Le caratteristiche della jiva
D: Per poter capire bene la natura di una cosa è necessario conoscerne le caratteristiche di fondo. Parlateci dunque delle qualità dell’anima spirituale.
R: Le sue caratteristiche principali sono quattro:
1, eternità (sat), dall’energia sandhini
2, cognizione (cit), dall’energia samvit
3, felicità (ananda), dall’energia hladini, e
4, forma (vigraha).
D: Parliamo della prima, sat.
R: Uno degli appellativi più comuni che vengono usati per designare l’anima è jiva, “colui che vive”. In accordo alla logica più elementare, una cosa che vive non può mai morire, in quanto la sua struttura intrinseca è priva dell’elemento della cessazione di ciò che è, cioè dell’essere stesso, dell’eternità. Nel momento in cui la vita cessasse di essere, non sarebbe mai stata, e ciò sarebbe una palese contraddizione. Vita ed eternità sono quasi due sinonimi; la vita deve necessariamente essere eterna.
Come abbiamo già visto prima,
Nel verso 2.16
coloro che sono in possesso di una conoscenza perfetta sanno bene che ciò che esiste non cambia mai, il che significa che non è soggetto al decadimento del tempo. Dunque la jiva, “la vivente”, come è ripetutamente specificato in tutto il secondo capitolo della Bhagavad-gita, è eterna e non muore mai.
Ma è anche vero che è detto che la jiva, durante la sua esistenza, passa attraverso diversi stadi. L’anima non liberata (e cioè non nitya-siddha) scende in questo mondo materiale iniziando, così, un ciclo della sua esistenza. Questo è uno dei tanti “inizi” a cui la jiva si sottopone nel corso della sua vita eterna.
Qualcuno avrà notato che ho assegnato allo stesso soggetto due attributi tra loro contraddittori: ho detto che la jiva affronta degli inizi, e poi ho anche affermato che l’anima è eterna. Come tutti sappiamo il concetto di eternità non vuole nessun inizio e nessuna fine. Tuttavia se il concetto di sat, eternità, non è ben compreso, si corre il rischio tanto temuto dai filosofi Vaisnava di cadere nella sottile rete dei monisti e dei nichilisti. Infatti l’eternità secondo la filosofia vedica non è qualcosa di fermo, di stagnante, di monolitico; non è che l’anima non possa passare attraverso delle fasi, dei momenti diversi nel corso della sua esistenza, poiché altrimenti sembrerebbe ferma e priva di azioni, di desideri, di evoluzioni interiori. Questa è la tesi erronea che hanno sposato i mayavadi, dei quali parleremo in seguito. No; la jiva non è un informe ammasso di elementi spirituali inerti.
La jiva esiste sì eternamente sotto forma di energia spirituale, ma non sempre la sua esistenza è manifestata all’esterno (a un qualche esterno). E’ come un uomo che dorme: egli esiste, vive, ma non agisce nell’ambiente esterno.
Qualcuno a questo concetto storce il naso. L’idea di una jiva eterna che in qualche momento della sua esistenza non è stata manifestata non gli aggrada. Ma chiunque abbia letto anche una sola volta la Bhagavad-gita e la Srimad-Bhagavatam sa che persino ora stiamo correndo il rischio di tornare in uno stato non-manifestato: infatti al momento della distruzione degli universi materiali (pralaya), la jiva ancora una volta entra nel corpo del Signore e lì rimane dormiente (yoga-nidra) fino a che la manifestazione materiale non sarà ripristinata. Per sapere di più su questo fenomeno basti leggere la Bhagavad-gita,
Il verso 13.20, commento
i numerosissimi passi della Srimad-Bhagavatam e il “Libro di Krishna”, nel capitolo intitolato “Le preghiere dei Veda personificati”.
A un certo punto, per ragioni che tratteremo meglio in seguito, l’anima si proietta nel campo d’azione della vita, e allora inizia un altro ciclo della sua esistenza. Dunque la jiva è eterna nella sua essenza sat; allo stesso tempo c’è stato un momento in cui tutte le sue caratteristiche non erano pienamente manifestate.
