Il decimo giorno
All’alba del decimo giorno, Bhishma si alzò d’umore lieto: non sarebbero passati molti giorni e lui, dopo così lungo tempo, sarebbe ritornato al suo pianeta celestiale, dalla sua compagna e dai suoi fratelli. Era talmente sereno e felice che tutti lo notarono.
Lo stato d’animo di Arjuna era ben diverso: pensava che ciò che avrebbe dovuto fare tra breve era terribile.
L’attacco alle armate Kurava sarebbe stato condotto fin dalle prime ore dal valoroso guerriero Shikhandi, spada in pugno, pronto in qualsiasi momento a scagliarsi contro l’odiato anziano della casata rivale. Subito dietro di lui c’erano Arjuna e Bhima. Seguivano Abhimanyu e i figli di Draupadi, e poi Satyaki, Dhristadyumna, Yudhisthira e i gemelli Pandava. Il resto dell’armata, guidata da Virata e Drupada, era leggermente più indietro. Da quella disposizione tutti poterono capire che lo scopo prefisso per quella giornata era di porre fine alla vita di Bhishma.
Dall’altra parte, come sempre, Bhishma era in prima linea, seguito da Drona, Asvatthama, Bhagadatta, Kritavarma, Kripa e tutti gli altri, ognuno dei quali era scortato dal rispettivo esercito. Il suono dei corni annunciò l’inizio delle ostilità.
Quella mattina si notò subito che Nakula e Satyaki erano particolarmente ispirati nel combattimento. Nè Bhishma fu da meno; anzi, sembrò suscitare l’ammirazione generale ancora più del solito. Tuttavia chi lo conosceva bene notò distintamente in lui qualcosa di anomalo: la sua espressione non era la solita, era più sereno, sembrava addirittura felice.
Shikhandi lo assalì subito, ma egli per l’ennesima volta si rifiutò di accettare la sfida, affermando che mai avrebbe combattuto contro una donna. Di nuovo umiliato, Shikhandi sfogò la sua furia contro lo stesso Bhishma. Lo colpì ripetutamente senza però riuscire a ottenere alcuna reazione. In quel frangente giunse Arjuna.
“Continua a colpirlo anche se si rifiuta di combattere,” gli gridò nel clamore della battaglia. “Non lo lasciare un istante.”
In quel momento molti grandi guerrieri accorsero per proteggere Bhishma dal figlio di Drupada; ma Arjuna li respinse tutti. Fin dalle prime ore di quella giornata, quando avevano visto Shikhandi in prima linea, tutti avevano capito le intenzioni dei Pandava; e ora quell’incredibile affannarsi attorno a Bhishma non faceva altro che confermare a Duryodhana il fatto che il loro comandante stava correndo un grosso pericolo. Il Kurava riuscì a raggiungerlo.
“Arjuna sta bruciando la nostra armata al pari di un immenso fuoco,” gli gridò, “e anche suo figlio Abhimanyu e Bhima ci stanno facendo soffrire terribilmente. Tu sei la nostra sola speranza: proteggici.”
“Fin dall’inizio ti avevo detto che non avrei ucciso i figli di Pandu,” gli rispose questi con tono duro, “e ti avevo promesso che ogni giorno avrei eliminato diecimila dei tuoi nemici. Oggi ho quasi completato il numero; il mio debito verso di te è pagato. Ma ormai sono stanco di uccidere, non voglio più macchiarmi di altro sangue innocente solo per soddisfare i tuoi capricci. Per di più i Pandava non possono essere uccisi neanche dai Deva. Oggi stesso io cadrò sul terreno ferito a morte, e spero proprio che almeno questo ti faccia tornare il buon senso.”
Con nessuna voglia di discutere ulteriormente, Bhishma tornò a concentrarsi sui combattimenti.
Nel frattempo, per tutto il campo infuriavano grandi duelli diretti, come quello fra Arjuna e Dusshasana, fra Bhima e Bhurisrava, fra Alambusha e Satyaki, e tanti altri. Nella lotta ingaggiata tra Alambusha e Satyaki, Bhagadatta dovette intervenire per salvare la vita al Rakshasa, che era stato messo in seria difficoltà dal Vrishni. E sempre intorno a quel duello, si levò un grande clamore quando Duryodhana mandò altri generali ad aiutare Bhagadatta. Ma Satyaki, che era amico intimo di Krishna e il discepolo preferito di Arjuna, non tremò un solo istante e continuò a seminare il terrore e la morte. Più in là Sahadeva infliggeva una brutta sconfitta all’Acarya Kripa.
Intanto Asvatthama e Drona si erano fermati; tremendi presagi li avevano messi in guardia: qualcosa di infinitamente spiacevole stava per accadere. Quella combinazione di Arjuna, Bhima e Shikhandi in testa alla formazione non faceva prevedere niente di buono. Non ci volle un grande sforzo per capire quali fossero i loro propositi. Subito Asvatthama si affiancò a Bhishma nel tentativo di proteggerlo.
