Il ricordo (perduto) di Krishna è rivitalizzato dal canto e dall’ascolto del mantra Hare Krishna. Grazie a questa pratica…, le nostre orecchie, la lingua e la mente sono impegnate. La meditazione mistica è molto facile da praticare e aiuta ad ottenere il Signore… Cantando Hare Krishna, il devoto può pensare costantemente all’oggetto della sua adorazione… Questa disciplina lo purificherà e alla fine della sua vita,… sarà trasferito al regno di Dio.”
Bhagavad-gita 8.8, commento
“Solo quando uno è impegnato in modo pieno (nella pratica della) coscienza di Krishna, che comincia con il canto del maha-mantra Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare, Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare può capire la Suprema Personalità di Dio…”
Bhagavad-gita 7.24, commento
“Il canto del mantra Hare Krishna è chiaramente raccomandato per gli uomini di quest’era. Chi lascia il proprio corpo cantando Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare, Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama, Hare Hare raggiunge certamente uno dei pianeti spirituali…”
Bhagavad-gita 8.13, commento
Il Rig-Veda è anche prodigo di affermazioni a riguardo dell’importanza dei mantra e Caitanya Mahaprabhu ne fa la base delle Sue istruzioni: chi si vuole liberare, deve cantare e recitare il mantra Hare Krishna. In questo modo il cuore e la mente si purificano e la capacità di comprendere soggetti di natura spirituale si risveglia. Questo fenomeno da origine ai primi sentimenti del puro amore per Dio.
Naturalmente non si può cantare Hare Krishna come si vuole. Bisogna farlo nel modo giusto, altrimenti si rischia di non ottenere i risultati voluti.
D: Giacché è più che ovvio che stiamo trattando di un punto della massima importanza, approfondiamo l’argomento. Vediamo come andrebbe recitato.
R: Principalmente ci sono due modi: japa e kirtana. Il primo è la “versione privata” e il mantra va cantato solo per se stessi; il secondo è il canto “pubblico”, cioè non solo per il proprio beneficio ma anche per quello di chi ascolta. Ora parleremo della japa.
Il momento più indicato per cantare Hare Krishna sono le prime ore della mattina, durante brahma-muhurta: il miglior luogo un tempio o una stanza dove ci siano immagini sacre e dove non si consumino troppe azioni materiali. Ma in realtà non ci sono regole assolute che riguardano il luogo e il momento: il mantra può essere cantato ovunque e in qualsiasi momento. Sarà la sua potenza trascendentale a spiritualizzare il posto e l’orario.
Per il japa sarebbe necessario una corona e un sacchetto in cui riporla (ma in assenza di entrambi se ne può fare anche a meno). La corona ideale è composta da 108 grani, di cui uno più grande degli altri. Poggiate la prima “pallina” sul dito medio della mano destra (a meno che non siate mancini non usate la sinistra!) e stringetela con il polpastrello del pollice. Cercate di non toccare la corona con il dito indice.
Dite:
Hare Krishna, Hare Krishna,
Krishna Krishna, Hare Hare,
Hare Rama, Hare Rama,
Rama Rama, Hare Hare,
con voce sufficientemente alta da potervi ascoltare.
Appena finito l’intero mantra, procedete alla prossima pallina. Quando il giro di corona è terminato, tornate indietro: non continuate saltando la pallina grande. La regola fondamentale, per quanto riguarda quelle insegnateci da Bhaktivedanta Svami Prabhupada, è che si dovrebbero cantare sedici di questi giri di mala. Chi, per qualsiasi ragione, non sia in grado di farlo, decida di recitarne un numero inferiore, ma che rimanga costante nell’impegno assunto.
Scandite le sedici parole del mantra con attenzione. Ascoltate con grande concentrazione e non saltatene nessuna: meglio pochi mantra detti bene che tanti detti male. Ma meglio ancora sarebbero tanti detti bene.