Facciamo un esempio. Si può dire che all’inizio la jiva fosse come il seme di un albero, il quale ha la sua forma futura non ancora manifestata ma già esistente in potenza al suo interno. Con il tempo e quando collocato nell’ambiente adatto, il seme darà i suoi frutti, e la forma dell’albero diventerà pienamente esplicata. Così era l’anima allo stato embrionale, e aveva in sé tutte le sue caratteristiche: la propria forma, la propria personalità, tutta sé stessa, insomma, ma in una condizione non manifestata.
Prendiamo ora qualche passo delle scritture che evidenziano l’aspetto sat della jiva.
(Krishna disse) “Mai ci fu un tempo in cui io non esistetti, né tu né tutti questi re; e nel futuro mai nessuno tra noi cesserà di esistere.”
Bhagavad-gita 2.12
Dunque non siamo mai nati. Ma sat non significa che non esista un certo tipo di scorrere del tempo; se così fosse nel mondo spirituale non ci sarebbe alcuna attività, nulla, insomma. Né noi saremmo mai potuti cadere in questo mondo. Per inquadrare meglio questa intricata questione, in seguito parleremo delle caratteristiche del Tempo.
D: E la seconda delle caratteristiche principali?
R: La seconda qualità della jiva è cit, la cognizione. Questa sta ad indicare che l’anima, a differenza della materia, è capace di ricevere “conoscenza”, informazioni, cioè di razionalizzare le cose della sua esistenza e di imparare. Oltre a ciò, cit significa anche “coscienza”, cioè la capacità di sentire le esperienze esteriori. Senza questa facoltà, noi saremmo entità brute, prive di sentimenti, sensazioni, piaceri e dolori, in quanto non in grado di percepire sintomi esterni. Va da sé che questa è una qualità di esclusivo possesso della jiva e non della materia, in quanto solo qualcosa che vive ha la capacità di conoscere o sentire.
D: E per quanto riguarda la terza?
R: La terza è ananda, la felicità, il senso del voler ricavare piacere da ciò che si è e da ciò che si fa. Anche questa è una caratteristica propria di colui che vive, perché un qualcosa di morto non ha desideri da soddisfare né d’altra parte gode o soffre. E’ totalmente naturale: è una caratteristica dell’energia vivente muoversi per ricavare piacere da ciò che si fa, contrariamente alla materia che ha un movimento solo apparente.
D: La quarta è la forma. Cosa s’intende?
R: La quarta qualità si chiama vigraha, che sta a significare che la jiva ha una forma, un corpo preciso, e non è un’energia priva di forma e dimensione. Come vedremo tra poco, contrariamente a quanto asseriscono i mayavadi, la jiva ha una figura definita e anche una personalità.
“Il soffio vitale” è parte personale dell’energia di Dio e viene anche chiamato prakrti o energia femminile. Questo perché l’Essere Supremo, a cui le scritture vediche attribuiscono il nome di Krishna, Bhagavan, Paramatma e tanti altri, è Purusa, l’Essere Originale, il Creatore di tutto.
D: Spiega meglio la differenza tra Purusa e prakrti.
R: Purusa è Krishna, Dio; prakrti è tutto ciò che Egli ha creato. Poiché chi crea qualcosa lo fa basandosi sul proprio piacere, anche il Signore Supremo ha originato tutto con questa idea, con l’intenzione di provocare attorno a sé un movimento di piacere spirituale.
Nei Veda viene usato l’esempio del maschio (purusa) e della femmina (prakrti). Sappiamo che la vita viene immessa nel ventre della donna dallo sperma maschile; l’uomo conferisce la vita, mentre la donna la ospita e le offre le circostanze adatte affinché possa svilupparsi.
Allo stesso modo Purusa è il creatore di tutto, e quindi viene paragonato al maschio, mentre tutto il creato, la jiva compresa, viene chiamato prakrti, l’energia prodotta, la femmina, in cui quale la vita viene curata.
D: E’ chiaro. Andiamo avanti a parlare delle caratteristiche della jiva.
R: Un’altra peculiarità è quella designata dal termine tatastha-sakti, che significa energia marginale.
Come vedremo a più riprese nel corso di questo capitolo, l’anima è chiamata così perché la sua natura è marginale, sta cioè sulla linea di demarcazione tra l’energia superiore e quella inferiore. Per questa ragione essa mostra qualità miste, attrazioni che possono variare di molto; talvolta può essere affascinata dai mondi materiali, dalle sue dinamiche, dalle sue offerte, altre volte dalla natura spirituale, dal pensiero, dalla meditazione, dalla devozione. La jiva è sicuramente spirituale, ma in certi momenti della sua esistenza può cadere vittima degli inganni di Maya proprio per la sua natura marginale.
