La Filosofia del Bhakti Yoga – Jiva-sakti (l’anima spirituale) – parte 3

posted in: Area9, Italiano 0

D: Perché nel mondo materiale? Non poteva farlo al sicuro della protezione della Sua natura superiore ottenendo gli stessi risultati ed evitandoci tante pene?

R: No. Sarebbe stato impossibile. Ovviamente non c’è qualcosa che Dio non possa fare e se lo avesse voluto avrebbe potuto fare anche quello. Ma Egli sceglie di comportarsi in certi modi e non in altri per ragioni specifiche che ci vengono spiegate nelle Scritture.

Nel mondo spirituale Egli può essere visto in qualsiasi momento e per questo non potremmo avere nessuna illusione. Come potremmo tentare di essere Lui se lo vedessimo in continuazione? Invece nel mondo materiale la Sua presenza non è così chiara e visibile. Per coloro che vogliono tentare la “scalata alla divinità” è molto meglio venire in un mondo dove ci sia l’influenza di un’energia (maya) che copre la coscienza vera, che non permette di vedere Dio e fa dimenticare persino la Sua esistenza. Solo in questo mondo per le jiva esistono piene facilitazioni per tentare il gioco.

D: Se la jiva fluttua nei raggi del Brahmajyoti e viene attratta da Maya, ciò vuole dire che l’illusione può arrivare anche negli universi spirituali.

R: No. Maya non può entrare in nessuna parte di para-prakrti. Il Brahmajyoti è un’energia spirituale che pervade tutto il creato; tuttavia esce anche dai mondi assoluti ed entra a contatto con la natura materiale. E’ solo a quel punto che possiamo subire il fascino di Maya.

D: Perché Maya su Vaikuntha non esiste?

R: L’energia materiale e quella spirituale sono antitetiche, e non possono mai venire a contatto. E’ impossibile che nello stesso luogo ci siano conoscenza e ignoranza, perché l’una scaccia l’altra, così come dove c’è il sole non ci può essere ombra. Quindi Maya a Vaikuntha non può esistere.

L’energia inferiore è chiamata anche energia esterna proprio perché esiste all’esterno dei mondi trascendentali. A questo proposito si veda il capitolo dedicato a maya-sakti.

D: E allora come può avvenire che la jiva cada?

R: Proprio a causa della sua natura marginale, la jiva è per propria costituzione interna in grado di scegliere dove andare, se con Dio o da sola, a tentare di signoreggiare un’energia morta e inutile.

D: Ma per quale ragione dovrebbe fare una scelta così ovviamente sbagliata?

R: Perché vorrebbe essere libera, senza nessuno al di là, al di sopra di essa. Anche la tatastha è una sakti spirituale, in quanto proviene dal corpo del Signore, e come tale ha le sue stesse qualità. Tuttavia, essendo solo una scintilla spirituale minuta, non ne ha la medesima grandezza. La stessa proporzione che c’è fra la goccia e l’oceano: la goccia è fatta degli stessi elementi dell’oceano, ma ovviamente è infinitamente più piccola.

Dunque, Dio ha la facoltà di decidere liberamente se fare una cosa oppure no, e cioè ha capacità di libero arbitrio, e anche la jiva ha tale capacità. Tuttavia essendo infinitesimale non sempre opta per la cosa giusta. Dio è libero e anche la jiva vuole esserlo, ma a differenza del primo, questa corre il rischio di ingannarsi.

Le anime liberate che vivono nei mondi spirituali non possono sbagliare, e non perché non ne abbiano la possibilità (altrimenti non sarebbe libertà), ma perché, grazie alla loro purezza, riescono sempre a decidere liberamente per la cosa giusta.

In uno dei commenti sui versi della Bhagavad-gita,
Cap.15 verso 7
Srila Prabhupada dice:

“Ogni entità vivente, come anima individuale, ha la sua personale individualità e una piccola quantità di indipendenza. Usando in modo sbagliato quella indipendenza si diventa anime condizionate, e usandola in modo appropriato si diventa liberati.”

