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questo da dove viene?
da filosofia del bhakti yoga??

 

 

E’ Dio che crea la jiva?
D: E’ inutile, a questo punto, chiedere se i Veda accettino l’esistenza di un qualche Dio. La domanda che invece interessa porre è la seguente: è Dio che crea la jiva?

R: Sì.

D: Allora se è stata creata non può essere eterna. Come abbiamo già detto, infatti, questo termine sta ad indicare qualcosa che non ha inizio né fine. Inoltre, se a un certo punto della sua storia la jiva cade, ciò vuol dire che nel mondo a cui appartiene non c’è uno svolgersi perfetto e unitario, ma che ci sono momenti in cui le cose cominciano ed altri in cui le stesse finiscono, momenti in cui le cose vanno nel verso giusto e altri in cui diventano imperfette.
Alla luce di questo ragionamento verrebbe da concludere che la jiva non può essere eterna né il mondo spirituale perfetto.
Ma poniamo che invece si accetti l’idea che la jiva sia eterna: dunque non è mai stata creata. Come può allora Dio esserne l’origine? Una cosa eterna non può mai essere stata creata da nessuno.

R: La contraddizione sui termini “eterna” e “creata” è solo apparente.

La jiva è energia di Dio, e quindi è tanto eterna quanto Lui. Il fatto che ci sia stato un preciso momento in cui si è “manifestata all’esterno” non vuol dire che sia venuta ad esistere proprio allora, bensì, in senso letterale, che c’è stato un momento in cui ha cominciato a fare delle cose che prima non faceva e ad essere un’entità che prima non era. E’ in quel momento che ha avuto inizio la sua storia, ma per quanto riguarda l’essere, l’esistere, essa è eternamente reale all’interno del corpo del Signore.

Si deve sempre tenere presente la differenza che c’è fra il creare e il manifestare. Il termine creazione implica che una cosa sprigioni dal niente, mentre il manifestare significa esternare un qualcosa che esisteva ma che non era visibile.

Un altro punto importante da sottolineare a questo riguardo è che il creare implica una supremazia, mentre la cosa creata è subordinata. L’anima spirituale è eterna, ma la sua esistenza dipende dal Supremo. In questo senso è creata da Dio.

D: Alla luce della natura e delle caratteristiche della jiva, ci chiediamo cosa mai possa averla spinta a una scelta così strana, così ovviamente in contrasto con se stessa, quella di allontanarsi da Dio. L’anima di natura è spirituale, ama le cose spirituali, vive godendo delle cose eterne. Perché allora ha preferito venire in un mondo così diverso, ostile, in molti sensi addirittura opposto alla sua costituzione originale?

R: Per l’ambizione nascosta di “essere” Dio, di diventare Lui, di imitarlo, di voler gioire delle stesse cose di cui Egli gioisce. In ultima analisi per invidia, per il desiderio di avere ciò che non possiede. E’ qualcosa di molto profondo, una malattia non facile da riconoscere e per questo complicata da curare. Nel nostro intimo noi tutti non sopportiamo l’idea che esista una persona suprema che gode di tutto, noi compresi, e che non siamo noi al centro degli universi, ma questa scomoda presenza che si chiama Dio.

D: Se la jiva non fosse stata fatta per essere lei stessa un’entità suprema, come avrebbe potuto desiderarlo? E’ come se a un certo punto un pesce desiderasse volare. Non sembra impossibile?
Se invece la jiva fosse stata fatta anche per essere suprema, in cosa consisterebbe la sua colpa, il suo errore? Sarebbe stato Dio stesso ad averla fatta in quel modo.
E se invece l’anima avesse realmente sbagliato, anche questo suo poter sbagliare non sarebbe forse stato ugualmente opera divina? Nessuno può essere incolpato di qualcosa di cui non sia completamente responsabile. Sarebbe stato Dio a farla in quel modo.
Perché sarebbe stata creata in modo tale da poter cadere vittima di un errore così grave? Quante sofferenze avremmo evitato se fossimo stati fatti diversamente?

R: La natura dell’amore spirituale tra Krishna e le jiva non è di servilismo. Se Egli avesse creato una specie di robot, perfetti in tutto, sarebbe rimasto solo nell’immensità del creato, e non avrebbe potuto scambiare del vero amore con nessuno. E una delle caratteristiche principali di questo sentimento sta senz’altro nel fatto che deve esercitarsi in modo libero, non può mai essere forzato.

Questa è la ragione per cui ci ha creati liberi di poter sempre decidere, e la libera scelta, nel caso dell’anima infinitesimale, implica anche la possibilità di poter sbagliare.

E qualcuna sbaglia. Invece di servirLo, vuole tentare di diventare il Supremo, scendendo nel mondo materiale e sforzandosi di imitarlo e di ricostruire qui le stesse situazioni esistenti nel cielo trascendentale.