D: Dacci altri elementi per poter definire con precisione questa energia trascendentale.
R: L’anima siamo noi. Non aspettiamoci formule mistiche o definizioni fantastiche: l’anima siamo semplicemente noi, ciò che in questo momento sta scrivendo e leggendo, mangiando e pensando, parlando e ascoltando, osservando e tirando somme e conclusioni sulle esperienze dei sensi, mente compresa. I nostri pensieri, i nostri sentimenti, la nostra coscienza, la nostra vita stessa; tutto questo siamo noi.
In altre parole, è la vita con tutte le caratteristiche che sono portate in questo mondo dallo spirito.
D: C’è differenza tra anima e spirito, oppure si tratta della stessa cosa?
R: Tra questi due termini si fa frequentemente confusione. “Noi siamo spirito”, si dice. E’ sbagliato. Si dovrebbe dire “noi siamo fatti di spirito”, nel senso che noi siamo l’anima e lo spirito è l’elemento di cui essa è composta. E’ come dire: il tavolo di legno. Il tavolo è il soggetto in questione, il legno il materiale di cui è composto.
D: Riprendiamo la questione della vita e della differenza tra la materia e lo spirito. Abbiamo detto che solo l’anima agisce e che la materia non può farlo. E’ giusto?
R: Sì.
D: Ma se così fosse, quale sarebbe la distinzione fra il materiale e lo spirituale? In realtà non esiste “azione materiale”, in quanto la materia non può agire affatto: è sempre l’anima che agisce. Dunque, visto che l’azione e lo spirito sono due elementi inscindibili, l’agire non è forse sempre spirituale?
A questo punto, allora, sarebbe corretto dire che qualsiasi cosa facciamo, anche in questo mondo, è spirituale. E giacché viviamo qui, non sarebbe logico anche che cadesse la differenza fra materia e spirito e che tutto fosse considerato uno, la stessa unica energia originale? Di conseguenza anche questo mondo sarebbe una delle dimore di Dio e noi ne faremmo parte integrante, evitando così di commettere il solito errore di separare queste due realtà.
R: Ciò non è corretto. E’ vero che è sempre l’anima che agisce, essendo l’unica entità che ne abbia la possibilità, ma ci sono due tipi di azione:
1. azione liberata,
2. azione condizionata.
Quando la jiva agisce al primo stadio, sulla piattaforma di anima liberata, può dare libero sfogo a tutte i suoi attributi veri e reali, essere veramente se stessa, esibirsi in tutto ciò che è senza problemi, senza limitazioni di alcun genere.
Quando, invece, a causa dell’azione dell’energia illusoria (maya) viene in questo mondo, si ricopre di vari strati di energia materiale, quasi una crosta di elementi diversi da quelli che le sono propri.
Il primo di questi elementi (è stato già menzionato) è ahamkara, o falso senso dell’io. Tutti noi abbiamo un senso dell’io, una capacità di identificarci in qualcosa. In altre parole, tutti possiamo capire ciò che siamo e affermare “io sono questo”. Allo stadio perfetto, quando non siamo più prigionieri di Maya, siamo finalmente coscienti di ciò che realmente siamo, con tutto ciò che tale realtà implica. Ma quando siamo condizionati, ricoperti di quella crosta che agisce come un filtro fra noi e la realtà che ci circonda, la nostra facoltà di identificarci è falsata. Mentre prima pensavamo di essere ciò che veramente siamo, ora cominciamo a pensare di essere qualcosa che non siamo; ciò è chiamato avidya, ignoranza. E’ uno stato di follia esistenziale, proprio come nell’esempio del pazzo che crede di essere un uccello.
Per l’azione dell’elemento ahamkara, anche la nostra intelligenza diviene falsata. Credendo di essere qualcos’altro, è naturale che essa espleterà le proprie funzioni in maniera diversa. L’intelligenza è la facoltà di discriminare. Quando pensa di essere parte di un’altra energia, comincia a discernere partendo da una base sbagliata. Così l’intelligenza spirituale diventa materiale. La nostra mente segue lo stesso destino e così via i sensi, e con loro tutte le altre caratteristiche fondamentali della vita.