D: Cosa vuol farne la jiva di questa libertà?

R: Ottenere ciò che avrebbe comunque avuto se fosse rimasta nella propria dimora originale: tutti i vantaggi che normalmente si possono avere nella natura spirituale.

Principalmente vuole “godere”, essere felice, provare sensazioni di piacere, funzione ed esigenza di fondamentale importanza nella psicologia spirituale della jiva. E questa ricerca di felicità si esplica in numerosi tipi di esperienza.

Una delle ragioni per cui la jiva preferisce questo mondo è che probabilmente la parvenza di felicità è più immediata, anche se poi si rivela ingannevole.

Le ragioni dell’errore dei nitya-baddha
D: Cosa fa sbagliare i nitya-baddha? e cosa invece impedisce ai nitya-siddha di essere soggetti allo stesso inganno?

R: Il contatto con maya. La jiva, nel suo stato seminale, riceve i dati generali per quanto concerne sia l’esistenza materiale sia quella spirituale. Ma sono solo accenni di informazioni, cioè quelli che al loro stato possono utilizzare. A quel punto c’è da operare una scelta: alcune decidono di salire, altre di scendere.

La Suprema Personalità di Dio, Sri Krishna, sempre gioisce del suo stato perfetto nel mondo spirituale, e lo fa vivendo infinite attività insieme ai Suoi compagni eterni. La jiva, spinta dalla propria “minuta deità”, vuole fare lo stesso e viene in questo mondo materiale, certa del suo successo, di essere forte abbastanza da poter controllare le micidiali leggi di Maya.

Invece i nitya-siddha non cadono mai in questo mondo materiale perché sono già stabiliti nella piena relazione d’amore con Dio e non concepiscono di separarsi dalla loro vita naturale. Inoltre non giungono mai a contatto con l’energia materiale, ma se anche ciò dovesse accadere non potrebbero rimanerne vittime.

D: E’ più che chiaro, a questo punto, che la jiva può sbagliare.

R: Certamente.

D: Allora la possibilità di sbagliare le è connaturata. E visto che la jiva è una scintilla di spirito, ciò significa che l’errore è una qualità spirituale. E ciò vorrebbe dire che anche Dio potrebbe sbagliare: allora se questo ragionamento fosse corretto, Dio perderebbe la Sua perfezione, e il Suo stesso appellativo scadrebbe di significato.

R: No, perché l’anima può fallire, Dio no. Lui è tutto, come potrebbe cadere in un errore? Non c’è qualcosa all’infuori di Lui, quindi non può mai ingannarsi.

L’errore non è altro che l’opposto del giusto, di ciò che è vero, di ciò che esiste. E’ qualcosa che non è. Se Egli è tutto ciò che esiste, come potrebbe andare al di là? e al di là di cosa? Oltre Dio non esiste nulla.

Un errore può essere commesso da chi sia in possesso di un’intelligenza non perfetta e limitata. Dio ha un’intelligenza illimitata e dunque non può sbagliare mentre la jiva, avendola limitata, può. Si deve aggiungere che allo stato nascente, non sviluppato, poco esperto, si è sempre maggiormente passibili di errori. E’ come un neonato: per lui sbagliare è più facile che per un adulto. Del resto è proprio questa la differenza che intercorre fra noi e Dio.

Come mai allora una scintilla di spirito può commettere errori?

Questo problema va messo in prospettiva. Da una prospettiva assoluta, in un certo senso, non vi è sbaglio perché la jiva sceglie di scendere nel mondo materiale, che pure è una energia divina. Dunque, per quanto la jiva sbagli, rimane sempre nella “proprietà” del suo Creatore. L’errore non va interpretato in senso assoluto, ma in senso relativo. Si deve dire che la jiva mai abbandona totalmente Dio; al contrario si rifugia in una delle sue energie per estrinsecare quella che è una sua funzione, la libertà, la ricerca della soddisfazione dei suoi desideri. Dio ha dovuto creare un’energia che abbia la parvenza dell’errore per offrire la possibilità alla jiva di illudersi, in modo che poi, liberamente, decida quando vuole di tornare e di amarlo. Dunque l’errore è sempre in relazione al Signore, che è il punto centrale fermo di tutto. Per queste ragioni la jiva può sbagliare, mentre Dio no.