La caduta di Bhishma
Mentre centinaia di uomini, molti dei quali conosceva di persona, continuavano a cadere per mano sua, d’un tratto il più anziano dei guerrieri fu assalito da un profondo disgusto verso la guerra, verso il suo stesso valore, verso quella crudeltà che lo spingeva a massacrare soldati che davanti a lui erano come bambini inermi. Si avvicinò a Yudhisthira.
“Desidero smettere di combattere, ora. Fate come vi ho detto ieri notte.”
Allora Shikhandi gli si mise di fronte e lo bersagliò con frecce, lance e asce. Era quello il momento più delicato, Arjuna lo sapeva. I Kurava avrebbero fatto di tutto pur di non permettere la caduta di Bhishma. Dovette combattere come mai aveva fatto in precedenza per creare il vuoto attorno a quel carro d’argento. E ci riuscì.
“Questo è il momento,” gli disse Krishna, “poniti dietro Shikhandi e trafiggi Bhishma con quante più frecce puoi.”
E mentre gli altri Pandava, Satyaki e Abhimanyu facevano muro per impedire a chiunque di venire a soccorrerlo, Arjuna e Shikhandi lo assalirono con violenza. L’anziano ripensò a tutta la sua vita: una profonda mestizia lo prese al pensiero dello stato di degradazione in cui si era ridotta la sua nobile dinastia, a causa di quella guerra fraticida. Krishna lesse tutto questo sul suo viso e gridò ad Arjuna:
“Ora Bhishma vuole veramente concludere la sua partecipazione a questa guerra.”
Fiumi di frecce volarono dagli archi di Arjuna e di Shikhandi, e tutte colpirono il venerabile Kurava trapassandolo da una parte all’altra del corpo. E mano a mano che le frecce cadevano su di lui, Bhishma parlando a voce alta in modo che Dusshasana, che intanto era accorso, potesse sentire, disse:
“Queste sono di Arjuna, e queste sono di Shikhandi. Vedi, quelle di Arjuna penetrano più profondamente e bruciano, mentre quelle di Shikhandi si sentono appena.”
Ma nonostante le frecce continuassero a piovergli addosso, questi ancora volle tentare di combattere.
Tutti guardavano l’incredibile scena: trapassato da centinaia di frecce, Bhishma scese dal carro e lanciò un giavellotto che Arjuna spezzò in tre parti nel momento in cui se lo vide guizzare contro. Quando anche quell’arma fallì, le grida si placarono: i duelli si interruppero e tutti i soldati restarono con le armi ferme in mano, desiderosi soltanto di vedere Bhishma sommerso dal fiume di armi che cadevano su di lui. Allora il silenzio si fece totale; era un silenzio carico di costernazione e di dolore. Nell’aria si vedeva e si sentiva solo il guizzo delle frecce del Pandava e del figlio di Drupada. Il sole al suo calare inondò con i suoi raggi soffusi il grande Bhishma che cadeva sul terreno, senza toccarlo: le frecce che lo avevano trafitto lo facevano restare a mezz’aria.
Nessuno si muoveva, nessuno proferiva parole, sembrava una finzione scenica. Poi si udì una voce eterea provenire dal cielo.
“Mahatma Bhishma non è ancora morto, nè morirà fino a Uttarayana. Egli ha deciso di rimanere in quella posizione fino a quel giorno, quando offrirà a tutti i suoi insegnamenti di anima realizzata.”
Quando la dea Ganga seppe del figlio, mandò i sette grandi saggi nelle sembianze di cigni a porgergli i suoi saluti. Poi essi tornarono e le riferirono le ultime decisioni di Bhishma.
In tutta Kuruksetra non si combatteva più: la caduta dell’anziano eroe aveva paralizzato chiunque.
I figli di Dhritarastra erano pietrificati e piangevano come bambini spauriti; alcuni persero addirittura i sensi per il dolore. Dimentichi per un attimo della loro aspra inimicizia, tutti, Pandava e Kurava, si riunirono intorno a quella grande personalità. Alla visione di quel corpo martoriato e trafitto da mille frecce che gli impedivano di toccare il terreno, tutti maledissero la loro professione di Kshatriya.
Duryodhana era il più disperato.
Drona, che in quel momento stava combattendo su un fronte lontano, apprese la notizia da Dusshasana e per il dolore svenne. Anche se aveva sempre saputo che prima o poi sarebbe dovuto accadere, la cosa gli sembrò ugualmente così inverosimile che stentava ancora a crederci.
Sull’istante dette l’ordine di cessare ogni combat-timento. Tolti i sandali e le corazze e gettate via le armi, furono milioni i soldati che disciplinatamente sfilarono davanti a Bhishma, il quale salutò tutti con affetto e amicizia, dando loro consigli e istruzioni.