Ora, non dobbiamo pensare che la natura materiale ci fornisca di una nuova intelligenza, di una nuova mente, di nuovi sentimenti: no. Questa non fa altro che modificare, condizionare le nostre proprietà. Condizionata dal filtro dell’ahamkara, la nostra stessa intelligenza diventerà materiale, e così le altre parti del nostro corpo sottile. Ciò che ci verrà dato di completamente nuovo sarà solo “la macchina”, il corpo, e niente più.
Questa premessa era necessaria per arrivare al punto della domanda: ciò che facciamo in questo mondo non è spirituale. L’impulso all’azione lo è, e non potrebbe essere diversamente in quanto la materia non ha impulsi di vita. Ma l’azione condizionata è molto diversa, non corrisponde affatto a quelle che sono le normali proprietà spirituali. Dovuto all’azione di ahamkara svolgiamo attività del secondo tipo, dove tutto è condizionato e contaminato.
A questo riguardo dobbiamo analizzare la questione anche da un’altra prospettiva: in realtà, come sostiene Sankaracarya, tutto è uno. L’azione può essere solo spirituale, d’accordo, ma in questa unicità di stampo monistico bisogna operare una scissione tra lo stato liberato e quello condizionato. Dunque tutto è uno, ma anche differenziato.
Si può anche dire che non c’è differenza fra lo spirito e la materia, ma poi dobbiamo aggiungere che in realtà ce n’è molta, e tutt’e due le cose sono vere se dette insieme e con il giusto bagaglio di precisazioni.
Comunque riprenderemo questo argomento nell’apposito capitolo.
Da dove proveniamo?
D: Una delle domande che ci si pone più frequentemente quando si tratta dell’anima spirituale riguarda la sua origine. Se dovessimo usare solo i nostri poteri intellettivi sarebbe impossibile determinarla. Cosa dicono i Veda al riguardo? Da dove viene? qual è il suo mondo di appartenenza? viene ad esistere nel momento in cui nasce il corpo o scaturisce da qualche altra parte?
R: Essendo di natura sat, l’anima è sempre esistente, e non c’è mai un momento in cui non sia esistita. Nel verso già citato,
Bhagavad-gita 2.12
Sri Krishna dice che mai c’è stato un momento di non- esistenza; e in quel verso non si riferiva solo a se stesso, ma a tutte le jiva. Afferma: “aham, tvam, ime janadhipah”, io, tu e tutti questi re. “Jatu nasam”: mai ci fu un tempo in cui non esistemmo.
Le anime dunque non nascono e non muoiono.
Noi proveniamo da un mondo che ci è del tutto simile in qualità, non potendo logicamente discendere da uno di natura così diversa come quello materiale. Come potrebbe un’essenza spirituale eterna scaturire da una temporanea? Il mondo di origine di qualcosa non può essere di tanto inferiore o comunque diverso dal soggetto generato.
D: In questo mondo vediamo che ogni cosa ha un inizio e una fine. Le jiva invece sono di natura eterna, una natura completamente diversa. Allora, da dove proveniamo?
R: Non da questo mondo. Noi veniamo da un luogo trascendentale: esso stesso è un’entità personale (vigraha) fatto di eternità, conoscenza e felicità (sat, cit e ananda). Stiamo parlando del mondo spirituale, del tutto simile alla sostanza propria della jiva, come vedremo nel capitolo interessato.
In questi infiniti universi vivono coloro che si sono liberati e coloro che non sono mai scesi (né mai scenderanno) nel mondo dell’illusione.
D: Esistono diversi tipi di anime o sono tutte dello stesso genere? Se la seconda ipotesi fosse quella giusta, vorrebbe dire che tutte le anime possono o devono cadere.
R: Ci sono tre tipi di energie, che possono essere denominate in numerosi modi:
La prima è para-sakti, (o cit-sakti) energia para, superiore, o spirituale
La seconda è apara-sakti, (o maya-sakti) energia avidya, inferiore, o materiale,
La terza è tatastha-sakti, (o jiva-sakti) energia ksetrajna, o marginale.
Noi siamo parte di quest’ultima energia divina, l’energia marginale. Come sappiamo, per marginale s’intende qualcosa “che sta ai margini”, che non può essere definito superiore ma neanche inferiore. Sta “ai confini” proprio per questa sua caratteristica di poter essere risucchiato dalla materia, oppure “diventare” para-prakrti, stadio dal quale non dovrà più ricadere. Chiunque sia giunto a quello a dimensione di esistenza, non può mai ritornare, in quanto nel mondo spirituale la possibilità di cadere vittima dell’illusione è nulla.
