La caduta di Karna
Scomparso sotto una cascata di frecce infuocate, Karna era riuscito miracolosamente a riemergere facendo esplodere ognuna di quelle migliaia di frecce con altrettante delle sue. Sprigionando vampate di fuoco, le armi si scontravano fra loro provocando suoni tumultuosi, mentre i carri sembravano danzare sul campo di battaglia. E in mezzo a quell’inferno, i due aiutanti di Karna fuggirono terrorizzati, scatenando la furia di Duryodhana.
Karna non pensava ad altro che alla shakti.
“Se solo in questo momento l’avessi con me, il più caro sogno della mia vita sarebbe realizzato, oramai. Ma non ce l’ho. Krishna me l’ha tolta, mandandomi contro quel Rakshasa.”
Però era in possesso di un’altra arma celestiale che non aveva ancora usato, la nagastra. Realizzò che era giunto il momento di servirsene. Con cura e devozione la estrasse dalla cassa profumata in cui era riposta, la pose sull’arco e mirò al collo di Arjuna.
“Non mirare al collo,” gli disse Salya, “mira al petto: così hai minore possibilità di sbagliare.”
“Un vero arciere non cambia mai la mira, una volta decisa la traiettoria,” rispose con sdegno Karna.
A quelle parole ammirevoli, lasciò andare la freccia, che guizzò sprigionando scintille verso Arjuna con la velocità del vento. Vedendo liberato il nagastra, tutti pensarono che il Pandava poteva considerarsi già morto. Ma Krishna si era accorto per primo di quel grave pericolo e subito si adoperò per salvare l’amico.
Vedendo che la traiettoria era abbastanza alta, aumentò il peso del proprio corpo, e il carro sprofondò nella melma per alcuni centimetri, in tal modo il bersaglio era stato spostato: la freccia colpì la corona di diamanti che Arjuna portava sul capo. L’aveva ricevuta da Indra quando era stato a Svarga e per questo era chiamato anche Kiriti. Il nagastra e la corona caddero entrambi a terra.
Vista fallire anche quell’arma, Karna pensò che oramai era finita. La vittoria sarebbe rimasta un sogno.
E mentre il duello continuava, più terribile che mai, una ruota del carro gli si impantanò nella melma e il movimento si fece sempre meno agile e veloce. Salya era sorpreso. In quell’attimo, come un lampo, nella mente di Karna si riaffacciò un ricordo. Quando il Brahmana a cui per errore aveva ucciso la mucca, lo aveva maledetto.
“Nel momento in cui sul campo di battaglia incontrerai il tuo nemico, le ruote del tuo carro verranno risucchiate dal fango e non riuscirai a districarle.”
Il carro era oramai quasi fermo. Un panico incontrollabile lo colse; cercò di invocare il brahmastra, ma nella sua mente s’era fatto il buio totale. Non riusciva a ricordare i mantra necessari. E altre parole, quelle del suo guru, gli tornarono alla memoria:
“Poichè tu mi hai ingannato, quando avrai maggiore necessità delle armi che ti ho insegnato ad usare, cadrai nell’oblio più totale, e non riuscirai a servirtene.”
Accortosi che l’avversario si trovava in chiara difficoltà con il carro che si muoveva lentamente, Arjuna gli si avvicinò e lo attaccò più da vicino, tagliandogli le corde degli archi più velocemente di quanto Karna stesso riuscisse a metterne.
La furia del figlio segreto di Surya esplose. Dopo aver lanciato contro il nemico una fitta pioggia di frecce, saltò giù dal carro e con tutte le sue forze cercò di sollevare le ruote dalla morsa avvinghiante del terreno. Ma inutilmente. La maledizione del Brahmana sembrava più forte di qualsiasi energia fisica.
E Arjuna vide il suo acerrimo nemico in condizioni disperate e si decise ad ucciderlo.
Fissata una grossa freccia sull’arco, cominciò a recitare con devozione i mantra per chiamare la rudrastra. E questa, sprigionando fiamme, apparve attorno al suo arco. Karna lo aveva udito invocare l’arma divina ed era stato colto dal panico.
“Arjuna, non vorrai colpire un nemico disarmato e senza carro. Aspetta che io sollevi la ruota e riprenda il mio posto e poi continueremo il nostro duello lealmente.”
Krishna rise fragorosamente.