“La mia testa pende in giù,” disse a un certo punto, “e non riesco a vedervi bene. Per favore, portatemi dei cuscini.”
Impetuosamente Duryodhana ordinò che venissero portati i cuscini fatti con le stoffe più pregiate; ma quando questi gli furono offerti, Bhishma li rifiutò.
“Questi guanciali non sono degni di un vero Kshatriya. Non poggerò la testa dove siedono le persone che amano le comodità di questo mondo. Voglio ben altro, io.”
A quelle parole i presenti rimasero interdetti; non capivano che tipo di cuscino desiderasse. Notando l’imbarazzo generale, Bhishma si rivolse ad Arjuna.
“Loro sono guerrieri e non sanno che tipo di cuscino dovrebbero usare. Faglielo vedere tu, allora.”
Prontamente, davanti ai soldati stupefatti, il Pandava scagliò delle frecce sotto la testa del nonno, in modo che potesse poggiarla sulle estremità delle asticelle. L’anziano sorrise.
“Avete visto? Sembra che solo Arjuna sappia quali sono i guanciali che usano gli Kshatriya.”
Nel frattempo erano arrivati i dottori che Duryodhana aveva convocato in tutta fretta, ma Bhishma disse loro:
“Vi ringrazio per essere arrivati fin qui, ma io non desidero essere curato. Quando Uttarayana arriverà, abbandonerò questo corpo che ho usato per fin troppo tempo e tornerò sul pianeta da cui provengo.”
Dopo avergli rivolto i propri saluti, i soldati si ritirarono nelle proprie tende. Solo pochi intimi gli rimasero vicino.
Bhishma, a voce bassa, disse:
“Ho sete; per favore, portatemi dell’acqua.”
Duryodhana fece portare dell’ottima acqua dolce, ma Bhishma rifiutò anche quella.
“Non è questa l’acqua che voglio. Forse Arjuna sa quello che desidero in questo momento della mia vita.”
Con un cenno del capo il Pandava assentì tristemente. E ancora una volta scagliò una freccia vicino al suo capo con tanta potenza che essa perforò il terreno fino ad arrivare al Gange: in pochi secondi uno zampillo d’acqua spuntò dal terreno, permettendo al valoroso guerriero di bere. Grazie ad Arjuna, Ganga in persona era venuta per dissetare il figlio. A quel punto Bhishma guardò il Re dei Kurava forte intensità e serietà.
“Duryodhana, vedi cosa può fare Arjuna? Lui e Krishna sono i saggi Nara e Narayana reincarnati. Non puoi vincerli. Fa in modo che la mia morte serva a fermare questa inutile guerra e fai pace con loro. I Pandava sono virtuosi e non rifiuteranno la tregua, anzi la accetteranno con gioia.”
Duryodhana non rispose. Non lo guardava neanche più negli occhi, ma osservava con aria mesta il terreno. Quella reazione non sorprese Bhishma; sapeva bene che le sue parole non avrebbero avuto effetto neppure in quel frangente. Chiese allora di rimanere solo; tutti si ritirarono.
Il saggio si chiuse in sè, e cominciò la sua meditazione sulla Verità Assoluta Personale, cosicchè presto dimenticò le miserie di questo mondo.
Quando Karna venne a sapere dall’amico Duryodhana della caduta di Bhishma, decise di andare a trovarlo; e quando arrivò, accanto a lui non c’era più nessuno. Si sedette al suo fianco e pianse.
“Io ti ho sempre trattato duramente non perchè ce l’avessi veramente con te,” gli sussurrò Bhishma, “ma perchè non potevo fare altrimenti. Odiavi così tanto i Pandava che per il loro bene era necessario diminuire la tua energia mentale; in quel modo intendevo proteggere i Pandava dal tuo valore. Del resto, anche tu eri un mio nipote, per cui non avrei mai potuto detestarti veramente.”
Karna era stupito. Anche Bhishma era al corrente del mistero della sua nascita e non gli aveva mai detto niente.
“E’ stato Vyasa a rivelarmi il segreto,” continuò l’anziano quasi avesse letto nei suoi pensieri, “ma non potevo dirtelo perchè dietro a tutto ciò che è accaduto c’è un preciso piano divino che non potevo danneggiare. Questo mondo è stato sovraccaricato di forze demoniache e deve essere liberato. Noi tutti siamo stati solo degli strumenti nelle mani di un onnipotente volere celestiale.”
I due conversarono a lungo.
Poi Karna chiese al venerabile Bhishma di benedirlo, in quanto il giorno seguente sarebbe dovuto scendere sul campo di battaglia. E il virtuoso figlio di Surya, con il cuore pesante, tornò alla sua tenda.
I suoi sogni furono torturati da mille pensieri desolati.
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