Per quanto riguarda i svariati tipi di anime, nell’energia interna del Signore, Sri Krishna Bhagavan, chiamata Brahman, ci sono tipi diversi di jiva. Ci sono le personalità delle energie interne, le jiva che non hanno mai voluto cadere, e molte altre. Come vedremo meglio in seguito, queste non possono mai essere venute in contatto con l’energia materiale, proprio per la loro natura superiore.
In definitiva la jiva proviene dal corpo trascendentale di Krishna Bhagavan ed è parte integrante della sua essenza.
Differenti tipi di anime spirituali
D: Prima abbiamo detto che esistono diversi tipi di jiva. Ce ne potete parlare?
R: Ci sono innumerevoli tipi di jiva, ma una classificazione comoda per il nostro studio potrebbe essere la seguente:
1. le nitya-siddha
2. le mukta-siddha
3. le nitya-baddha
Il termine nitya-siddha significa “eternamente liberato”. E sono eternamente liberate quelle anime generate direttamente dalla potenza interna del Signore, che vivono per sempre insieme a Lui a Krishna-loka, il pianeta supremo di Dio, e che mai possono conoscere l’illusione.
Poi ci sono le mukta-siddha, e cioè “le perfettamente liberate”, che vivono a Vaikuntha e sono originate da una delle espansioni di Krishna, Maha-sankarsana. Queste ultime servono il Signore Krishna, che in questo universo assume numerose forme a cui vengono attribuiti diversi nomi. Anche queste jiva non potranno mai cadere nel mondo materiale.
Infine ci sono le nitya-baddha, le “eternamente condizionate”, manifestate da un’altra forma di Sri Krishna, Maha-Visnu. Solo questo tipo di jiva può scendere nell’universo materiale e rimanere vittima dell’illusione. Tra le tatastha-jiva, quelle che si liberano vengono chiamate mukta-jiva, mentre le altre, che sono ancora prigioniere di Maya, sono le jiva nitya-baddha, che prima o poi otterranno la liberazione.
D: Se il periodo di confinamento delle nitya-baddha è temporaneo, perché vengono chiamate “eternamente condizionate”? Il termine eterno indica che non esiste né un inizio né una fine.
R: In questo caso il termine nitya non deve essere preso nel senso letterale, ma solo simbolico, in quanto nessuna essenza spirituale può rimanere per sempre nella materia. Queste jiva vengono chiamate in questo modo perché il tempo che rischiano di rimanere nel mondo di Maya è così lungo da poter essere paragonato all’eternità. Non solo, ma anche perché, come Prabhupada afferma nella Bhagavad-gita,
Cap.7 verso 14
nessuno può sapere da quanto l’anima condizionata è rimasta nel mondo dell’illusione, pertanto il termine nitya dà l’idea della vastità del tempo.
Se il termine nitya indicasse una reale eternità, allora verrebbe a contraddire il concetto che la jiva è una scintilla spirituale eternamente presente nel mondo trascendentale. Dunque il concetto nitya-baddha indica quelle anime che possono trascorrere un periodo estremamente lungo nel mondo di Maya.
E’ Dio che crea la jiva?
D: E’ inutile, a questo punto, chiedere se i Veda accettino l’esistenza di un qualche Dio. La domanda che invece interessa porre è la seguente: è Dio che crea la jiva?
R: Sì.
D: Allora se è stata creata non può essere eterna. Come abbiamo già detto, infatti, questo termine sta ad indicare qualcosa che non ha inizio né fine. Inoltre, se a un certo punto della sua storia la jiva cade, ciò vuol dire che nel mondo a cui appartiene non c’è uno svolgersi perfetto e unitario, ma che ci sono momenti in cui le cose cominciano ed altri in cui le stesse finiscono, momenti in cui le cose vanno nel verso giusto e altri in cui diventano imperfette.
Alla luce di questo ragionamento verrebbe da concludere che la jiva non può essere eterna né il mondo spirituale perfetto.
Ma poniamo che invece si accetti l’idea che la jiva sia eterna: dunque non è mai stata creata. Come può allora Dio esserne l’origine? Una cosa eterna non può mai essere stata creata da nessuno.