Cercate di liberarvi da ogni pensiero estraneo. Sforzatevi di non vagare con la mente. Le prime volte scoprirete di non riuscire a mantenere fissa la vostra attenzione sulle parole e sul suono, ma non scoraggiatevi: la cosa è perfettamente normale. Lo sforzo consiste proprio nel riacciuffare la mente ogni volta che si sposta su qualche altro soggetto. Il mantra è la base della liberazione, tanto che Prabhupada lo chiamava il “grande canto della liberazione”.
Ma bisogna anche evitare quelle che vengono chiamate “le dieci offese del canto dei Santi Nomi di Krishna”. Le elenchiamo per coloro che siano interessati a conoscerle una per una. Si deve evitare di:
1. Ingiuriare, criticare o invidiare un devoto, colui cioè che si è consacrato alla propagazione del canto dei Santi Nomi del Signore.
2. Separare la Persona Suprema dal Suo Santo Nome, dalla Sua forma, dalle Sue qualità e dalle Sue attività, considerandoli materiali. Non riconoscere la Persona Suprema, Sri Krishna, come la Verità Assoluta; mettere Sri Krishna e i deva sullo stesso piano o credere nell’esistenza di numerosi Dei.
3. Considerare il maestro spirituale come un uomo comune, volersi mettere al suo posto o trascurare le sue istruzioni.
4. Criticare o minimizzare le Scritture.
5. Giudicare le glorie del maha-mantra come esagerate o prenderle come un’invenzione. Interpretare o deridere i Santi Nomi del Signore.
6. Compiere coscientemente atti colpevoli contando sugli effetti benefici del canto del maha-mantra per annullarne le conseguenze.
7. Ritenere che i riti, le austerità, la rinuncia e i sacrifici arrechino gli stessi risultati del canto del maha-mantra.
8. Parlare delle glorie del maha-mantra agli infedeli e agli ignoranti che si rifiutano di cantarlo.
9. Essere disattenti durante il canto del maha-mantra.
10. Rimanere attaccati alla vita materiale o disinteressarsi del maha-mantra anche dopo averne ascoltato le glorie e aver compreso gli insegnamenti del maestro spirituale.
Dunque, se si canta Hare Krishna stando attenti a evitare queste dieci offese e con impegno, il successo finale è assicurato.
“…la devozione a Sri Krishna esibita in amore puro si ottiene attraverso il canto pubblico del Santo Nome, che è l’essenza di tutta la felicità.”
Caitanya Caritamrta Adi-lila 8.96
D: Ora parliamo del kirtana.
R: Il kirtana, detto anche sankirtana, è il canto pubblico del mantra, fatto cioè a voce alta e per il beneficio di tutti coloro che abbiano la fortuna di trovarsi nei paraggi. In genere ci si accompagna con gli strumenti musicali di cui abbiamo già parlato. E’ stato Caitanya Mahaprabhu ad inaugurare il sankirtana, andando a cantare nelle strade, nelle piazze, nei mercati e ovunque ci fossero persone. Il suo effetto purificatore è formidabile.
D: Quali sono le discipline che seguono il kirtana?
R: Un altro momento importante è rappresentato dalla lettura e dalla spiegazione delle scritture, che di solito si dovrebbe tenere nella sala di un tempio insieme ad altri praticanti. Ma anche in questo caso vale lo stesso discorso precedente: se la cosa non è possibile, si può rimanere a casa e leggere per conto proprio.
La comprensione filosofica è importantissima: le emozioni di tipo religioso, se prive di razionalità filosofica, sono solo sentimentalismo e hanno il difetto di avere una breve durata. Naturalmente, come ebbe a dire Srila Prabhupada a un suo discepolo, anche l’arido esercizio intellettuale privo di sentimenti spirituali non conduce molto lontano:
Lettera del 10 giugno 1970
tuttavia all’inizio lo studio è più importante della manifestazione di emozioni. L’intelligenza è uno dei sensi fondamentali per la funzione guida che esercita sulla mente, e per questo motivo deve essere sempre impegnata nello studio e nella riflessione filosofica. Quando si penetra nelle profondità del pensiero spirituale si prova una forte soddisfazione intellettuale, un aiuto aggiuntivo per evitare di cadere vittime degli attacchi di Maya.