“Adesso parli di lealtà, di rettitudine,” gli disse a voce alta. “Queste parole a sentirle dalla tua bocca suonano strane. Quante regole del dharma tu e il tuo degno amico Duryodhana avete trasgredito in questi anni? Centinaia. E per ultimo, cosa avete fatto al giovane Abhimanyu appena pochi giorni fa? Ora vieni a pretendere onestà da suo padre solo per poterti salvare la vita? Dovresti vergognarti.”
Radheya, spaventato, prese il suo arco e continuò il combattimento da terra.
Ma la freccia caricata col mantra di Rudra partì da Gandiva e in un lampo raggiunse il suo collo.
La testa adornata da lunghi capelli biondi cadde al suolo; l’anima lucente di Karna fu vista dirigersi verso l’alto. Nel momento in cui egli moriva, in cielo il sole non sembrò più lo stesso, era come impallidito: il suo figlio prediletto era caduto.
Duryodhana e il segreto di Karna
I soldati Kurava, che avevano subito il trauma di vedere abbattuti ben tre comandanti in diciassette giorni, si erano ritirati disordinatamente.
Salya fu tra gli ultimi a tornare all’accampamento, guidando un carro privo del suo guerriero.
Trovò un Duryodhana disperato, che non riusciva a darsi pace. Oramai questo stato d’animo del sovrano Kurava continuava dal primo giorno di quella guerra dall’esito scontato. Gliel’avevano detto proprio tutti, gli uomini più esperti e intelligenti che si conoscevano: Vyasa, Bhishma, Drona, e quanti altri! Tutti gli avevano detto di fare pace con i figli di Pandu, chè erano più forti e sicuramente lo avrebbero sconfitto. Quelle parole risuonavano ora come una maledizione che aveva pesato sul suo capo per tanti anni. Ma tuttora gli riusciva impossibile accettare la verità di una superiorità oramai indiscutibile, ancora proferiva minacce contro di loro. Nessuno riuscì a consolarlo per la morte del suo più caro amico.
Era naturale che nell’accampamento dei Pandava si respirasse ben altra atmosfera. Ci si congratulava con i vincitori, con Arjuna, con Krishna e anche con Bhima, che aveva reso agevole il compito del fratello minore. Krishna era raggiante.
“Yudhisthira, ora che Karna è morto, non esiste alcun dubbio: la vittoria è nostra. Giustizia è stata fatta, mancano solo pochi nomi all’appello e presto anche queste persone pagheranno per tanta empietà. Il mondo, come di diritto, è tuo: governalo con rettitudine,” disse.
“O Krishna, amico nostro,” rispose Yudhisthira. “Non riesco ancora a credere che il figlio del suta non rappresenti più una minaccia. Nessuno può capire quanto abbia avvelenato le mie notti per tutti questi anni. Ora che è caduto mi sembra quasi impossibile. Andiamo sul campo, voglio vedere il suo corpo, così da sentirmi più sicuro.”
I Pandava tornarono sullo scenario dell’ultimo duello e quando videro il corpo decapitato fecero festa.
Passarono le ore.
Duryodhana non riusciva a dormire, non poteva pensare ad altro che a Karna, a quel caro amico morto per colpa sua, e cercava il modo per approdare a un pò di sollievo dalla feroce ansietà che gli divorava il cuore. Infine realizzò che l’unico da cui sarebbe potuto accorrere era Bhishma, che ancora giaceva sul suo letto di frecce, aspettando il momento più propizio per morire.
Questi ebbe per lui parole di consolazione, ricordandogli che Karna era morto con onore, da perfetto Kshatriya. A quel discorso Duryodhana, che ancora ignorava il mistero della sua nascita, si insospettì.
“Hai detto come uno Kshatriya. Allora tu sai. Lui non era il figlio di un suta, ma di uno Kshatriya. Ora che è morto, chiariscimi questo mistero.”
Bhishma esitò un poco, poi non vide ragione di tacere.
“Egli era il primo figlio di Kunti, avuto dall’unione con Surya prima del suo matrimonio con Pandu. Era un Pandava, addirittura il maggiore di loro, l’erede naturale al trono. E lo sapeva.”
Bhishma raccontò nei dettagli la storia della nascita di Karna. Ma quella notizia non risollevò affatto il morale di Duryodhana, al contrario lo demolì ancora di più.
Tornò alla tenda sconsolato.
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