Ma dobbiamo dire che al riguardo di ciò esistono altre teorie, tutte abbastanza convincenti, per le quali vi rimandiamo ad altri testi.

Ancora: la caduta e il dopo
D: Come scende la jiva?

R: Nel suo piano di esistenza chiamato tatastha, o confine, margine tra i due mondi, la jiva riceve le informazioni della illusoria libertà di cui potrebbe gioire. E desidera venire a conoscere questo mondo. A quel punto il Signore, che sempre vuole soddisfare i desideri di tutti, glielo permette e la jiva giunge nei primi piani dell’esistenza materiale, in situazioni molto evolute, nelle quali prova intensi piaceri materiali. Ora crede di essere giunta alla meta prefissata. Intossicata dal senso di potere e dalla capacità creativa, si illude di essere oramai Dio, o almeno che le sia possibile diventarlo, oppure che come minimo esista una posizione, una situazione in cui Dio non è.

E quali sono i meccanismi di questo mondo? Qui, a meno che non si posseggano sensi purificati, non è possibile vedere Dio, siamo intrappolati da ogni parte, immessi in un corpo limitato in tutto. Pensiamo: Dio forse esiste. Ma non lo possiamo scorgere. Chi o cosa vela l’esistenza divina? L’energia illusoria, certamente, maya.

A contatto con quest’ultima, la jiva si degrada sempre di più, certa che oramai sia riuscita a isolarsi dall’ingombrante presenza, con l’aspirazione di riuscire a trovare in questo mondo la perfetta situazione. Non si rende ancora conto di cosa l’aspetta.

In accordo ai propri desideri, prigioniera delle leggi della natura, gradualmente si degrada e assume corpi materiali corrispondenti ai suoi desideri malsani.

D: Quanti e quali corpi la jiva deve assumere prima di tornare al luogo da cui proviene?

R: Il corpo che abbiamo al presente non è stato, con tutta probabilità, il primo corpo che abbiamo assunto, né per molti di noi sarà l’ultimo. Come vedremo più avanti, ci sono moltissime specie viventi in questo universo, e quella umana è solo una delle tante. Nonostante ciò riveste un’importanza particolare, in quanto è in questa condizione che ci fabbrichiamo il karma, ovvero quelle azioni che producono reazioni che ci costringeranno a rimanere in questo mondo. A causa di ciò vaghiamo in differenti corpi materiali, cercando una felicità che non esiste. Questa ruota, ininterrotta catena di reincarnazioni, si chiama samsara.

D: Cos’è il karma? e cos’è il samsara?

R: Questi due concetti sono spiegati meglio nel capitolo intitolato “Maya-sakti”. Possiamo anticipare che per karma s’intende tutte quelle azioni condotte con spirito egoistico (fatte cioè non per servire Dio, bensì per ottenere un piacere personale) che, per tale ragione, provocano reazioni che ci costringono a prendere altri corpi materiali.

Il samsara è il ciclo di morti e rinascite necessarie per assumere determinati corpi, fino a che non ci libereremo.

L’illusione di poter diventare Dio
D: Approfondiamo la questione: è dunque l’esistenza materiale una sorta di punizione per aver compiuto scelte sbagliate?

R: Non esattamente. Come abbiamo detto, la jiva, secondo il proprio sanatana-dharma (eterna posizione costituzionale), è destinata a un rapporto d’amore e di devozione con Sri Krishna. Ma non si può escludere che possa desiderare di provare qualche altra cosa.

La natura materiale è dunque quel campo in cui la jiva fa la sua esperienza, dove può capire, realizzare profondamente ciò che le è naturale e ciò che non lo è. Forte di questa esperienza, dopo aver sviluppato il suo potenziale corpo spirituale, prima o poi (è solo questione di tempo) vuole tornare da Lui.