Poi, per quanto riguarda la giornata, è fondamentale impegnarsi in qualche attività che possa essere offerta al Signore Assoluto, durante la quale l’attenzione deve rivolgersi a Lui.
D: Per quanto concerne la sadhana-bhakti, ci sono regole e discipline varie per le differenti persone, o sono uguali per tutti?
R: Non sono uguali per tutti. Naturalmente una nutrita sezione di queste vale per ogni tipo di gente, ma ce n’è un’altra che cambia a seconda del genere di persona; soprattutto dipende dal grado di avanzamento spirituale e dalla situazione sociale. Nella Bhagavad-gita Krishna stesso dà l’esempio di come non si debba essere sciocchi nel dispensare lezioni e regole, e di quanto sia importante invece parlare o agire secondo “time and circumstance”, cioè “il tempo e la circostanza”. Vediamo le evidenze delle scritture:
“Semplicemente fissa la mente su Me, che sono la Suprema Personalità di Dio, e su Me concentra tutta l’intelligenza. Così tu vivrai in Me sempre, senza dubbio. Mio caro Arjuna…, se (però) non riesci a fissare la mente (in modo tale da non) subire deviazioni, allora segui i principi regolatori del bhakti-yoga e in questo modo svilupperai il desiderio di raggiungerMi. (Tuttavia) se non riesci a svolgere le discipline del bhakti-yoga, allora cerca di adoperarti per Me, perché in questo modo potrai giungere allo stadio della perfezione. Se tuttavia non ti senti in grado neanche di lavorare in questa coscienza, allora prova ad agire senza curarti dei risultati del tuo lavoro e sii situato nel sé. Ma se non riesci neanche in questa pratica, allora focalizza la tua attenzione sulla coltivazione della conoscenza. Superiore alla conoscenza, però, è la meditazione, al di sopra della quale c’è l’abbandono dei frutti dell’azione, perché grazie a tale rinuncia potrai ottenere la pace della mente.”
Bhagavad-gita 12.8 fino a 12
Questo è un chiaro esempio di un maestro che prima di impartire insegnamenti cerca di capire bene chi sono i propri alunni, per evitare il rischio di dire cose non pertinenti al loro grado di comprensione. Perché la verità è assoluta, i principi di base sono uguali per tutti, ma il modo di giungere alla meta può variare. Proprio questo è il compito del maestro spirituale: cercare di far mettere in atto leggi assolute a persone che vivono in uno stato di coscienza immerso nel relativismo e nel dualismo.
D: Quali altre regole ha il sadhana-bhakti?
R: Ce ne sono di numerose e si dividono in ingiunzioni e proibizioni, e cioè in cose che vanno fatte e altre che non vanno fatte. Per esempio, al momento dell’iniziazione il maestro chiede al discepolo di seguire alcune regole di base: recitare un certo numero di “giri”, cioè una quantità fissa di mantra giornalieri, e di non trasgredire ad alcuni “principi regolatori”.
D: Della japa abbiamo già parlato. Possiamo parlare dei principi regolatori?
R: Il maestro spirituale nella linea Vaisnava generalmente chiede al discepolo di osservare strettamente quattro principi, e cioè: di non mangiare carne, pesce o uova; di non assumere sostanze intossicanti, quali sigarette, droghe di qualsiasi tipo, alcool, caffè o tè; di non abbandonarsi a rapporti sessuali extra-matrimoniali; di non giocare d’azzardo. Queste attività sono di natura particolarmente negativa e hanno l’effetto di comprimere il soggetto dentro la dimensione dell’esistenza materiale, per cui vanno evitate. Prima di ricevere l’iniziazione formale, il discepolo deve promettere di non trasgredire queste regole.
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