L’invasione degli Aryani in India. Edizione 2022 – Parte 2

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La prospettiva letteraria
Generalmente un popolo oppresso militarmente non ama il suo nemico e certamente non condivide la sua cultura fino a farla diventare propria. Se la civiltà di Harappa avesse un’origine Dravidica – civiltà poi sospinta verso il Sud dagli invasori – come mai non esistono differenze o divisioni tra letteratura Aryana e Dravidica? Come mai la storia dei due popoli è un’unica storia? Dove si parla di storia Aryana e storia Dravidica? Eppoi, prima dell’arrivo dei profughi della valle dell’Indo, il Sud era abitato o no? Se lo era (come è certo), chi erano quegli abitanti e perché hanno accettato i nuovi arrivati senza ostilità, né hanno cercato di arginare il flusso delle milioni di persone che arrivavano?

In realtà, prima dell’arrivo dei Britannici, non ci sono mai state ostilità di nessun tipo tra il Nord e il Sud dell’India, tra cui esisteva un continuo scambio e interazioni culturali che continua tutt’oggi. La lingua Sanscrita – che secondo gli storiografi occidentali è di origine Aryana – è stata la lingua comune dell’intera società indiana per migliaia di anni. Le tre più grandi figure del Induismo dell’ultimo millennio – Shankara Acarya, Madhva Acarya e Ramanuja – erano meridionali: eppure venivano universalmente rispettati anche al Nord e hanno trascorso la loro vita a insegnare e a scrivere commentari sulle scritture Vediche (che pure avrebbero dovuto essere opera di pastori e barbari) in lingua Sanscrita, intendendo beneficiare l’intera società umana. In tempi più antichi, ricordiamo che qualcuno dei grandi autori di sutra, come Baudhayana e Apastamba, venivano dal Sud e non hanno mai detto una sola parola a riguardo delle origini straniere dei Veda e del linguaggio Sanscrito. Agastya, un celebre Rishi di origini settentrionali, è universalmente amato come colui che introdusse la saggezza Vedica nel Sud dell’India e per questo, in quelle regioni, viene venerato. Il dato di fatto è che la letteratura Vedica è una creazione tipicamente indiana; non c’è menzione di essa in nessuna regione fuori dall’India.

Immaginiamo per un momento lo scenario: un popolo abbandona le sue terre di origine, colonizza l’India e invece di imporre la propria cultura, i propri dei e i propri rituali, cominciano a venerare la terra conquistata.
La cosa non è logica. L’atteggiamento primo di un conquistatore è di superiorità, non diversamente. Se gli Aryani fossero stati stranieri, perché non nominano i loro propri luoghi di origine come i più venerabili? Perché dovrebbero scrivere libri enormi che cantano le preghiere dei numerosi fiumi che attraversano l’intera penisola e delle montagne, elette addirittura a dimora di dei e dee? Che ragioni potevano aver avuto per considerare questa terra come la Santa Terra? Gli Aryani non hanno scritto una sola parola inneggiando alla loro terra di origine né informandoci che provenissero da tali regioni. E non si può dire che abbiano scritto poco! E’ mai possibile che a nessuno sia venuta la voglia di descrivere il lungo e pericoloso viaggio che avevano dovuto sopportare prima di giungere alla meta? I Purana raccontano migliaia di fatti storici: come è possibile che abbiano taciuto una cosa tanto importante, cioè la storia della nascita della loro nuova cultura? E’ un comportamento per lo meno singolare.
Per i musulmani il loro luogo santo è La Mecca, per i Cattolici è Roma o Gerusalemme, per gli Hindu Kailasha al Nord, Ramesvaram al Sud, il Sindho a Ovest e Parusuram Kund (Arunchala Pradesh) a Est. Per i Gaudiya Vaishnava Vrindavana a Ovest e Mayapur a Est. Le sette città sante dell’induismo includono Kanchipuram a sud, Dwaraka a ovest, Ujjain nell’India centrale; i dodici jyotirlinga includono Rameshwaram nel Tamil Nadu, Srisailam nell’Andhra Pradesh, Nashik nel Maharashtra, Somnath nel Gujarat e Kashi nell’Uttar Pradesh. Tutti sono indiani; non esiste nella letteratura Vedica o in quella cosiddetta post-Vedica un solo luogo importante che non fosse in India.