La sofferenza che la jiva patisce non è esattamente una punizione, ma un modo di imparare, un veicolo didattico: soffrendo, realizza come stanno veramente le cose. Krishna non è un Dio di vendetta e punizioni, ma un Dio d’amore.

Tutte le anime devono cadere nel mondo della sofferenza?
D: Riprendiamo la questione del momento della caduta della jiva. Abbiamo detto che il proprio dharma spinge la jiva a desiderare di agire, e allora si manifesta all’esterno del corpo del Signore. A quel punto viene messa in una situazione in cui può scegliere dove andare.
Qui verrebbe da concludere che tutte le jiva “imperfette” devono cadere per poi scegliere la cosa giusta.

R: No, non è necessario. Da quel piano la maggior parte sceglie il mondo spirituale. Solo qualcuna fa diversamente.

D: Ma le anime che vivono in questo universo, se contiamo gli esseri della specie umana, di quella animale, di quella vegetale, eccetera, possiamo dire che sono incalcolabili. Dire “solo qualcuna” mi sembra inesatto.

R: Per qualcuno s’intende una piccola percentuale. Se sono miliardi di miliardi le anime che vivono in questo universo, neanche possiamo cominciare ad immaginare quante ne esistano nell’altro mondo. In realtà le jiva sono infinite di numero.

Il libero arbitrio
D: Cosa induce una jiva-tatastha a scegliere di cadere e a un’altra di andare su? Perché questa differenza tra l’una e l’altra?

R: La ragione sta sempre nel libero arbitrio, nelle caratteristiche individuali che eternamente ci contraddistinguono. Pure allo stato nascente, tutti noi siamo delle persone, proprio come ora, e ognuno ha differenti modi di pensare, di valutare le circostanze che possono essere preferibili rispetto ad altre. Perché a qualcuno di noi piace una cosa e ad altri no? Perché il gusto è personale, eternamente individuale.
Dunque c’è chi sceglie Maya e chi sceglie Sri Krishna. Chi la falsità e chi la verità.

L’anima discende nelle forme di vita inferiori
D: Torniamo al momento della caduta. Hai detto che la jiva inizia la sua disavventura ai massimi livelli possibili in questo universo. Cosa significa?

R: I massimi livelli sono i pianeti superiori, dove vivono esseri dotati di caratteristiche per noi inimmaginabili. Non è vero che il nostro è l’unico pianeta dell’universo occupato da esseri viventi. I Veda ci informano che tutti i pianeti sono abitati, anche quelli che conosciamo, la Luna compresa. Solo che non abbiamo la capacità di percepirne le entità che li popolano.

Da questi pianeti inizia la storia della jiva in questo universo. D’altro canto sarebbe impensabile ritenere che una jiva, per quanto “allo stato di seme”, potente come un piccolo Dio, cadesse immediatamente a livelli inferiori di vita, per i quali ci vuole una particolare struttura di corpo sottile. La jiva scende a un livello consono “alla propria nobiltà”, in luoghi adatti al suo livello spirituale. Ma venendo a contatto con la materia, l’anima individuale comincia a intossicarsi del proprio potere, dell’insospettata capacità di godere anche senza la presenza di Dio. Ed è a questo punto che inizia a ricoprirsi di caratteristiche materiali sempre più grossolane, finché non giunge a avvolgersi di veri e propri elementi.

Per vedere di quali “enti” materiali la jiva gradualmente si riveste, facciamoci aiutare dalla Bhagavad-gita.

“Terra, acqua, aria, fuoco, etere, mente, intelligenza e falso ego – tutti insieme questi otto costituiscono la Mia energia materiale separata.”
Bhagavad-gita 7.4

Vedremo meglio la composizione della natura materiale quando la tratteremo nei capitoli specifici. Per ora è sufficiente sapere che man mano che la jiva si degrada si copre sempre di più di strati di materia, a cominciare dal più sottile, il falso ego (ahamkara), per proseguire con i restanti sette. A causa dell’influenza di questi elementi materiali, la jiva dimentica gradualmente la sua vera identità, e si identifica sempre più in qualcosa che non è (maya, ciò che non è).