Questa è la sua colpa. Il fatto che siamo parti dell’energia di Dio non significa che perdiamo la possibilità di scegliere, di fare ciò che vogliamo, comprese le cose sbagliate. E l’errore colpevole consiste proprio in questo: di aver liberamente voluto intraprendere un tipo di strada che ci avrebbe portati a soffrire. Tuttavia Sri Krishna non ci condanna alle fiamme eterne di un inferno, bensì ci rieduca all’interno di una energia che, in fin dei conti, è sempre Sua (mama maya duratyaya).

D: Perché nel mondo materiale? Non poteva farlo al sicuro della protezione della Sua natura superiore ottenendo gli stessi risultati ed evitandoci tante pene?

R: No. Sarebbe stato impossibile. Ovviamente non c’è qualcosa che Dio non possa fare e se lo avesse voluto avrebbe potuto fare anche quello. Ma Egli sceglie di comportarsi in certi modi e non in altri per ragioni specifiche che ci vengono spiegate nelle Scritture.

Nel mondo spirituale Egli può essere visto in qualsiasi momento e per questo non potremmo avere nessuna illusione. Come potremmo tentare di essere Lui se lo vedessimo in continuazione? Invece nel mondo materiale la Sua presenza non è così chiara e visibile. Per coloro che vogliono tentare la “scalata alla divinità” è molto meglio venire in un mondo dove ci sia l’influenza di un’energia (maya) che copre la coscienza vera, che non permette di vedere Dio e fa dimenticare persino la Sua esistenza. Solo in questo mondo per le jiva esistono piene facilitazioni per tentare il gioco.

D: Se la jiva fluttua nei raggi del Brahmajyoti e viene attratta da Maya, ciò vuole dire che l’illusione può arrivare anche negli universi spirituali.

R: No. Maya non può entrare in nessuna parte di para-prakrti. Il Brahmajyoti è un’energia spirituale che pervade tutto il creato; tuttavia esce anche dai mondi assoluti ed entra a contatto con la natura materiale. E’ solo a quel punto che possiamo subire il fascino di Maya.

D: Perché Maya su Vaikuntha non esiste?

R: L’energia materiale e quella spirituale sono antitetiche, e non possono mai venire a contatto. E’ impossibile che nello stesso luogo ci siano conoscenza e ignoranza, perché l’una scaccia l’altra, così come dove c’è il sole non ci può essere ombra. Quindi Maya a Vaikuntha non può esistere.

L’energia inferiore è chiamata anche energia esterna proprio perché esiste all’esterno dei mondi trascendentali. A questo proposito si veda il capitolo dedicato a maya-sakti.

D: E allora come può avvenire che la jiva cada?

R: Proprio a causa della sua natura marginale, la jiva è per propria costituzione interna in grado di scegliere dove andare, se con Dio o da sola, a tentare di signoreggiare un’energia morta e inutile.

D: Ma per quale ragione dovrebbe fare una scelta così ovviamente sbagliata?

R: Perché vorrebbe essere libera, senza nessuno al di là, al di sopra di essa. Anche la tatastha è una sakti spirituale, in quanto proviene dal corpo del Signore, e come tale ha le sue stesse qualità. Tuttavia, essendo solo una scintilla spirituale minuta, non ne ha la medesima grandezza. La stessa proporzione che c’è fra la goccia e l’oceano: la goccia è fatta degli stessi elementi dell’oceano, ma ovviamente è infinitamente più piccola.

Dunque, Dio ha la facoltà di decidere liberamente se fare una cosa oppure no, e cioè ha capacità di libero arbitrio, e anche la jiva ha tale capacità. Tuttavia essendo infinitesimale non sempre opta per la cosa giusta. Dio è libero e anche la jiva vuole esserlo, ma a differenza del primo, questa corre il rischio di ingannarsi.

Le anime liberate che vivono nei mondi spirituali non possono sbagliare, e non perché non ne abbiano la possibilità (altrimenti non sarebbe libertà), ma perché, grazie alla loro purezza, riescono sempre a decidere liberamente per la cosa giusta.

In uno dei commenti sui versi della Bhagavad-gita,
Cap.15 verso 7
Srila Prabhupada dice:

“Ogni entità vivente, come anima individuale, ha la sua personale individualità e una piccola quantità di indipendenza. Usando in modo sbagliato quella indipendenza si diventa anime condizionate, e usandola in modo appropriato si diventa liberati.”

D: Cosa vuol farne la jiva di questa libertà?

R: Ottenere ciò che avrebbe comunque avuto se fosse rimasta nella propria dimora originale: tutti i vantaggi che normalmente si possono avere nella natura spirituale.

Principalmente vuole “godere”, essere felice, provare sensazioni di piacere, funzione ed esigenza di fondamentale importanza nella psicologia spirituale della jiva. E questa ricerca di felicità si esplica in numerosi tipi di esperienza.

Una delle ragioni per cui la jiva preferisce questo mondo è che probabilmente la parvenza di felicità è più immediata, anche se poi si rivela ingannevole.

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