L’India è sempre stata una nazione unita. Non lo potrebbe essere se le sue origini non fossero indiane. La divisione della madre-patria non rientra nella mentalità atavica di questo popolo.
Sebbene la nazione sia sconfinata, nessun Hindu quando va in pellegrinaggio si è mai sentito straniero da qualsiasi parte andasse. I Sette Fiumi sacri dell’Hinduismo, sembrano tracciare la mappa dell’intera terra sacra: il Sindhu e il Sarasvati (quest’ultimo apparentemente estinto) nascono dalle Himalaya e scendono ad Ovest, e poi a sud verso il mare occidentale. Anche il Ganga e lo Yamuna partono dall’Himalaya e si dirigono verso Est e si tuffano nel mare Nord-Orientale. Il Narmada nasce dall’India centrale e il Godavari nell’India Occidentale, mentre il Kaveri scava la sua via verso il Sud, dove poi entra nel mare.

Più di mille anni fa, Adi Shankaracarya, che era nato in Kerala, stabilì diverse matha (centri religiosi e spirituali) in tutte le direzioni, incluso Badrinath al Nord (Uttara Pradesh), Puri ad Est (Orissa), Dvaraka ad Ovest (Gujarat) e Shringeri e Kanchi a Sud. Quale grande personalità della cultura indiana ha mai parlato dell’origine extra-indiana della stessa? O doveva arrivare qualcuno dalla Germania o dall’Inghilterra per insegnare a questi grandi professori e santi quale fosse il loro background culturale?

Il Rig Veda narra di numerose guerre e conflitti di vario genere. Questi vengono frequentemente citati come prova di un’invasione e di guerre tra gli invasori dalla pelle bianca con le popolazioni locali dalla pelle scura. Questo uso della letteratura Vedica è come minimo pretestuoso. Secondo David Frawley, questi conflitti possono essere categorizzati e spiegati nei seguenti modi:

a) conflitti tra le forze della natura: Indra, il dio del fulmine del Rig Veda occupa una posizione centrale nell’aspetto naturalistico della religione Rigvedica giacché è colui che forza le nuvole a concedere la loro ricchezza vitale, la pioggia. In questo sforzo egli si trova spesso a dover fronteggiare ogni sorta di demoni e spiriti, la cui attività principale è danneggiare le società umane impedendo alla pioggia e ai raggi di beneficiare la terra. Frawley prova a risolvere il dilemma affermando che si tratta di descrizioni mitologiche di battaglie fra differenti forze naturali. Per esempio, nel Rig Veda troviamo il seguente verso:
“Il corpo giacque nel mezzo delle acque, le quali non sono né ferme né fluenti. Queste premono contro l’apertura segreta di Vritra , il quale giace nel buio più profondo e il cui nemico è Indra. Conquistate dall’avversario, le acque si fermarono come una mandria bloccata dal pastore. Indra schiacciò Vritra e riaprì il corso del fiume ”.

Questo verso, dice Frawley, è una bellissima descrizione poetica delle montagne innevate, dove l’acqua vivificante che sostiene i fiumi che scorrono in Aryavarta è mantenuta dalle cupole di ghiaccio (il demone Vritra) e Indra, il dio della pioggia, permette al sole di sciogliere i ghiacciai e così beneficiare le terre con le acque vivificanti dei fiumi. Gli assertori della teoria dell’invasione Aryana interpretano questo verso in modo letterale, portandolo sul piano umano e affermando che Vritra era il capo dei Dravidiani dalla pelle scura e Indra il re degli Aryani dalla pelle chiara.