I Veda chiamano questo stato di cose “condizione illusoria di vita”: vivere pensando di essere qualcosa che non si è, e agire di conseguenza. E’ come lo stato di follia del pazzo che crede di essere un uccello e tenta di spiccare il volo. Allo stesso modo, quando la jiva si convince di essere parte della natura materiale si comporta di conseguenza, con risvolti disastrosi che puntualmente si risolvono in sofferenze e frustrazioni senza fine.

Nell’universo materiale ci sono 8.400.000 specie viventi. Noi cominciamo a viaggiare e a soffermarci in tutte queste e, di conseguenza, a sottoporci a varie esperienze: ognuna in un corpo diverso, ognuna con una gamma di piaceri e di patimenti, ognuna con una differente identificazione.

Certe volte crediamo di essere un deva, altre volte un uomo o una donna, un cane, un gatto, un insetto, un albero, un filo d’erba, un pesce o addirittura un minerale. E, sempre più confusi e sconvolti dall’ignoranza, ogni volta, con piena e grottesca convinzione, pensiamo: questo sono io, e “ora vi farò vedere come riuscirò a godere della mia vita”.

Ma, velocissima e implacabile, la morte sopraggiunge e ci distoglie dalle nostre dolorose illusioni, ci strappa dai nostri sogni e veniamo trascinati brutalmente dalle leggi materiali in altri corpi. Dove puntualmente soffriamo.

Tutto questo si ripete per miliardi di anni. Tanto evidentemente ci vuole per giungere alla comprensione dell’errore madornale che stiamo commettendo.

D: Prima hai detto che nella para-prakrti ci sono jiva che hanno scelto di non venire in questo mondo e secondo i Veda ciò è possibile in quanto rientra nella condizione di libertà dell’individuo. Tecnicamente come avviene?

R: Dal piano tatastha, dove la jiva ha la possibilità di razionalizzare la sua visione della realtà e di tradurla in libera scelta, decide di andare direttamente nei mondi spirituali, come Vaikuntha o Krishna-loka. Grazie alle leggi del Signore, questa è promossa direttamente nei pianeti eterni del Signore.

Nella forma umana
D: Tra tutte le forme viventi, quale permette una maggiore e più efficace riflessione sulle problematiche dell’esistenza e di porre rimedio al problema?

R: Sicuramente la forma umana. L’uomo che vive in questo sistema planetario mediano, è nella situazione più indicata per intraprendere il cammino che conduce a Dio. Nelle forme materialmente più evolute, la realizzazione spirituale è comprensibilmente più difficile perché i diversi aspetti dell’illusione, dell’intossicazione del piacere e del potere sono più forti. In quelle condizioni l’anima prova gioie molto intense. Ubriaca della propria potenza, non riesce a vedere una ragione valida per dedicarsi alla realizzazione del sé.

Nelle forme inferiori la cosa funziona al contrario: l’ignoranza e la sofferenza impediscono qualsiasi riflessione. Con la mente ottenebrata dalla stupidità per quanto riguarda gli argomenti trascendentali, l’uomo prova grandi difficoltà ad uscire dalla dimensione limitata in cui si trova a vivere.

La forma umana è uno stadio intermedio, e dunque è quella più indicata. A quel punto del viaggio, se ha la fortuna di ricevere la grazia di un autentico maestro spirituale (guru-krpa), intravede in modo chiaro la possibilità di tornare a rivalutare la scelta che aveva operato, alla luce delle esperienze compiute durante la sua esistenza in questo mondo: riprendere il cammino del ritorno al mondo d’origine, oppure continuare la propria disavventura.

Quanto dura la contaminazione materiale?
D: Da ciò che si è detto sembra che la jiva trascorra in questo mondo un periodo di tempo straordinariamente lungo. Perché?