R: La contraddizione sui termini “eterna” e “creata” è solo apparente.
La jiva è energia di Dio, e quindi è tanto eterna quanto Lui. Il fatto che ci sia stato un preciso momento in cui si è “manifestata all’esterno” non vuol dire che sia venuta ad esistere proprio allora, bensì, in senso letterale, che c’è stato un momento in cui ha cominciato a fare delle cose che prima non faceva e ad essere un’entità che prima non era. E’ in quel momento che ha avuto inizio la sua storia, ma per quanto riguarda l’essere, l’esistere, essa è eternamente reale all’interno del corpo del Signore.
Si deve sempre tenere presente la differenza che c’è fra il creare e il manifestare. Il termine creazione implica che una cosa sprigioni dal niente, mentre il manifestare significa esternare un qualcosa che esisteva ma che non era visibile.
Un altro punto importante da sottolineare a questo riguardo è che il creare implica una supremazia, mentre la cosa creata è subordinata. L’anima spirituale è eterna, ma la sua esistenza dipende dal Supremo. In questo senso è creata da Dio.
D: Alla luce della natura e delle caratteristiche della jiva, ci chiediamo cosa mai possa averla spinta a una scelta così strana, così ovviamente in contrasto con se stessa, quella di allontanarsi da Dio. L’anima di natura è spirituale, ama le cose spirituali, vive godendo delle cose eterne. Perché allora ha preferito venire in un mondo così diverso, ostile, in molti sensi addirittura opposto alla sua costituzione originale?
R: Per l’ambizione nascosta di “essere” Dio, di diventare Lui, di imitarlo, di voler gioire delle stesse cose di cui Egli gioisce. In ultima analisi per invidia, per il desiderio di avere ciò che non possiede. E’ qualcosa di molto profondo, una malattia non facile da riconoscere e per questo complicata da curare. Nel nostro intimo noi tutti non sopportiamo l’idea che esista una persona suprema che gode di tutto, noi compresi, e che non siamo noi al centro degli universi, ma questa scomoda presenza che si chiama Dio.
D: Se la jiva non fosse stata fatta per essere lei stessa un’entità suprema, come avrebbe potuto desiderarlo? E’ come se a un certo punto un pesce desiderasse volare. Non sembra impossibile?
Se invece la jiva fosse stata fatta anche per essere suprema, in cosa consisterebbe la sua colpa, il suo errore? Sarebbe stato Dio stesso ad averla fatta in quel modo.
E se invece l’anima avesse realmente sbagliato, anche questo suo poter sbagliare non sarebbe forse stato ugualmente opera divina? Nessuno può essere incolpato di qualcosa di cui non sia completamente responsabile. Sarebbe stato Dio a farla in quel modo.
Perché sarebbe stata creata in modo tale da poter cadere vittima di un errore così grave? Quante sofferenze avremmo evitato se fossimo stati fatti diversamente?
R: La natura dell’amore spirituale tra Krishna e le jiva non è di servilismo. Se Egli avesse creato una specie di robot, perfetti in tutto, sarebbe rimasto solo nell’immensità del creato, e non avrebbe potuto scambiare del vero amore con nessuno. E una delle caratteristiche principali di questo sentimento sta senz’altro nel fatto che deve esercitarsi in modo libero, non può mai essere forzato.
Questa è la ragione per cui ci ha creati liberi di poter sempre decidere, e la libera scelta, nel caso dell’anima infinitesimale, implica anche la possibilità di poter sbagliare.
E qualcuna sbaglia. Invece di servirLo, vuole tentare di diventare il Supremo, scendendo nel mondo materiale e sforzandosi di imitarlo e di ricostruire qui le stesse situazioni esistenti nel cielo trascendentale.
Questa è la sua colpa. Il fatto che siamo parti dell’energia di Dio non significa che perdiamo la possibilità di scegliere, di fare ciò che vogliamo, comprese le cose sbagliate. E l’errore colpevole consiste proprio in questo: di aver liberamente voluto intraprendere un tipo di strada che ci avrebbe portati a soffrire. Tuttavia Sri Krishna non ci condanna alle fiamme eterne di un inferno, bensì ci rieduca all’interno di una energia che, in fin dei conti, è sempre Sua (mama maya duratyaya).
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