Per quanto ci riguarda, non riusciamo a capire perché le cose debbano sempre essere interpretate. Non può essere che Indra sia Indra e che Vritra sia Vritra, e che in altre epoche si sia veramente svolto un avvenimento esattamente come viene raccontato nei Veda? La storia che riguarda Indra e Vritra non è contenuta solo nei Veda (testi filosofici in modo preponderante) ma anche nelle Itihasa, che sono libri di storia, che non hanno alcun interesse a trasformare un mito in un fatto storico. Ci sono casi in cui viene raccontato un fatto allegorico allo scopo di illustrare un’idea o un principio dottrinale, ma quando la cosa si verifica viene direttamente dichiarato nel testo stesso . Noi suggeriamo che le storie Vediche vanno interpretate come allegorie solo quando viene così dichiarato dagli stessi testi, altrimenti succede che si cade nello stesso errore commesso dagli invasionisti, i quali perdono il contatto con la cultura studiata e partono per un proprio viaggio intellettuale che non ha nulla a che vedere con l’oggetto in questione.

b) Frawley azzarda che alcuni dei conflitti narrati nel Rig Veda sono rappresentazioni di veri scontri avvenuti tra popolazioni Vediche e Iraniche. Una volta, quelle che oggi sono due etnie diverse, vivevano insieme come una società unica e i loro rapporti erano armonici e privi di asprezze. Ma a un certo punto della storia qualcosa deve essere successo, per cui vennero ad esserci seri contrasti che condussero a uno scisma. La parte Nord-Ovest dell’India è quella che oggi conosciamo come Iran. Pur non condividendo il metodo di Frawley, dobbiamo dire che in un certo senso concordiamo con lui. Infatti gli accostamenti culturali tra le due popolazioni non sono un mistero. Il Dio Iraniano Ahura è chiaramente l’Asura Vedico, mentre i loro demoni si chiamano Daevas, i Deva. Si noti il sovvertimento di valori, per cui i benevoli Deva indiani diventano demoni per gli iraniani e viceversa. Pare quasi una ripicca! Non solo, ma gli Iraniani si chiamarono Dahas e Dahyus, che corrispondono alle antiche nobili dinastie indiane dei Dasa e dei Dasyu. I testi Iraniani più vecchi, inoltre, descrivono i conflitti tra i sostenitori dei Deva e i loro avversari, il tutto dalla loro ottica, per cui gli spiriti maligni diventavano eroi, vittime di malvagi Deva.

c) Frawley afferma poi che una parte di quei conflitti citati nel Rig Veda potrebbero voler documentare battaglie fra gruppi tribali locali per lo sfruttamento di risorse naturali e tra vari regni minori, che volevano guadagnare la supremazia sulle terre. Una specie di corsa all’oro costante allo scopo di avere sempre più acqua, bestiame, vegetazione e terra ai fini dell’espansionismo e del potere temporale.

Ma continuiamo a chiederci e a chiedere: se questo fosse stato il caso, cosa ci voleva a dirlo chiaramente? Ai saggi Vedici non piaceva giocare, erano monaci seri che non amavano le favole.

Cronologia del periodo preistorico in India
Secondo i teorici dell’invasione Aryana, la civiltà indiana, o quella della valle dell’Indo, è antica solo di 4000 o 5000 anni e la sua fine va rimandata al 1500 AC.
Secondo questi, l’era Vedica inizia verso il 1400 o 1300 AC, quando i quattro libri originali furono composti e gli Aryani cominciarono a imporre la loro cultura e la loro religione sulla popolazione locale del nord dell’India. Il Ramayana e il Maha-bharata, che vengano considerati o no come testi che riportano eventi realmente accaduti, dovrebbero essere datati nel periodo che va dal 1200 al 1000 AC. La loro convinzione è che le datazioni attendibili iniziano solo dopo il 1000 AC, quando vengono composti i primi veri documenti storici, intorno alla nascita del Buddha.
Questa cronologia, proposta inizialmente da Max Muller, era basata primariamente nel suo fermo credo nella data Biblica sulla creazione del mondo, cioè il 23 ottobre del 4004 AC. Tale cronologia è stata contraddetta da tutte le evidenze archeologiche, dalle testimonianze scritturali, dai credi tradizionali e, più importante di tutto, dal buon senso e dall’onesto metodo scientifico. Rifiutando la prospettiva di Max Muller, alcuni indologi, basandosi sulle ben più attendibili testimonianze Vediche e Puraniche, sui ritrovamenti e studi archeologici e altro, propongono la seguente cronologia:

• Era Vedica: 7000-4000 AC
• Fine dell’era del Rig Veda: 3750 AC
• Fine del periodo del Ramayana e del Maha-bharata: 3000 AC
• Sviluppo della civiltà Indo-Sarasvati: 3000-2000 AC
• Declino della civiltà Indo-Sarasvati: 2200-1900 AC
• Periodo di completo caos e migrazioni: 2000-1500 AC
• Periodo di evoluzione di una cultura Hindu sincretistica: 1400 – 250 AC.

Che si creda attendibile questa cronologia o no, non c’è nulla che possa far pensare a un’invasione di orde straniere.

L’analisi cronologica Vaishnava
I Vaishnava, in particolar modo i Gaudiya, conferiscono la massima autorità alle Scritture, specie quando queste sono tramandate da una parampara autentica. Perciò il loro metodo è quello dello studio delle stesse, le quali sono l’unica fonte attendibile di conoscenza perché di origini divine. L’analisi minuziosa di questa cronologia ci porterebbe molto lontano, per cui ne discuteremo solo in breve.

Va detto subito che tutti i testi Vedici si occupano di storia (chi in quantità maggiore e chi minore), e tutti sono d’accordo nel tracciare una cronologia ben diversa. Prima di tutto, cos’è “l’era Vedica”? Se per questa espressione s’intende un’epoca in cui i precetti Vedici venivano osservati, ebbene non c’è traccia della loro creazione, in quanto eterni. Talvolta sono “manifestati” (cioè conosciuti) e altre volte si celano, ma la Conoscenza non ha inizio. Nel momento in cui c’è un Conoscitore e una Cosa da Conoscere, nasce la Conoscenza. Parlare di “inizio di era Vedica” è sbagliato.

I Veda che oggi conosciamo sono una composizione, fatta dal Rishi Krishna Dvaipayana Vyasa, di antichissime tradizioni di saggi, i quali si tramandavano una diversa prospettiva della conoscenza delle cose umane e divine. La degenerazione dell’antica civiltà che viene chiamata Vedica è attribuibile a Kala, il Tempo Eterno, il quale conduce tutto e tutti in direzione della degenerazione e poi verso un risorgimento spirituale. Tutto questo è spiegato in modo molto chiaro nei Veda stessi . Perché dovremmo inventare una nostra cronologia? Nel momento in cui l’era di Kali fa la sua entrata nello scenario del mondo, tutto inizia a degradarsi, compreso le civiltà che osservavano i principi elevati. Kali inizia 3.102 anni prima dell’era Cristiana; da quel giorno in poi nulla è stato più come prima.

Per quanto riguarda la civiltà distrutta di Harappa, il Maha-bharata ci racconta di interi regni devastati dalle cause più disparate. Siamo convinti che ulteriori ricerche nella letteratura Vedica ci porterebbero a conoscere la causa della dissoluzione di quel florido regno.

Una nota merita l’epica del Ramayana: secondo studi condotti sul Vishnu e su altri Purana, i fatti che riguardano Rama sarebbero accaduti in divya-yuga precedenti e non in questo, per la precisione nel 24° del Vaivasvata Manvantara. Se cio’ fosse confermato sarebbe possibile datare le gesta di Rama in un periodo attorno ai 15 milioni di anni orsono.

Un paradosso
Se si dovesse accettare la teoria dell’invasione Aryana, ci si troverebbe di fronte a un paradosso insostenibile.
Gli abitanti di Harappa della valle dell’Indo hanno lasciato documenti archeologici a profusione su una vasta regione, che va dai confini dell’Iran e dell’Afganistan all’Uttara Pradesh orientale fino alla valle del Tapti. Si suppone che in questa regione dovessero vivere almeno 30 milioni di persone altamente civilizzate. Eppure questa gente non ha lasciato assolutamente nessun documento letterario. Sembra incredibile!
Invece gli Aryani Vedici e i loro successori ci hanno lasciato una letteratura che è probabilmente la più vasta e profonda del mondo, ma nessun documento storico, nulla che comprovi la loro storia prima e dopo l’arrivo in India. Così ci ritroviamo una vasta documentazione storica e archeologica della civiltà Dravidica durata migliaia di anni che però non ha lasciato nulla di letterario e una gigantesca letteratura da parte di Aryani Vedici che però non hanno lasciato nessuna notizia di loro.
La situazione diventa ancora più assurda quando si consideri che c’è una vasta documentazione archeologica e letteraria di Indiani Aryani che provenivano dall’India, in Iran e nell’Asia occidentale, datata 2000 AC.

Queste evidenti anomalie possono essere riconciliate solo accettando la cosa più semplice e naturale, e cioè che i cosiddetti Aryani erano gli abitanti originali delle città lungo l’Indu, il Ravi, il Sarasvati e di tutta la regione settentrionale del sub-continente indiano e che quelle popolazioni abbandonarono la loro terra natia per qualche altra ragione, forse calamità naturali.

I saggi Vedici hanno insegnato e praticato i principi universali della pacifica coesistenza e della tolleranza: come possono tali persone essere accusate di genocidio, di sterminio di gente innocente e di aver distrutto un gran numero di città? Le Scritture ci informano dei loro valori morali e spirituali:
• Aham bhumimdadamaryam (Rig Veda) – Il Creatore dichiara: Io ho dato questa terra agli Aryani.
• Kirnvanto vishwaryam (Rig Veda) – Rendi l’intero mondo nobile.
• Aa na bhadra katavo yanto vishvatah (Rig Veda) – Lascia che nobili pensieri fluiscano da ogni parte.
• Mata bhumih putro ham prithvyah (Atharva-Veda) – La terra è la mia madre e io sono il suo figlio.
• Vasudeva kutumbubakam – L’intero universo è una famiglia.

La prospettiva archeologica
Dalla prima scoperta delle città sepolte di Harappa e di Mohenjo-Daro sui fiumi Ravi e Sindhu – avvenuta nel 1922 – sono stati autorizzati numerosi altri scavi (ora sono più di 2500) e si estendono dal Baluchistan al Ganga, giù alla valle del Tapti, interessando quasi un milione e mezzo di km quadrati. Tutto questo lavoro, di proporzioni bibliche, è stato portato avanti da archeologi di chiara fama.
Una cosa che settanta anni fa non poteva essere conosciuta era il fatto che il 75% di questi ritrovamenti sono concentrati non lungo il Sindhu e neanche lungo il Ganga, ma sulla linea di ciò che poi sarebbe stato riconosciuto essere l’antico letto del Sarasvati. Il prosciugamento del fiume Sarasvati fu una catastrofe di vasta magnitudine, che portò a una massiccia deportazione di persone che si spostarono in altre aree dell’oriente, del medio-oriente e persino in Europa. Questo è vero, tanto che nei mille anni che seguirono in tutta l’Asia Occidentale appaiono e scompaiono dinastie e reggenti con nomi indiani. Probabilmente fu proprio questa la ragione dell’abbandono di una regione tanto vasta quanto florida, e non un’invasione di razze nomadi.

Gli archeologi invasionisti non riescono a spiegare come mai i conquistatori Aryani avessero invaso le cittadine nella valle di Harappa, distruggendo i suoi abitanti e la loro civiltà, e non avessero occupato quelle ricche città. Gli scavi dei siti ci dicono che quelle furono abbandonate e mai più abitate da nessun altro.

Anche se taluni non intendono accettare neanche le evidenze scientifiche, tanto attaccati sono ai loro preconcetti, oggi possiamo dire che ci sono sufficienti prove archeologiche per affermare che i riti religiosi degli abitanti di Harappa e dei siti della valle dell’Indo erano del tutto simili a quelli degli Aryani Vedici. I loro riti, le loro divinità e i loro altari del sacrificio parlano di fede Aryana. Ciò vuol dire che l’Aryanesimo (o Vedismo) era cultura locale indiana e che non è stata portata da nessuno straniero.

Viene affermato che una delle prove che gli Aryani fossero stranieri è costituita dal fatto che questi cavalcassero i cavalli e usavano i carri per il trasporto. Giacché non si è ritrovato nulla a riguardo della presenza di cavalli ad Harappa e Mohenjo-daro, gli abitanti della valle dell’Indo non potevano essere Aryani. Questo era lecito supporlo fino al 1930-1940, quando gli scavi di molti siti non erano a uno stadio avanzato. In seguito poi gli scavi dei siti lungo la valle dell’Indo e il prosciugato fiume Sarasvati avrebbero invece prodotto numerose ossa di cavalli addomesticati. E’ il Dr. S.R. Rao a informarci di aver ritrovate ossa di cavalli sia nei livelli della Mature Harappan che nella Late Harappan. Da allora sono state dissotterrate molte ossa di cavalli, sia del tipo domestico che di quello da combattimento. Inoltre sono state trovate anche ruote come quelle che vengono usate per i carri. Cade così un altro dei baluardi dei difensori della teoria dell’invasione Aryana.

La scoperta della città sommersa di Dvaraka
La scoperta di questa città è molto importante e dovremo dedicarle maggiore spazio, magari una monografia intera. Questa costituisce un’evidenza della massima importanza per sconfiggere la falsa datazione dei fatti storici narrati nei Veda, che vengono fatti risalire al 1500 AC. La sua scoperta non solo stabilisce una volta per tutte l’autenticità storica della guerra del Maha-bharata e gli eventi descritti nell’epica, ma che le datazioni tradizionali dei periodi del Maha-bharata e del Ramayana sono corretti. Finora i sostenitori della teoria dell’invasione Aryana definivano l’epica del Maha-bharata o come un opera di un grande poeta di talento oppure come fatti realmente accaduti, non prima però del 1000 AC.

Invece le rovine della città sommersa, ritrovata nel luogo indicato dalle Scritture, cioè vicino le coste del Gujarat, sono state datate dagli scienziati dal 3000 AC al 1500 AC. La prima datazione trova riscontri letterari. Infatti, nel Mausala Parva del Maha-bharata, è detto che Dvaraka viene gradualmente inghiottita dall’oceano. Krishna aveva profetizzato tale disastro, per cui aveva avvertito tutti i residenti della città di abbandonarla prima che il mare la sommergesse. Come e perché Krishna avesse fondato la città di Dvaraka, è raccontato nel Sabha Parva del Maha-bharata, che ci offre un racconto dettagliato della fuga da Mathura di Krishna e dei suoi parenti e amici per sfuggire ai continui attacchi di Jarasandha e salvare così le vite dei sudditi. Per questa ragione Krishna è anche conosciuto come Ranchor – colui che fugge dal campo di battaglia.
Nel periodo che va dal 1984 al 1988, il Dr. S.R. Rao e il suo gruppo di ricerche (l’Unità di Marina Archeologica) decisero di non risparmiare sforzi per ritrovare la città sommersa e, lungo le coste del Gujarat, non lontano dal Tempio di Dwarikadish, è stata finalmente ritrovata.
Oggi continuano gli studi. Può darsi che il futuro ci riservi novità straordinarie.

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