R: Perché la contaminazione materiale è qualcosa che avvolge sempre più, in ogni parola, atto o pensiero; e di conseguenza anche la crosta di sporcizia attorno a noi aumenta. In proporzione alla quantità di materia con la quale ci accompagniamo, la nostra vera coscienza originale si allontana, e la dimenticanza ci invade e ci conquista. Krishna stesso ci dà ricordo e oblio, in accordo a quanto noi li desideriamo. Nella Bhagavad-gita,
Cap.15 verso 15
Egli stesso dice:

“Io, seduto nel cuore di ogni entità vivente, sono la causa del ricordo, della conoscenza e della dimenticanza…”

Vogliamo dimenticare per essere liberi di fare ciò che più ci aggrada? Bene, Sri Krishna in ogni modo provvede a ciò di cui abbiamo bisogno. E continuiamo a vagare di corpo in corpo, di pianeta in pianeta cercando la nostra soddisfazione, sperando di arrivare al coronamento del nostro desiderio, che è quello di controllare e godere come Dio.

La spinta per voler tornare a Vaikuntha
D: Qual è la molla che, a un certo punto, ci spinge a un cambio di rotta, e cioè a voler tornare nel nostro mondo di appartenenza, a Vaikuntha? E’ sufficiente volerlo o è necessario l’intervento di qualche agente esterno?

R: A un certo punto del suo viaggio pazzo attraverso il samsara, la jiva sofferente comincia a intravedere una luce, a capire che tutta la sua storia in questo mondo, che tutti i suoi sogni di indipendenza e gloria, sono solo ed esclusivamente sciocche follie fondate su un qualcosa di illusorio. A quel punto comincia a desiderare fortemente un sollievo alle delusioni e all’ignoranza.

Ma durante questo lungo periodo, il Signore non ha mai abbandonato i suoi figli: infatti nelle scritture è detto che Krishna è presente nel cuore di tutti e che questa forma divina è chiamata Paramatma, Anima Suprema.

“Lei (Kunti) sapeva perfettamente bene che Krishna è il Signore primordiale che vive nel cuore di ognuno come Anima Suprema, Paramatma…”
Srimad-Bhagavatam 1.8.28, commento

Nella Bhagavad-gita, Sri Krishna dice:
Cap.6 verso 29

“Un vero yogi riesce a vedermi in tutti gli esseri e vede anche ogni essere in Me. Anzi, la persona realizzata nel sé vede Me, il Signore Supremo, ovunque.”

E Prabhupada nel commento alla stesso versetto dice:

“Uno yogi cosciente di Krishna è un perfetto osservatore, perché vede Krishna, l’Assoluto, situato nel cuore di ognuno come Anima Suprema (Paramatma)…”

La funzione del Paramatma, come vedremo meglio in seguito, è quella di tentare di risvegliare le coscienze, anche nelle specie più degradate.

Quando la qualità dei nostri desideri cambia, egli capisce che il momento è propizio e ci pone nella giusta situazione per poterli coltivare. E attraverso la grazia di guru e di Krishna, osservando i principi del bhakti-yoga, l’anima si purifica, estirpa la crosta del materialismo e ogni traccia di desiderio materiale che circonda la sua coscienza originale svanisce. A quel punto, abbandonando il corpo mortale, torna a Vaikuntha. Questa è la fine del pazzo viaggio nel mondo di Maya.

Cosa succede a chi prova a liberarsi e non ci riesce?
D: Ci sono certi che tentano la strada della realizzazione ma durante la via si perdono. Cosa succede a queste persone?

R: Questa stessa domanda fu inoltrata circa cinquemila anni fa a Sri Krishna da Arjuna.

(Arjuna disse:) “O Krishna, qual è la destinazione del trascendentalista che non ha successo, che inizia il processo della realizzazione del sé con fede ma poi desiste a causa della mentalità mondana e così non raggiunge la perfezione?… Tale uomo, confuso, non ottenendo nessun successo né materiale né spirituale, perisce forse come una nuvola passeggera…?”
Bhagavad-gita 6.37 e 38

Sri Krishna risponde:

“…un trascendentalista… non è mai sconfitto né in questo mondo né in quello spirituale… (se cade dopo lunga pratica delle discipline yoga) prende nascita in una famiglia di spiritualisti avanzati nella conoscenza… e rivive la coscienza divina della sua vita precedente e si prova a progredire ulteriormente alla ricerca del successo completo… automaticamente (in questa vita) si sente attratto ai principi dello yoga, anche senza cercarli…”
Bhagavad-gita 6. dal verso 40 al verso 44

Il significato di questi versi è che qualsiasi attività spirituale compiuta con sincerità e impegno conferisce un vantaggio immenso, di natura eterna, come denaro depositato in un conto bancario che sempre incrementa gli interessi. Coloro che si impegnano nella via della realizzazione e che per varie ragioni sospendono le loro pratiche, nella vita successiva riprenderanno da dove hanno lasciato.

Il corpo spirituale della jiva
D: Che forma ha il corpo della jiva una volta ottenuta la perfezione?

R: Dipende dal rapporto che la lega a Bhagavan Sri Krishna. Si può essere padri, figli, amanti, amici; il nostro aspetto corporeo varia a seconda di questi criteri. Nell’introduzione alla Bhagavad-gita, Srila Prabhupada dice:

“Questo è un argomento che richiederebbe vasta elaborazione, ma per brevità diremo che un devoto ha (o può avere) una relazione con la Suprema Personalità di Dio in uno dei seguenti cinque modi:
1, santa, relazione passiva
2, dasya, relazione attiva
3, sakhya, relazione di amicizia
4, vatsalya, relazione di parentela
5, madhurya, relazione di amore coniugale”

In accordo a queste differenti relazioni, l’anima assume una forma corporea adatta allo svolgimento del suo servizio.

L’argomento delle relazioni della jiva con Bhagavan sarà ripreso nel capitolo dedicato al bhakti-yoga.

Come si svolge la vita nei mondi spirituali
D: Vorremmo sapere come si svolge la vita perfetta su Vaikuntha o in uno qualsiasi dei pianeti spirituali.

R: La jiva su Vaikuntha rispecchia in pieno le caratteristiche fondamentali dell’energia superiore che, come abbiamo detto, sono sat-cit-ananda, natura eterna, piena di conoscenza e di felicità.

A Vaikuntha l’influenza del tempo distruttore (kala), che sconvolge ogni cosa in questo mondo, non può essere avvertita. Non ci sono limitazioni, non esiste nessuno dei condizionamenti che invece sono una realtà costante di questo mondo.

La bhakti, l’amore spirituale, è il principio fondamentale su cui si fonda tutto ciò che esiste. Nella Srimad-Bhagavatam (7.5.14), il devoto Prahlada dice:

“O brahmana, come il ferro attratto da una pietra magnetica si muove automaticamente verso il magnete, la mia coscienza, che per il Suo volere è mutata, è attratta al Signore Visnu che porta un disco nella mano…”

Srila Prabhupada commenta:
“Per il ferro essere attirato a un magnete è naturale. In modo analogo, per le entità viventi essere attratte a Krishna è naturale, e per questo il vero nome del Signore è Krishna, che sta a significare “Colui che attrae ogni cosa”. Un esempio di tale richiamo si può notare a Vrndavana dove tutto e tutti avvertono e “subiscono” questo irresistibile fascino. Le persone anziane come Nanda Maharaja e Yasodadevi, gli amici come Sridhama, Sudama e gli altri pastori, le gopi come Srimati Radharani e le altre, e anche gli uccelli, le mucche e i vitelli, tutti sono attratti a Lui…”

Dunque nei mondi spirituali vige questa grande legge d’amore, della quale noi, le jiva, siamo parte integrante. Solo in questa dimensione, nella più alta perfezione della vita, è possibile trovare la vera e più appagante felicità.

Post view 325 times

Share/Cuota/Condividi:

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *